In uno scambio di battute in Tv, in un fuori onda, qualcuno dei presenti parlava ancora di aggressore e aggredito e di guerra cominciata nel 2022, ignorando otto lunghi anni di guerra civile in Ucraina, di morti nel Donbas e persino il monito del Presidente Mattarella, nell’aprile 2017, quando chiedeva a Putin di intervenire per porre fine alla guerra.
Perché viviamo in una società profondamente ignorante, che non sa nulla di Storia Contemporanea, niente del tentativo di invasione russa di Napoleone, della guerra di Crimea combattuta dai piemontesi, dell’Operazione Barbarossa.
Viviamo nell’era della tecnologia all’ennesima potenza, eppure, se gettiamo via schermi digitali e accesso a Internet, scopriamo una società in caduta libera verso un medioevo cognitivo.
Stiamo assistendo a un’involuzione antropologica che ci riporta indietro di un secolo, non per mancanza di mezzi, ma per un’atroce inversione delle priorità valoriali. Abbiamo scambiato la saggezza per i dati, la cultura per l’intrattenimento, e la cittadinanza per la forza lavoro.
LA GRANDE TRUFFA EDUCATIVA: FABBRICARE INGRANAGGI, NON MENTI
Il peccato originale di questa decadenza va rintracciato negli anni Novanta. È lì che abbiamo deciso di suicidare il nostro futuro.
I nostri nonni, che avevano visto l’abisso del totalitarismo guardandolo dritto negli occhi, sapevano che lo studio era l’unico vaccino contro la manipolazione della propaganda.
Si sono spezzati la schiena affinché i loro figli potessero studiare Kant, Hegel, Focault, la giurisprudenza. Non per “trovare un posto”, ma per trovare sé stessi, per comprendere come va il mondo, per distinguere la propaganda dall’informazione e difendere la libertà.
Oggi, però, quel patto sacro è stato stracciato.
L’Europa, e l’Italia in particolare, si è prostrata all’altare del pragmatismo spicciolo. Abbiamo trasformato scuole e università in centri di addestramento professionale, catene di montaggio per “manodopera qualificata”.
Abbiamo convinto intere generazioni che la filosofia è un orpello inutile perché “non fattura”.
Il risultato è devastante: abbiamo creato tecnici eccellenti incapaci di comprendere il contesto in cui operano, senza gli strumenti filosofici e culturali indispensabili per comprendere come funzionino l’economia, la politica, l’informazione e la comunicazione, tasselli fondamentali che muovono il mondo.
Senza gli strumenti della logica filosofica – e non tecnica, – della storia e della sociologia, la complessità del mondo diventa un rumore di fondo indecifrabile. E quando non capisci il mondo, quando non riesci a sviscerare ciò che ascolti e che leggi, ne diventi vittima.
L’ANALFABETISMO FUNZIONALE E IL TEATRINO GEOPOLITICO
Questa mutilazione culturale ha generato un mostro: l’analfabeta funzionale iper-connesso. È il cittadino che legge, ma non sa distinguere la domanda aggregata dalla domanda, non conosce le basi del Diritto internazionale, non conosce la Storia dal Mercantilismo e degli imperi, fondamentale per comprendere ciò che accade in Ucraina oggi, perciò vede, sente, a volte legge, ma non decodifica.
La gestione della narrazione sul conflitto in Ucraina ne è la prova, un monumento alla cecità collettiva.
Per quasi quattro anni, l’opinione pubblica è stata nutrita con un pastone indigesto di propaganda a basso costo. Ci hanno raccontato che la Russia era devastata dagli effetti dirompenti delle nostre sanzioni, che i loro soldati combattevano scalzi, armati solo di pale, e che smontavano le lavatrici per rubare i microchip, che Putin fosse moribondo per quattro tipologie di cancro.
E noi ci abbiamo creduto. Abbiamo bevuto questa narrazione infantile perché ci mancavano gli anticorpi della cultura, della critica storica e dell’analisi geopolitica.
Perché molti sono come medici fai da te che cercano di combattere il cancro.
Abbiamo ridotto una guerra complessa, radicata nelle tensioni del Donbass e nelle strategie del Progetto per un Nuovo Secolo Americano, a una rissa da bar o, peggio, a un film della Marvel: i Buoni contro i Cattivi.
Senza sfumature. Senza storia.
Una semplificazione grottesca che ci ha impedito di vedere la realtà: le sanzioni, vendute come l’arma finale che avrebbe piegato Mosca, hanno avuto l’effetto di una pistola ad acqua contro un carro armato.
L’economia russa non solo ha retto, ma si è riorganizzata, mentre l’Europa, nella sua arroganza miope, si è sparata su entrambi i piedi. E, forse, un po’ più su.
IL CROLLO DELL’ILLUSIONE E IL CONTO SALATO DELL’INDUSTRIA
Mentre ci raccontavamo favole sulla “vittoria finale”, la realtà ha bussato alla porta con la delicatezza di un ufficiale giudiziario.
I dati ISTAT sull’industria, sui costi energetici e sulla situazione economica dei vari paesi dell’Europa sono una sentenza inappellabile: un crollo verticale, un disastro economico figlio di scelte suicide e di una subalternità imbarazzante agli interessi d’Oltreoceano.
Abbiamo sacrificato il nostro tessuto produttivo sull’altare di una “guerra di civiltà” che nascondeva solo interessi sui gasdotti, materie prime e vecchi rancori da Guerra Fredda.
La classe dirigente europea, composta da tecnocrati – ai cui vertici ci sono personaggi che il popolo non può votare e non può scegliere, – e manager prestati alla politica, ha gestito la crisi come si gestisce un consiglio di amministrazione fallimentare: tagliando i costi sociali e ignorando le conseguenze a lungo termine.
Ursula von der Leyen e i suoi omologhi, distanti anni luce dal sentire comune dei popoli europei (come dimostrano le recenti tornate elettorali), hanno giocato alla guerra con la vita degli ucraini, vilipesi, offesi e trattati come fiches sul tavolo da gioco.
E ora che Washington e Mosca tornano a parlarsi, l’Europa resta nel corridoio, non invitata, umiliata, con in mano un pugno di mosche e un’economia da ricostruire.
In castigo, a sbraitare contro Trump e Musk, perché, quando sei perdente e in torto, meglio dire che il professore è cattivo e non capisce, piuttosto di parlare delle accuse mosse dal professore.
DALL’INTELLETTUALE ALL’INFLUENCER: L’APOTEOSI DEL NULLA
Ma come siamo arrivati a questo livello di insipienza?
Abbiamo sostituito i pensatori con i giullari. C’è stato un tempo in cui i modelli erano Sartre, Pasolini, o persino campioni dello sport con uno spessore umano e culturale, capaci di discutere di democrazia e diritti.
Ricordate Socrates, Senna e Prost, solo per citarne alcuni?
Oggi, il massimo veicolato dagli sportivi è un mix di tatuaggi e cuffie alla moda e il modello è l’influencer che si vanta della propria ignoranza, che dichiara con orgoglio di non aver bisogno dell’università perché il suo conto in banca è florido.
È il trionfo dell’apparire sull’essere, dell’ignoranza sulla cultura, della banalità e del superfluo sui valori e sull’essenza.
Un materialismo volgare che copre il vuoto interiore di chi non ha nulla senza soldi e senza maschere.
Le nuove “star” sono simulacri di ribellione, viziati e omologati, che vestono come adolescenti e pensano come bambini viziati.
Questo culto della superficialità è funzionale al potere, perché una massa che aspira solo all’ultimo modello di scarpe o allo smartphone alla moda è una massa che non protesta, non analizza, non si ribella.
L’AUTOMAZIONE E LA TRAPPOLA DEL TECNICISMO
La tragedia finale si consumerà a breve, e sarà economica oltre che sociale.
L’ossessione per la formazione tecnica si rivelerà una trappola mortale. Mentre spingiamo i giovani verso professioni pratiche e ripetitive, l’intelligenza artificiale e la robotica stanno già scaldando i motori per cancellare quei posti di lavoro.
Chi avrà studiato solo “come fare” una cosa, si troverà obsoleto nel giro di una settimana. Anche meno.
Chi, invece, avrà studiato il “perché”, chi avrà coltivato il pensiero laterale, la creatività umanistica, la capacità di visione d’insieme, avrà una speranza di sopravvivere allo tsunami dell’automazione. Senza cultura umanistica, stiamo allevando i futuri disoccupati cronici, privi persino del vocabolario necessario per comprendere la propria emarginazione e per rigenerarsi.
L’EUROPA: UNA COMPARSA IN CERCA D’AUTORE
Il risveglio è brutale.
L’Europa credeva di essere la protagonista della Storia, la culla dei diritti e della civiltà, della diplomazia.
Si è scoperta una comparsa irrilevante, belligerante e ottusa.
Zelensky, l’eroe costruito a tavolino da un marketing politico spregiudicato, si ritrova ora come un attore a cui hanno spento le luci del set prima della fine dello spettacolo perché il produttore ha deciso di staccare la spina. Credeva di essere Churchill, si è scoperto portaborse di leader perdenti.
E noi europei siamo quelli che pagano il conto. Abbiamo accettato che i diritti costituzionali venissero sospesi per “emergenze” a rotazione – sanitarie, climatiche, belliche – abituandoci all’idea che la democrazia sia un lusso sospendibile e che dobbiamo anche ringraziare la magnanimità dei vari Draghi, Monti e compagni di merenda.
Abbiamo permesso che il dissenso venisse criminalizzato e che il dubbio fosse bollato come eresia. Abbiamo puntato il dito contro la censura in Russia, Cina e Corea del Nord, ma chiudiamo i conti correnti di chi scrive libri che inchiodano le malefatte di von der Leyen e licenziamo giornalisti come Gabriele Nunziati perché ha posto una domanda che ai leader europei non piaceva.
Insomma, abbiamo tutti i sintomi delle dittature moderne, ma continuiamo a sostenere che malati siano gli altri.
RIPRENDERSI LA BUSSOLA O AFFONDARE
Non c’è molto tempo per invertire la rotta. O torniamo a considerare la cultura – quella vera, profonda, critica – come il fondamento della società, o il nostro destino è segnato. Dobbiamo smettere di formare lavoratori e ricominciare a formare cittadini.
Dobbiamo avere il coraggio di dire che il Re è nudo, che la narrazione mainstream è stata una truffa colossale e che la realtà è molto più complessa di un post su un social network o delle panzane profuse in televisione da star che possono parlare senza un contraddittorio.
Il treno della Storia sta correndo veloce.
Per ora, l’Occidente sembra deciso a restare seduto nel vagone ristorante, a litigare su questioni futili mentre la locomotiva si dirige verso il precipizio.
La scelta è tra un risveglio doloroso, ma necessario, fatto di studio, fatica, cultura e verità, o un dolce sonno indotto dalla propaganda e dall’ignoranza, dal quale non ci sveglieremo mai più.
A noi l’ardua, e forse ultima, sentenza.
ALCUNE FONTI
La Sconfitta dell’Occidente, di Emmanuel Todd.
Ucraina. Critica della Politica Internazionale, di Alessandro Orsini.
L’Impero della Periferia, di Boris Kagarlickij.
Ucraina, Russia e Nato in Poche Parole, Marco Travaglio.
La Russia di Putin, di Mara Morini.








































