La notizia è esplosa con la forza di un’ammissione a mezza bocca.
La Commissione Europea di Ursula von der Leyen sta mettendo in piedi un proprio servizio di intelligence.
Sembra proprio che quella di Ursula von der Leyen sia la biografia di un potere che si fa sempre più presidenziale, quasi solitario, nel cuore di un’Europa spaventata dai suoi messaggini e dalle sue politiche che, fin qui, hanno portato a un’involuzione industriale e sociale preoccupante.
ANATOMIA DI UN SEGRETO DI PULCINELLA
Il piano, svelato dal Financial Times, è tanto semplice nella forma quanto complesso nella sostanza.
Una “cellula” dedicata, incastonata nel Segretariato Generale della Commissione, con il compito di sintetizzare e analizzare le informazioni provenienti dai vari servizi segreti nazionali.
Un crocevia di intelligence. Un punto di ascolto privilegiato per la Presidente.
Ufficialmente, si tratta di “integrare” e “rafforzare” le strutture esistenti, in primis l’INTCEN, il centro di analisi che già opera sotto l’egida del Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE), oggi guidato da Kaja Kallas.
Ma le parole, in politica, sono strumenti delicati che, spesso, nascondono più significati.
E qui, “integrare” suona sinistramente come “scavalcare”. “Rafforzare” somiglia pericolosamente a “controllare”.
La cellula, seppur minuscola, non risponderebbe all’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri, ma direttamente alla Presidente della Commissione. Un dettaglio non da poco che getta molte ombre sulla figura di Ursula von der Leyen.
L’ALIBI DELLA PAURA: RUSSIA, TRUMP E LA NECESSITÀ DI SAPERE
Ogni grande mossa di potere ha bisogno di un nemico. E oggi, secondo la propaganda occidentale, l’Europa ne ha in abbondanza.
C’è il Cremlino, con la sua guerra ibrida fatta di disinformazione, sabotaggi e aggressione militare.
C’è Donald Trump, e ci sono le minacce interne, come le accuse di spionaggio che lambiscono persino uno Stato membro come l’Ungheria.
In questo clima da nuova Guerra Fredda, l’argomento della Commissione è potente, quasi inattaccabile. “I servizi segreti degli Stati membri sanno molto. La Commissione sa molto. Abbiamo bisogno di un modo migliore per mettere insieme tutto”, ha confidato una fonte.
È la logica spietata del mondo dello spionaggio: per ottenere informazioni, devi offrirne. Devi avere un posto al tavolo dei grandi.
La paura è un formidabile acceleratore politico e von der Leyen la sta usando come carburante per il suo progetto di una “unione della sicurezza”, più coesa, più autonoma. Più centralizzata.
VERSO UN TRONO A BRUXELLES
Ma dietro la cortina fumogena della sicurezza globale, si sta giocando una partita ben più inquietante, per il controllo della politica estera e di difesa dell’Unione.
Da quando è al timone, Ursula von der Leyen ha sistematicamente eroso le prerogative del SEAE, l’organismo che per sua natura dovrebbe gestire la diplomazia UE.
La sua condotta è un’architettura del potere che si ridisegna, mattone su mattone, al buio, di nascosto, nei memorandum riservati e nelle decisioni quasi furtive, come quelle prese con i famosi messaggini.
Prima la nomina di un Commissario per la Difesa, sottraendo un pezzo di portafoglio all’Alto Rappresentante. Poi la creazione di una Direzione Generale per il Mediterraneo, un feudo personale che scavalca la diplomazia tradizionale. Ora, l’intelligence.
Spostare l’analisi delle informazioni sensibili dal SEAE al Segretariato Generale della Commissione significa prosciugare il potere dell’Alto Rappresentante e trasformare la Presidenza della Commissione in un vero e proprio “gabinetto di guerra”. Un comando operativo che risponde a una sola persona. L’unica donna al comando, come sottolinea cinicamente qualcuno.
I FANTASMI, TRA SOVRANITÀ E SCANDALI
Ci sono diversi punti da tenere in considerazione. Il primo è il muro degli Stati membri. L’intelligence è il luogo più intimo della sovranità nazionale dei singoli stati, l’ultimo santuario che i governi custodiscono con gelosia paranoica.
L’idea di condividere le informazioni più preziose con una struttura sovranazionale che fa capo a un’unica donna al comando è un anatema per molte capitali. La storia della condivisione di intelligence in Europa, iniziata faticosamente dopo l’11 settembre, è una storia di riluttanza e diffidenza.
È probabile, se non certo, che le principali agenzie nazionali si opporranno a quello che percepiscono come un tentativo di esproprio.
Il secondo fantasma è proprio Ursula von der Leyen, perché come si può affidare la gestione dei segreti più oscuri del continente a una leader il cui operato è già segnato da ombre pesanti e condotte tutt’altro che trasparenti?
Le accuse contenute nel saggio “UrsulaGates” non sono pettegolezzi, ma questioni concrete che hanno già superato il vaglio della magistratura, per la gestione opaca dei contratti sui vaccini Pfizer, con miliardi di euro negoziati via SMS.
C’è una condanna della Corte di Giustizia Europea per mancanza di trasparenza e c’è un rapporto disinvolto con le lobby. E, soprattutto, c’è il paradosso di un controllo di fatto sulla Procura Europea (EPPO), l’organismo che, in teoria, dovrebbe indagare proprio su queste vicende.
Affidarle anche un servizio segreto, per quanto piccolo, è come dare le chiavi di un arsenale a chi è già sospettato di non rispettare le regole di ingaggio.
Di fatto, si dimostra sempre di più come si stia costruendo un’oligarchia, un potere esecutivo che si pone al di sopra di ogni controllo che vorrebbe scrivere il futuro dell’Europa.


Dott. Pasquale Di Matteo
Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.


















