LA COSTRUZIONE SOCIALE DELLA REALTÀ. QUANDO IL TAGLIO DIVENTA LA NOTIZIA (E LA DISTORCE)

IL MITO DELLA NOTIZIA OGGETTIVA: UN’ILLUSIONE PERICOLOSA

di Pasquale Di Matteo

Non esistono “notizie” in senso assoluto.

Esistono eventi, fatti, avvenimenti, ma ciò che li trasforma in “notizia” è un processo complesso di selezione, framing e percezione. Una sorta di manipolazione che, negli ultimi anni, si è trasformata sempre più in propaganda, in “fabbricazione” del pensiero delle masse.

Questo processo, spesso invisibile, plasma l’opinione pubblica creando narrazioni che possono stravolgere la realtà.

Analizziamo due casi emblematici di cui ho già discusso in alcuni miei post sul profilo Linkedin.

CASO 1: LA NARRAZIONE DEL PERICOLO RUSSO E LA MATEMATICA DELL’ASSURDO

QUANTO IMPIEGHEREBBE LA RUSSIA A CONQUISTARE L’EUROPA?

The Economist e l’Institute for the Study of War hanno fornito dati concreti: con l’attuale velocità dell’avanzata, pari a 15,8 km² al giorno, la Russia impiegherebbe 89 anni per occupare l’Ucraina. Per raggiungere il Portogallo, oltre 1760 anni. E questo senza considerare la risposta della NATO, che renderebbe l’ipotesi matematicamente impossibile.

PERCHÉ QUESTA NARRAZIONE PERSISTE?

La paura giustifica politiche impopolari: riarmo massiccio (centinaia di miliardi per acquisto di armi), restrizioni alle libertà personali (controlli di movimento, pagamenti, profilazione dei dati personali) spacciate per “sicurezza nazionale”.

Non ultima, la sovvenzione all’economia di guerra USA. L’economia americana è strutturalmente legata al complesso militare-industriale. Un’Europa in armi è un mercato garantito, soprattutto in un contesto di debito USA insostenibile.

In pratica, gli USA fanno le guerre, ma a finanziarle sarà l’Europa.

Poi c’è la dissonanza cognitiva istituzionale.

Perché gli stessi leader che oggi dipingono la Russia come una minaccia esistenziale, fino a ieri ne dichiaravano il collasso imminente (soldati ubriaconi, pale rubate, rublo “carta straccia”, Putin morente di cancro, sanzioni dirompenti che ne avevano annientato l’economia).

Siamo di fronte a incompetenza, follia, o a una calcolata manipolazione del consenso?

I dati suggeriscono la terza opzione.

Tuttavia, la conquista dell’Europa che potrebbe avvenire non prima del 3785 d.C. non è un pericolo reale. Certamente non imminente. Almeno non nei prossimi due o tre secoli.

Ma è uno straordinario strumento retorico di propaganda per imporre agende politiche ed economiche.

CASO 2: LA GERARCHIA DELLE VITTIME E LA VIOLENZA “SELEZIONATA”

LA PERCEZIONE CAMBIA LA GRAVITÀ DI UNA NOTIZIA

Un uomo ucciso dalla madre e dalla compagna, ma la notizia è finita quasi in sordina.

Proviamo a invertire i generi: assassini uomini, vittima donna.

I titoli urlerebbero ancora oggi: “FEMMINICIDIO BESTIALE”, “MOSTRI SENZA PIETÀ”. Talk show, dibattiti parlamentari, richieste di pugno di ferro.

IL PARADOSSO GIURIDICO E MEDIATICO

La legge sul femminicidio aggrava automaticamente la pena per gli uomini, garantendo spesso l’ergastolo. Stessa ferocia, stessa crudeltà, ma se le assassine sono donne, l’ergastolo diventa un’eventualità, non una certezza.

Pertanto, alcune vite sono “notiziabili”, altre no.

La vittima uomo non indigna abbastanza, non rientra nel frame narrativo del “femminicidio”, dunque non fa audience. E se non fa audience, non vende.

In pratica, l’informazione mainstream non svolge più l’importante ruolo di informare, ma indottrina, stabilisce cosa pensare, cosa sia corretto e cosa scorretto, cosa sia giusta e cosa no.

Orami, si tratta di un mero sfruttamento emotivo per fare soldi e chi se ne importa se la narrazione tossica trasforma tragedie in strumenti ideologici.

Un’informazione corretta dovrebbe evidenziare il fatto che si chiedono pene esemplari, perché si investono risorse non adeguate per prevenire (forze dell’ordine efficaci, educazione, contrasto a culture misogine).

Ma analizzare queste evidenze significherebbe ammettere che lo Stato non investe abbastanza in prevenzione perché non ci sono soldi.

Anzi, ci sono, ma vanno via per armi da acquistare dalle fabbriche americane per mandarle in Ucraina, dove alimentiamo una guerra che, nonostante migliaia di giovani ucraini mandati al macero, l’unico esito possibile sarà dover trattare con la Russia.

Cosa che sapevamo già nel 2022 e che, se avessimo avuto leader europei all’altezza, migliaia di famiglie ucraine non sarebbero costrette a piangere sedie vuote intorno al tavolo.

QUESTO NON È UN DISCORSO “CONTRO LE DONNE“, ovviamente, ma è una denuncia dell’ipocrisia di un sistema che crea vittime di “Serie A” (donne uccise da uomini) e di “Serie B” (uomini uccisi da donne, o vittime “scomode” come quelle di una certa criminalità immigrata, spesso taciuta per non urtare il politicamente corretto).

Ma queste contraddizioni svuotano di significato l’Articolo 3 della Costituzione (“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale”) sostituendo l’uguaglianza con una giustizia emotiva e selettiva.

Altro che “La legge è uguale per tutti”!

VERSO UN GIORNALISMO ETICO, O LA FINE DELLA DEMOCRAZIA?

Il framing non è solo una tecnica giornalistica, ma può diventare un pericolosissimo meccanismo di potere.

Nel caso Russia, si costruisce un nemico per giustificare spese militari e controllo sociale.

Nel caso violenza, si seleziona l’indignazione per massimizzare il profitto e consolidare narrazioni ideologiche.

Ci sarebbe anche un terzo caso da analizzare, per la sua crudele potenza retorica, ma mi limiterò ad accennarlo.

Israele vs Russia.

Nel caso di Mosca contro Kiev, esistono aggressore e aggredito, Diritto internazionale non rispettato, innocenti da aiutare e a cui inviare armi, mentre agli aggressori si devono imporre sanzioni.

Nel caso di Gaza, invece, l’aggressore diventa aggredito. Anche quando si vanta di omicidi mirati commessi in territori stranieri. Anche quando bombarda paesi sovrani come l’Iran. Persino di fronte a un genocidio, c’è chi sostiene che i bambini uccisi un po’ se la siano cercata in quanto figli di terroristi.

E poi, i terroristi si nascondono negli ospedali, perbacco!

Solo che quando la Russia utilizzava la stessa scusa, era un crimine.

Putin condannato dalla CPI per crimini di guerra diventa un criminale. Netanyahu condannato dalla stessa Corte internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità, diventa vittima dei giudici internazionali, contro cui gli USA chiedono sanzioni e rappresaglie.

SCOPO E RISULTATI DELLA DISTORISIONE DELLA REALTÀ?

Beh, tali condotte portano ad alimentare un’opinione pubblica ansiosa e manipolata e a un dibattito pubblico povero, sterile e polarizzato.

La distorsione sistematica della realtà mina la fiducia nelle istituzioni e nel giornalismo. Perché, diciamolo, quante persone intelligenti possono ancora credere a chi ha raccontato di pale, muli e microchip smontati dalle lavastoviglie ucraine? Quanti possono ancora dare credito a chi dava la Russia spacciata entro Natale 2022 a causa delle nostre “sanzioni dirompenti”?!

Eppure, la distorsione della realtà ha lobotomizzato molti, nonostante le evidenze, i fatti e la realtà abbiano presentato il conto grazie al tempo.

LA SFIDA PER LA SOCIETÀ DEMOCRATICA

Beh, se davvero l’Occidente vuole salvare quel poco di democrazia che resta, deve riconoscere che la notizia è sempre un prodotto costruito. Perciò le persone devono esigere un giornalismo che sveli i propri frame invece di nasconderli, che rispetti tutte le vittime con uguale dignità e che rifiuti di essere megafono di narrazioni tossiche, che siano belliciste, securitarie o ideologicamente opportuniste.

Il mio consiglio è informarvi sempre da più fronti, privilegiando chi non ha editore, aziende, associazioni, partiti, politici o aree politiche di riferimento. Soprattutto, mettete a confronto tesi diverse e giudicate con il vostro spirito critico.

Domandatevi sempre: “CHI TRAE VANTAGGIO DA QUESTA NARRAZIONE?”

La democrazia sopravvive solo con cittadini capaci di fare queste domande e che sappiano usare lo spirito critico.

Al contrario, chi alza le spalle e chi prende per oro colato ogni notizia è il miglior cittadino possibile di qualsiasi dittatura.

NULLA È GRATIS! E NIENTE ARRIVA PER CASO 

di Danilo Preto

Partiamo dalle dichiarazioni di Vogue Casa che riporta prima e dopo la foto di apertura, nella edizione online, l’informazione che potrebbero esserci stati dei pagamenti per quanto scelto (liberamente?) e ora oggetto di pubblicazione.

Puoi verificare sull’articolo di Vogue: CLICCA QUI.

Qui non discutiamo certo della bellezza delle immagini, della qualità estetica dei prodotti posti all’attenzione dei lettori e del loro fascino.

Le testate di Vogue sono da sempre sinonimo di attenta esplorazione sui cambiamenti nella moda, nello stile , nelle relazioni e nella riproposizione, sfilata dopo sfilata, del gusto e dello stile dei prossimi sei mesi.

E di stupendi set fotografici.

IL NOSTRO GUARDAROBA CAMBIA OGNI SEI MESI? 

Sì perché la moda presentata nelle collezioni durante la sfilate dura quel tanto che basta per innamorarsi o criticare i nuovi dei che sono gli stilisti, i fashion maker, le nuove icone a cui ispirarsi per la prossima stagione quando sfoggeremo quelle mise.

O forse mai, noi, che siamo abituati o costretti al fast fashion perché quello è il nostro target di spesa.

Ma se vogliamo, per una serata e forse per una sola volta nella vita, possiamo noleggiare gli abiti e gli accessori originali e costosi dei nostri sogni.

Ci sono dei negozi che ti mettono a disposizione quello che vuoi, pagando, le tue ricche scelte. È la nuova tendenza dell’imitazione ad ogni costo.

L’ANONIMATO DEI SIGNORI ROSSI 

Ok. Ma poi cosa resta?

La nostra normalità che è forse più appagante del sogno di una notte.

Ma poi sorge un’altra domanda: cos’è più borghese fra l’aver vissuto un sogno (o vissuto come tale) effimero o la vita di tutti i giorni con i suoi alti e bassi, le sue delusioni ma anche con le sue gratificazioni, gioie (non dite che non ne avete!).

Abbiamo preso a prestito il cognome più comune in Italia per non offendere nessuno, ma se avete ammirato, invidiato, il matrimonio di Jeff e Laurent a Venezia, o se avete disprezzato la loro esibizione di potenza e ricchezza, non resta che rifugiarvi nel vostro mondo.

Basta saperlo leggere con gli occhi di chi ha la consapevolezza del proprio ruolo nella società. Il che non vuol dire rinunciare alle ambizioni, ma dotarsi di intelletto per lavorare con l’obiettivo di conseguire i successi a cui ognuno di noi dovrebbe ambire. 

PRONTI A PAGARE PER ESSERE PROTAGONISTI? 

Sapendo, come si diceva in apertura , che nulla è gratis.

L’altra faccia della medaglia è che magari poi diventeremo tutte copie e al prossimo matrimonio o festa di gala scopriremo che c’è una ripetizione estetica indossata da chi vi sta di fronte.

Allora non resterà che esplodere in una risata di compiacimento goliardico, sempre ammesso che chi vi sta di fronte la pensi allo stesso modo.

Altrimenti preparate la ritirata. Con classe, però!

Ognuno metta del suo, serenamente e sempre, ma con caparbietà per tentare di cambiare, se si vuole, il proprio ruolo in questa società.

Auguri a tutti!!!

LA COMMISSIONE EUROPEA E L’OBBLIGO DI AUTO ELETTRICA. EUROPA POST-SOVIETICA

Ammettiamolo.

Tanti di noi credevano davvero che l’Europa fosse un bene, la panacea per ogni male, che avremmo lavorato un giorno in meno guadagnando di più.

Per qualche tempo, l’incantesimo sembrava anche funzionare. Poi è arrivata von der Leyen.

La sua politica green ha annientato un secolo di superiorità industriale europea nell’arco di cinque anni, mandando perfino case produttrici come quelle tedesche in difficoltà mai avute prima.

Molti marchi, infatti, per soddisfare i limiti del 2035, hanno investito miliardi di euro, indebitandosi fino al collo, per riconvertire interi stabilimenti alla produzione di auto elettrica, prodotto per cui la Cina è avanti anni luce e può mettere sul mercato auto a prezzi inferiori.

Il risultato è stato un’apocalisse. L’auto elettrica è stata un flop e, delle poche vendute, quasi tutte parlano cinese, oppure sono Tesla.

La Germania è in ginocchio e gli altri non se la passano meglio.

A questo punto, un politico serio e capace, tornerebbe sui suoi passi, allungando di almeno 15 anni la transizione.

Ma non Ursula von der Leyen. Un po’ perché ci ha abituati che il massimo che può fare lo sta già facendo e non possiamo pretendere di più da lei, un po’ perché le case automobilistiche che si sono gettate nell’elettrico chiedono un conto salato da pagare a lei e ai gruppi parlamentari che l’appoggiano.

Queste industrie sono anche quelle che poi finanziano le campagne elettorali, che non sono a buon mercato… quindi…

Ecco che spunta la genialata del secolo: l’ipotesi di imporre solo auto elettriche per le flotte aziendali entro il 2030, un capolavoro di autoreferenzialità istituzionale. Un esperimento sociologico su come un paradigma culturale “green a tutti i costi” possa frantumarsi contro la realtà economica, logistica e umana.

UN MANDATO CHE ASSOMIGLIA A UN CAPPIO AMMINISTRATIVO

Immaginate le agenzie di noleggio aeroportuali?

Dover rottamare intere flotte a combustione – con vetture ancora valide, già ammortizzate, operative, spesso con pochi anni sulle spalle – per sostituirle con EV costosissime.

Con quali capitali? Con quale infrastruttura di ricarica? Con quale realismo?

Il risultato è prevedibilissimo a chiunque mastichi dinamiche organizzative: il crollo del settore del noleggio.

Troppo rischio. Troppi debiti. Troppa follia. Si vendono le auto in pancia e si cambia mestiere.

Sempre che le auto elettriche non le paghi tutte l’Europa, stanziando parte degli 800 miliardi per il riarmo…

E LE FLOTTE AZIENDALI PER QUADRI E DIRIGENTI?

Se questa proposta diverrà una norma, il benefit dell’auto aziendale sarà morto e sepolto.

Le aziende, per evitare la forca normativa, torneranno ai buoni carburante e al fantomatico “rimborso chilometrico”.

Pensate al rappresentante che fa 80.000 km/anno.

Dovrà usare la sua auto, logorarla, gestire manutenzioni infinite, litigare con la contabilità per un rimborso che non coprirà mai i costi reali.

In pratica, l’Europa obbligherà le aziende e la società a un regresso sociale mascherato da progresso ambientale.

Un aumento di stress, conflitti interni, inefficienze. Tutto per un dogma che in nessun modo potrà portare risultati.

Quella di Ursula von der Leyen e della sua Commissione è una dissonanza cognitiva fatta di proclami magnifici ed effetti disastrosi di chi è dissociato dalla realtà e ha problemi evidenti di comprensione.

IL VERDETTO DEL MERCATO SULL’AUTO ELETTRICA? UN SONORO “NO”!

Nonostante le imposizioni da regime sovietico attuate dall’Europa, che vuole imporci come vivere, come spostarci, quale auto acquistare, quando e in che modo, il mercato ha bocciato queste idee oltranziste contrarie a ogni forma di progresso democratico e a ogni logica di crescita economica.

Prezzi proibitivi. Autonomia limitata. Rete di ricarica anemica. Prodotto dai valori e dalle funzionalità opposte a quello pubblicizzato fino all’altro ieri.

E la Commissione, invece di rivedere la strategia, cosa fa? Raddoppia la dose.

La Commissione cerca di scaricare sui bilanci aziendali e sui lavoratori i costi di una transizione mal gestita per tentare di ripagare gli investimenti industriali sbagliati con una forzatura di mercato.

Ma sarà un disastro ancora peggiore di quello già causato finora.

LA REGISTA DI QUESTO DISASTRO ANNUNCIATO? URSULA VON DER LEYEN

La Presidente della Commissione ha cavalcato l’onda green con la grazia di un toro in una cristalleria.

Ha trasformato una necessità ecologica condivisibile! in un dogma punitivo.

Ignorando studi di fattibilità, allarmi industriali, evidenze sociali con una Comunicazione..? Zero comunicazione.

Ascolto dei cittadini e delle imprese? Meno che zero.

Capacità di mediazione tra ideale e realtà? Una tabula rasa.

La transizione ecologica è necessaria, ma anche evitare disastri sociali e un’ecatombe finanziaria. Servono politici capaci e lungimiranti, che sappiano cosa significhi un riposizionamento di prodotto e fare branding. Altrimenti, come si evince, si fanno disastri.

Imporre con decreti un cambiamento infrastrutturale epocale -senza piani credibili, senza risorse adeguate, senza consenso sociale, senza il giusto tempo – è pura follia tecnocratica.

Non salverà il pianeta, ma ucciderà interi settori.

Aumenterà le disuguaglianze e la rabbia sociale verso le istituzioni UE.

Si poteva fare peggio?

Per me no.

Per te?

Tamago-zine promuove un’iniziativa che ne incarna lo spirito. Il magazine premierà i lettori più partecipi e costruttivi con un’opera d’arte originale della serie “In My Heart”, firmata da PREDA (nome d’arte di Danilo Preto).

L’opera, dal valore commerciale di alcune centinaia di euro, è un pezzo unico già esposto in contesti come Roccart Gallery a Firenze e Galleria Accorsi a Torino.

Il premio sarà assegnato ai primi utenti che, entro il 31 dicembre 2025, raggiungeranno un totale di 30 commenti pertinenti e argomentati agli articoli pubblicati sul sito in ciascuna delle categorie indicate sotto la voce “blog”.

CHI RICORDA GLI ANNI SETTANTA? 

di Danilo Preto

Gli Anni ’70. Sì, quelli degli anni di piombo vissuti in una bolla terroristica con le BR a capeggiare un’auspicata e provocabile rivolta sociale.

Diciamo che è passato mezzo secolo, ma sembra che tutto stia tragicamente tornando.

In questi due articoli che corredano il mio pezzo ci sono tutti i sintomi di un pensiero contro. Lo tengo breve, il mio intervento, perché credo che gli articoli parlino da soli.  

ATTI INTIMIDATORI CONTRO LA STAMPA 

Tentare di togliere il pensiero alla stampa o a metterle il bavaglio con manifestazioni intimidatorie forse ha l’effetto contrario.

Quello che è capitato a Milano con le manifestazioni contro le due testate giornalistiche “Il giornale” e “Libero” è rimasto assolutamente sotto un silenzio assordante da parte degli altri organi di informazione. Il che mi è sembrato un atto molto grave.  

PADOVA E GLI ANARCHICI  

Mi riallaccio a quello che è successo a Padova documentato nell’altro articolo, perché negli anni di piombo qualcuno si ricorderà che c’è stato Il rapimento del generale Dozier tenuto in ostaggio proprio a Padova dalle BR e liberato dalle nostre forze di polizia.

Ancora Padova (12 luglio 2025) con questi striscioni inquietanti e con la riunione di urgenza indetta dal prefetto a cercare di capire ed intervenire.

Ma l’effetto deterrenza non ci sarà, se ci sarà, solo arrestando chi vuole proporre un’altra identità nazionale. 

POI TOCCHERÀ ALLA MAGISTRATURA  

A me pare evidente, indipendentemente dalla quantità delle persone a cui appartengono gli antagonisti, inteso come identificazione generica, l’avversità totale e aggressiva rispetto ad un ordine sociale che abbia come fine la convivenza rispettosa e una crescita civile.

Chi protesta e dalla qualità delle proteste, viene la lettura della logica di chi scende in piazza con il favore delle tenebre piuttosto che da un’idea rivoluzionaria.  

CHI C’È DIETRO?  

Che ci sia un accavallamento di sigle ” contro” e che si manifesti con inquietante frequenza e provenienti essenzialmente da una matrice sinistroide, anche sostenuta da frange del sindacato che dichiaratamente vogliono rovesciare come un calzino l’Italia, sono parole di Landini segretario generale della CGIL, mi pare preoccupante se non altro perché si va oltre a quelle che sono le rivendicazioni della base sociale.  

LEGGERE PER CAPIRE  

Come promesso mi fermo lasciando a voi il compito di leggere i due articoli e se volete anche il mio, capire, intervenire, commentare e, soprattutto se non si è d’accordo, lasciare un pensiero critico ma lucido e motivato. Grazie a chi vorrà intervenire.  

Ecco due articoli su cui riflettere:

Milano Today

Padova Oggi

Tamago-zine promuove un’iniziativa che ne incarna lo spirito. Il magazine premierà i lettori più partecipi e costruttivi con un’opera d’arte originale della serie “In My Heart”, firmata da PREDA (nome d’arte di Danilo Preto).

L’opera, dal valore commerciale di alcune centinaia di euro, è un pezzo unico già esposto in contesti come Roccart Gallery a Firenze e Galleria Accorsi a Torino.

Il premio sarà assegnato ai primi utenti che, entro il 31 dicembre 2025, raggiungeranno un totale di 30 commenti pertinenti e argomentati agli articoli pubblicati sul sito in ciascuna delle categorie indicate sotto la voce “blog”.

ANCHE I RICCHI PIANGONO

POVERA LAUREN

Chissà se Jane Birkin se lo sarebbe mai aspettata nel 1984. Sì perché la famosa borsa di Hermès a lei dedicata in quell’anno è stata battuta all’asta ed aggiudicata per 8,6 milioni di dollari.

IL MONDO È CATTIVO

Ma non se l’è aggiudicata Lauren (Bezos) che pure ha partecipato all’asta di Sotheby’s a Parigi. Immaginiamo la di lei feroce e insopportabile delusione!

TRANQUILLA, CI PENSA JEFF

Ma c’è sempre una maniera e un tempo per rimediare. Sembra infatti che Jeff (Bezos), il signor Amazon e marito di Lauren, abbia in animo di acquisire la casa editrice Condè Nast, proprietaria tra l’altro di Vogue, dove la signora di cui sopra è comparsa nel numero di giugno di Vogue USA.

SE NON SEI SU VOGUE NON ESISTI Appunto, in copertina vestita con tanto di abito nuziale di Dolce e Gabbana sfoggiato a Venezia per il matrimonio c’era lei.

Un regalino postumo rispetto alla delusione patita alla all’asta che avrebbe In ogni caso un valore di 5 miliardi di dollari Ma sono solo illazioni

JEFF E LE MANCE

Già, perché Jeff non è generoso solo con sua moglie. Sembra che a Venezia abbia rilasciato una mancia di 45 mila euro per i dipendenti dell’albergo Aman, l’ albergo a sette stelle che li ha ospitati. Avrà arrotondato, svuotando quello che gli era rimasto in tasca, penso. L’ho sempre detto che ho sbagliato lavoro! Ma mi va molto bene così…

IN APPENDICE: SULL’HOTEL AMAN A VENEZIA

Se qualcuno ha voglia di sapere un po’ di più sull’hotel, sulla proprietà, e sui contorni vi invito ad andare su Wikipedia e digitare Vladislav Doronin.

DALLE CORNA ALL’OLOCAUSTO DI GAZA, QUANDO L’UMANITÀ PERDE LA BUSSOLA

La kiss-cam dei Coldplay è un rituale da stadio, gioioso e ingenuo, che ha reso peculiare la famosa band.

In questi giorni, invece, si è trasformata in prova inoppugnabile per un tribunale mediatico globale. Neanche fosse stata puntata sui crimini commessi a Gaza o su un gay pride.

No, è stata puntata su due perfetti sconosciuti.

Due manager di una società ignota a tanti, fino ad allora, ignari di essere inquadrati, erano abbracciati durante un concerto dell’iconica band.

La loro colpa? Essere amanti ed essere stati beccati dalla kiss-cam. Proprio loro tra decine di migliaia di fan.

Quando si dice che la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo, è vero.

Sui social è scoppiato il putiferio: video virale, articoli e gossip, ingiurie. Una soap opera in diretta, con tanto di pubblico pronto ad applaudire al linciaggio digitale.

LA DISTOPIA DELL’INTIMITÀ DA BARACCONE

Ma cosa siamo diventati?

Siamo immersi in un voyeurismo patologico.

L’intimità tradita diventa intrattenimento globale. E l’utilità sociale di questa storia di corna?

È pari a zero. Anzi, meno di zero, poiché normalizza la caccia alle streghe digitale.

Per di più, in una società che fino a ieri riempiva i profili social di attacchi ad Orban perché l’amore è libero e non ci si dovrebbe intromettere nella sessualità degli altri.

Quindi, ricapitolando, va tutto bene, basta che non ci siano le corna di mezzo, eh?!

Non mi permetto di emettere sentenze morali sul tradimento, di cui mi interessa come del meteo su Saturno, sinceramente.

Tuttavia, mi limito a un consiglio disincantato a chi tradisce il proprio partner: se volete infrangere i voti matrimoniali, e non avete l’ingenuità di un adolescente, evitate concerti, piazze affollate, località turistiche, perché il rischio di essere riconosciuti o immortalati anche solo da uno smartphone è elevato.

E tale ingenuità non è già di per sé un buon motivo per essere sospesi o licenziati da mansioni con alto impatto di responsabilità?

Lo chiedo senza malizia, come invito a meditare prima di dare fiducia per ruoli importanti a persone che potrebbero dimostrare la stessa ingenuità anche nel lavoro, mettendo a repentaglio l’azienda.

Detto ciò, andiamo al cuore del tema di questo articolo.

PERCHÈ LE CORNA FANNO RUMORE, MENTRE PER GAZA C’È SOLO SILENZIO?

Mentre il web s’infiammava per due sconosciuti, a Gaza si consumava un altro giorno di morti e orrore.

Siamo a 18.000 bambini uccisi in due anni. Oltre 53000 innocenti totali.

Un genocidio certificato da ONU e organizzazioni umanitarie. Eppure, il rumore di fondo è appena un sussurro, paragonato al clamore suscitato dai due amanti al concerto dei Coldplay.

Netanyahu, su cui pende il mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità, viene ricevuto con onori dai governi occidentali.

Nessuna sanzione. Nessun embargo. Solo un silenzio complice, sporco di sangue.

LA SCHIZOFRENIA DELL’OCCIDENTE: 18 PACCHETTI DI SANZIONI PER MOSCA, 0 PER TEL AVIV

La farsa dell’Occidente ha ormai raggiunto vette che, fino a pochi anni fa, erano immaginate solo nei film di fantascienza.

L’Europa ha varato ben 18 pacchetti di sanzioni contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina.

Giusto? Sbagliato? Inutili?

Sì, no, forse. Li ha varati in nome del Diritto internazionale, e questo è un fatto.

Ma davanti al massacro di Gaza e ai dettami del Diritto internazionale, Bruxelles non è riuscita a varare neppure un timidissimo primo pacchetto di sanzioni.

L’Europa e anche il governo italiano non sono riusciti neppure a rimettere in discussione gli accordi bilaterali con Israele.

Perché con la Russia sì e con Israele no? Perché due pesi e due misure? Perché se Putin aggredisce stati sovrani è un criminale e se Netanyahu aggredisce stati sovrani, uccide persone fisiche in altre nazioni e commette un genocidio, viene ricevuto come un presidente democratico?

Belle domande.

Non un provvedimento contro Israele. Non una condanna ferma, che non sia solo di facciata.

Finora, solo dichiarazioni di circostanza e post smentiti dalle azioni concrete, mentre i bulldozer israeliani spianano ospedali e le bombe continuano a uccidere.

LE MASSE ISTERICHE E L’INDIFFERENZA MORALE

Nel frattempo, le stesse masse che hanno trasformato la coppia dello scandalo in un trend mondiale, scrollano gaza come un reel noioso.

Perché, ormai, l’indignazione è selettiva, ma esplode per le corna di perfetti sconosciuti, mentre si spegne per i bambini cancellati dal nazismo del nuovo millennio.

Ci commuoviamo per un gattino salvato dal fosso, ma 180 piccoli corpi mutilati al giorno sono un dettaglio. Per qualcuno, addirittura una scocciatura.

D’altronde, siamo la società in cui i reality immondizia fanno più audience di Alberto Angela. Non si può pretendere di più se il livello culturale delle masse è questo.

DOVE SI È NASCOSTA L’UMANITÀ?

Siamo diventati questo? Spettatori passivi di un reality show globale, dove il dramma privato di una coppia di individui qualunque oscura l’apocalisse di un’intera etnia?

La comunicazione è ridotta a gossip, l’etica a un hashtag.

Le masse preferiscono gli inciuci delle coppie di ignoti che svendono la loro dignità in programmi come Temptation Island o egocentrici in cerca di fama chiusi nella casa del Grande Fratello.

Le stesse masse a cui, se chiedi di studiare una lingua, di riprendere gli studi, o semplicemente di leggere un buon romanzo, ti rispondono che non hanno tempo.

Già… il valore del loro poco tempo liberò è quello dei reality. Vuoi mettere?

LA SOCIETÀ DELLO SPETTACOLO HA VINTO. L’ESSERE UMANO HA PERSO

Ormai, viviamo in una società dove lo spettacolo sostituisce la realtà. Dove la massa preferisce le corna di uno sconosciuto al genocidio di un intero popolo.

Se la nostra società fosse quella dei nostri nonni e bisnonni, vincerebbe Hitler, con la sua storia con Eva Braun, che diventerebbe virale, mentre l’Olocausto passerebbe in secondo piano, come una scocciatura.

Come una fake inventata dalla propaganda nemica.

Un po’ come l’dea che i guai di Ursula von der Leyen siano inventati da Mosca e non dal fatto che la signora ha usato i soldi degli europei come fossero suoi, acquistando vaccini in maniera oscura, tanto da cancellare i messaggini su WhatsApp per nascondere la verità a chi indagava.

O come l’idea che a Gaza sia tutto finto, senza che le masse si domandino come mai Israele vieti la presenza dei cronisti occidentali e abbia mandato al creatore oltre 220 giornalisti locali dal 2023 a oggi.

Proprio come accade con il trionfo del gossip dei manager, mentre ci si volta dall’altra parte di fronte al genocidio dei palestinesi.

Gaza è la nostra vergogna storica. La coppia di amanti è il sintomo evidente di una società malattia terminale.

E mentre Netanyahu continua indisturbato i suoi crimini, noi siamo qui a discutere se quel manager ha fatto bene a dimettersi o se sia giusto o sbagliato tradire.

Perché la società del nulla non è in grado di contenere un pensiero tanto grande quanto la vita. Al più, può comprendere una soap opera o la propaganda di una verità.

Allora, imploro i Coldplay di puntare la kiss-cam su Gaza. Chissà che non sia l’unico modo per generare interesse globale sui veri problemi del pianeta.

L’ASSENZA DELLE ISTITUZIONI A WIMBLEDON. UN FALLIMENTO PER IL BRAND ITALIA

di Pasquale Di Matteo

UNA SCENA VUOTA, UN PAESE SMINUITO

La finale di Wimbledon non è solo associata al mondo del Tennis, ma è il palcoscenico globale più esclusivo dello sport. L’erba di Wimbledon ha radici storiche profonde.

Jannik Sinner, numero 1 al mondo, primo italiano nella storia a contendersi il trofeo da favorito, senza offesa per Berrettini, senza speranze contro quel fenomeno di Djokovic.

Eppure, tra i reali britannici e spagnoli, c’erano le star di Hollywood, star internazionali e imprenditori noti, ma nessun volto istituzionale italiano. Nemmeno l’ultimo degli uscieri alla sede del CONI.

Un vuoto che non è solo una mancanza protocollare, ma un terremoto comunicativo che ha scosso le fondamenta del “Brand Italia”.

I DANNI IMMEDIATI: FERITE ALL’IMMAGINE NAZIONALE

  1. L’ITALIA CHE ABBANDONA I SUOI CAMPIONI
    Il messaggio trasmesso al mondo? 

“L’eccellenza non merita attenzione”.

Mentre la Spagna è al fianco della sua eccellenza in campo, e lo fa con la massima carica istituzionale, oltre al ministro dell’Interno Fernando Grande-Marlaska – in rappresentanza del governo – e all’ambasciatore spagnolo a Londra, l’Italia è distante, disorganizzata, incapace di cogliere momenti storici. Probabilmente a domandarsi chi debba andare a Londra.

Alla fine, c’erano solo il console e l’ambasciatore italiani a Londra, presenti nel Royal Box, ma che certo non possono reggere il confronto con un uomo di Stato giunto direttamente da Roma.

E sì, c’erano anche Volandri e i massimi vertici del tennis italiano, ma loro non rappresentano né tutto lo sport italiano, tanto meno l’Italia.

Il paragone con la massima carica istituzionale spagnola e con un membro del suo governo è poi imbarazzante e dimostra il valore che le istituzioni danno a Sinner, – e all’opportunità che Sinner può aprire per le nostre imprese, – e quello che la Spagna dà ad Alcaraz.

Un colpo mortale alla credibilità istituzionale.

  1. LA FRATTURA NELL’IDENTITÀ NAZIONALE
    Sinner, altoatesino, simbolo vivente di un’Italia unita oltre le divisioni era un’occasione d’oro per rinsaldare il patto tra cittadini e Stato. Svanita. Quell’assenza ha detto più di mille discorsi.
  2. IL RITORNO DEGLI STEREOTIPI NEGATIVI
    “Italiani brava gente, ma improvvisati e poco seri”. Il cliché che credevamo sepolto è riemerso in maniera prepotente grazie a un comportamento provinciale.

“Hai visto? Nessuna istituzione degna di nota era presente, per l’Italia. Confermano di non capire il valore delle occasioni”.

LE OPPORTUNITÀ PERDUTE DI VALORE

BRAND ITALIA SVENDUTO ALL’ASTA

  • LA MODA SENZA PALCOSCENICO
    Wimbledon è una passerella globale. Un ministro in un tailleur o in giacca griffata da una delle nostre eccellenze avrebbe fatto il giro del mondo. Invece, il silenzio. Milioni di euro di visibilità gratuita per il made in Italy evaporati.
  • CIBO, VINO, BELLEZZA: NESSUNA DEGUSTAZIONE
    Un ricevimento all’ambasciata con Parmigiano, Brunello e olio toscano? Un meeting per la stampa internazionale con cioccolato Perugina? Opportunità zero. Il mondo ha bevuto champagne francese, – con una bottiglia stappata persino sugli spalti, durante la partita, che è un prepotente messaggio di MARKETING – mentre i nostri prodotti restavano in cantina.
  • IL TURISMO FERMO AL VIA
    Sinner è l’ambasciatore perfetto dell’Alto Adige: natura, efficienza, bilinguismo. Un video istituzionale tra le sue montagne durante la finale, magari con il ministro del Turismo o con un suo delegato? Avrebbe generato prenotazioni. Invece, neppure un tweet.

JANNIK SINNER, ICONA SENZA PATRIA

Quel ragazzo sobrio, determinato, innovativo, educato, incarna l’Italia che vorremmo far vedere al mondo: giovane, competente, internazionale.

Le istituzioni potevano trasformarlo in un logo vivente del rilancio nazionale, MA Hanno preferito fare altro.

Sinner vince, anzi trionfa, ma il suo trionfo non ha bandiera ed è figlio dell’individualità, delle imprese familiari, delle aziende che diventano eccellenza grazie ai singoli, mentre le istituzioni sono assenti.

I DANNI COLLATERALI

  • IL PARAGONE CHE UCCIDE
    Mentre Re Felipe di Spagna abbracciava Alcaraz e i reali d’Inghilterra, l’Italia era assente e ha offerto al mondo poltrone vuote. Un danno comparativo che brucia più di una eventuale sconfitta di Sinner in tre set.
  • GIOVANI ITALIANI: IL MESSAGIO AVVELENATO
    “Studiate, impegnatevi, diventate i migliori al mondo. Ma non contate sul vostro Paese”. 

Ecco cosa abbiamo detto ai nostri talenti e ai nostri imprenditori.

  • SOFT POWER AZZERATO
    Wimbledon è diplomazia parallela. Un sorriso e una stretta di mano a Kate e a Felipe, o a un CEO, una foto con un influencer internazionale. Reti di contatti d’oro perse.

LA LEZIONE DI MARKETING: COSA DOVEVAMO FARE

STRATEGIA ZERO EURO, IMPATTO MILIARDARIO

  1. PRESENZA SIMBOLICA AD ALTO IMPATTO
    Non serviva il Presidente. Bastava un sottosegretario giovane, dinamico, in perfetto stile “Sinner”. Con una cravatta verde (il colore di Wimbledon) e un badge tricolore. Meglio se con un bicchiere di vino italiano. E visto che altri hanno stappato Champagne… Ogni zoom della BBC lo avrebbe immortalato.
  2. STORYTELLING MULTIPIATTAFORMA
    Si poteva preparare la cosa coinvolgendo lo stesso Sinner, in video di 60 secondi, con Jannik che si allena sulle Dolomiti, artigiani che cuciono scarpe da tennis, nonni che brindano in Trentino. Oppure con un bambino che gioca a tennis e sogna di sfondare, se Sinner non avesse accettato. #ItaliaConSinner. Viralità garantita.
  3. LAVORARE SULLA PERCEZIONE, NON SULLA POLITICA
    Associazioni subliminali.
    • Sinner = Eccellenza tecnologica. “Il suo preparatore atletico usa strumenti e metodologie innovative”.
    • Sinner = Stile italiano. “La sua eleganza in campo? È quella di un Armani, di un Trussardi…”
    • Sinner = sinfonia perfetta. “La perfezione del gioco di Sinner è come quella dei liutai cremonesi, eccellenza nel mondo”.

E si potrebbe andare avanti quasi all’infinito.

WIMBLEDON 2025, L’AUTOGOL PERFETTO

Quel vuoto alla finale di Wimbledon non è stato un “impegno imprevisto”, ma è il sintomo di una malattia cronica dell’Italia: l’incapacità di leggere il valore della comunicazione simbolica.

Mentre Sinner sollevava il trofeo, l’Italia perdeva diverse cose fondamentali per la nostra immagine, le nostre imprese e per le nostre eccellenze.

  • CREDIBILITÀ (siamo affidabili? Dall’assenza, non sembra.)
  • BELLEZZA (sappiamo valorizzarla? Dall’assenza, no.)
  • FUTURO (crediamo nei nostri giovani? Dall’assenza, no.)

Nell’era del mondo globalizzato e dei video virali, le assenze pesano più delle parole. E questo silenzio istituzionale risuonerà a lungo, per dire: “L’Italia c’è, ma non si vede”.

Agire o subire? La prossima volta, scegliamo di esserci.

Perché il branding non aspetta.

E il mondo del business non perdona.

Soprattutto gli incompetenti che non comprendono che, con i loro atteggiamenti, fanno male all’Italia.

ELENCO DETTAGLIATO DELLE CRITICITÀ EMERSE DALL’ASSENZA DELL’ITALIA AL FIANCO DI SINNER


1). Danni diretti all’immagine nazionale.

Percezione di disinteresse istituzionale.
Viene trasmessa l’immagine di uno Stato distante, poco orgoglioso dei propri campioni e incapace di riconoscere momenti storici. Il messaggio implicito è “L’eccellenza italiana non merita supporto ufficiale”.

2) Mancanza di coesione Nazionale. In un momento simbolo di unità (un altoatesino che rappresenta l’Italia sul tetto del mondo), l’assenza ha sminuito il valore unificante dello sport. Opportunità persa per rafforzare l’identità nazionale.

3) Amplificazione degli stereotipi negativi. Conferma, agli occhi internazionali, cliché sull’Italia come Paese disorganizzato, focalizzato sul breve termine, incapace di capitalizzare le opportunità positive.

4) Svalorizzazione del “Brand Italia”. Wimbledon è un palcoscenico globale d’élite. La presenza istituzionale avvalorava il “Brand Italia” associandolo a successo, eccellenza e prestigio. L’assenza lo ha indebolito.

5) Danno relazionale con il “Sistema Sportivo”. Segnale negativo al CONI, alla FIT e a tutti gli atleti, minando la fiducia nel supporto statale all’eccellenza sportiva.

6) Perdita di visibilità mediatica internazionale. Un leader istituzionale presente avrebbe garantito all’Italia secondi preziosi sui feed mondiali, interviste su reti come BBC, CNN, Sky Sports, con milioni di spettatori. E mi scusi se è poco.

7) Opportunità di Immagine e Comunicazione PERDUTE.

8) Nation Branding d’eccellenza e associazione con valori positivi: gioventù, determinazione, fair play, innovazione (nel tennis moderno), stile sobrio ed efficace di Sinner, con valori trasferibili al “Sistema Italia”.

9) Modernità e futuro: Sinner è l’antitesi degli stereotipi italiani datati. Rappresenta un’Italia dinamica, competente, internazionale e vincente.

Associarsi a lui avrebbe rinnovato la percezione del Paese, consolidando la reputazione di Paese che produce campioni assoluti non solo nel calcio, ma in discipline globali ed elitarie, anche grazie al supporto delle istituzioni. La loro assenza certifica il contrario.

10) Moda & Stile: Un rappresentante istituzionale (o una delegazione) avrebbe potuto indossare/elevare il meglio del Made in Italy (abbigliamento, accessori, design) su un palco internazionale. Immagine coordinata di eleganza discreta e qualità.

11) Food & Wine, con eventi collaterali o anche semplici gift bag per la stampa internazionale con eccellenze enogastronomiche italiane.

12) Turismo. Associare il successo di Sinner alla bellezza delle valli del suo (Alto Adige) o all’Italia in generale come meta di qualità, sport e benessere.

13) Tecnologia & Innovazione. Sinner è frutto anche di approcci innovativi alla preparazione. Opportunità per parlare dell’Italia della ricerca e dell’high-tech applicato.

14) Associazione dell’Italia a un’icona italiana di eccellenza. Sinner come ambasciatore.

Le istituzioni avrebbero potuto posizionarsi come “sponsor istituzionale” della sua ascesa, rafforzando il legame simbolico tra il campione e la sua nazione agli occhi del mondo, come nazione che compie sforzi per consentire agli italiani e alle imprese italiane di crescere ed eccellere nel mondo.

Senza supporto, il legame appare debole.

15) Narrativa di successo condiviso. La presenza di istituzioni in questi casi costruisce la storia di un’Italia che crede, investe e celebra i suoi talenti, facilitando la loro affermazione globale. Non solo nello sport, ma anche nelle imprese.

16) Segnale forte ai giovani italiani che non è arrivato. Anzi è arrivata l’evidenza del fatto che lo Stato non riconosce, non appoggia e non celebra chi si impegna e raggiunge l’eccellenza, anche fuori dai percorsi tradizionali.
Meglio impegnarsi e produrre lavoro altrove. Magari in Spagna, visto che…

17) Opportunità di coinvolgimento emotivo nazionale, rafforzando l’orgoglio di appartenenza alla nazione in modo positivo e contemporaneo.

18) Stile. Dimostrare che l’Italia sa essere presente con stile, discrezione e autorevolezza in contesti internazionali d’élite, superando l’immagine di nazione provinciale. Beh, peccato, sarà per la prossima volta.

19) Contrastare efficacemente l’immagine di distanza tra politica e vita quotidiana con un gesto di alto profilo simbolico.

DANNI COLLATERALI E RIFLESSIONI

1) L’assenza delle istituzioni italiane e la presenza di quelle spagnole, lede l’immagine dell’Italia all’estero, poiché percepita come nazione disinteressata a promuovere le sue eccellenze.

Inoltre, Wimbledon è anche un networking d’élite. Assenza = assenza di opportunità.

2) Segnale imbarazzante a chi vuole intraprendere in Italia. L’indifferenza verso un evento di rilevanza culturale e sociale globale, con un’eccellenza italiana in campo significa minore attrattività per talenti e investitori che cercano ecosistemi in cui le istituzioni siano di supporto.

3) Fallimento della Comunicazione istituzionale. Anche se motivata, l’assenza andava gestita con un messaggio proattivo, forte e compensativo (video ufficiale del Presidente, impegno solenne a seguire, presenza simbolica massima di ambasciata/consolato, celebrazione pubblica immediata a vittoria).

Anche se è difficile credere che nemmeno un usciere del CONI potesse arrivare da Roma.

GARLASCO MON AMOUR 

di Danilo Preto

Ormai non c’è canale televisivo, pubblico o privato, che non abbia preso a cuore (scusate, a target Auditel) l’evento giudiziario del secolo.

Non sono bastati 18 anni per far sopire gli echi di una sentenza di condanna definitiva, dopo sette anni di processi e tre gradi di giudizio, per l’uccisione di Chiara Poggi, il nome più conosciuto in Italia, credo ancora di più del nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. 

GLI ERRORI DICHIARATI E RICONOSCIUTI TALI DELLE PRIME INDAGINI 

Da circa tre anni si tenta di ricostruire una vicenda che sembra ancora tutta da decifrare o da rileggere.

Annullate tutte le certezze.

Se questo mi fa ben sperare per tutti noi, nella malaugurata ipotesi che dovessimo essere condannati per dei delitti efferati come quello che è capitato alla povera Chiara, ma per il quale ci siamo dichiarati innocenti senza essere creduti (e quindi condannati), – perché abbiamo capito che la giustizia con i suoi tre gradi di giudizio inappellabile potrebbe non aver ancora completato il suo iter definitivo, – dall’altra mi vengono i brividi per quello a cui stiamo assistendo in tv e leggendo sui giornali.  

PRIMA PUNTATA. MILAN O INTER? 

L’Italia si sta dividendo, credo quasi equamente, fra colpevolisti e innocentisti postumi come fosse una partita di calcio, dimenticandoci che c’è di mezzo una povera ragazza uccisa, a cui almeno da morta va portato rispetto.

E ci sono un condannato definitivo, i proscioglimenti degli indagati dell’omicidio avvenuti in precedenza (17 anni fa), le accertate manchevolezze nelle indagini preliminari con una richiesta di riscrivere lo scenario e con la chiamata in causa di fantomatici correi necessari per la riapertura del caso. 

SECONDA PUNTATA  

Ci sono poi tutti gli altri attori: voluti o inconsapevoli.

Gli avvocati del condannato e dei nuovi iscritti nel registro degli indagati, i periti delle parti delle vecchie e nuove indagini, i giornalisti, i criminologi, gli attori televisivi (magari parte in causa perché già consulente dell’una o dell’altra parte), i generali, gli ex del Ris, i carabinieri dell’epoca che si sono dimessi, i carabinieri protagonisti delle indagini dell’epoca e ancora in servizio… 

 TERZA PUNTATA 

…E poi le cugine, i preti spretati, i rumeni condannati per estorsione, il marocchino che ha raccolto i resti metallici nel canale dei dintorni, i vicini di casa, i giornalisti televisivi, gli ex magistrati, I commentatori, gli espositori delle bancarelle del mercato di…gli amici degli amici, il fratello e i genitori di Chiara, i genitori di Stasi, un DNA maschile nella bocca della povera Chiara…

 QUARTA PUNTATA  

Le impronte chiare, le minuzie sulle impronte della mano appoggiata lungo il muro delle scale che conducono in cantina, il Santuario Madonna della Bozzola, le morti (suicidi?) misteriose a Garlasco, lo scontrino del parcheggio conservato per 10 anni, gli scandali sessuali del santuario, le ingerenze pacificatorie della chiesa locale…

Le scarpe con i bolli nelle suole presumibilmente dell’assassino con numeri variabili (42/44), le biciclette nere con i pedali cambiati, nuovi testimoni amici di vecchia data del nuovo indagato, le notizie dei risultati delle indagini che arrivano prima i giornalisti che agli avvocati, ….. 

 QUINTA PUNTATA  

… Gli 850.000 € dati dalla famiglia di Stasi ai Poggi come risarcimento ma mai usati e ancora, sembra, nella loro disponibilità (quasi come a dire teniamoli lì che non si sa mai), la presumibile montagna di soldi necessaria anche alla procura per svolgere le indagini in autonomia… 

SESTA PUNTATA  

Per ultimo la macabra scoperta di oggi (12 luglio 2025) di un video a pagamento circolato online, ma per fortuna subito bloccato dal garante della privacy, dell’autopsia della povera Chiara Poggi.

Certamente mi sono dimenticato qualcosa o qualcuno ma da quando è scoppiata questa ondata di info che ci ha fatto dimenticare la guerra in Ucraina, la guerra e i morti a Gaza, la morte di Papa Francesco e la elezione di Leone XIV, e gli altri fatti di casa nostra non meno importanti, tutto si riduce per più di qualcuno ad un tifo da stadio.

Ma credo che basti. Anche alla luce di quello che abbiamo saputo pochi minuti fa. 

NON USARE LE IA SE NON SAI QUESTO

IL BISTURI È UN GRANDE STRUMENTO, MA SOLO NELLE MANI DI UN CHIRURGO.

Ormai, non passa giorno in cui non mi imbatta in articoli e post generati da intelligenze artificiali.

Per chi ha studiato Comunicazione è facile individuarli, perché si tratta di testi che seguono schemi e strategie precise, spesso anche pertinenti al tema trattato e al target di pubblico.

Tuttavia, proprio come un bisturi, la capacità delle IA di generare testi ben strutturati può diventare deleteria e distruggere la credibilità di chi le usa.

Vediamo insieme perché.

LE INTELLIGENZE ARTIFICIALI SONO RIPETITIVE E MONOTONE

Ganci tipici utilizzati dalle IA

Le IA utilizzano spesso ganci (aperture) standardizzati per catturare l’attenzione del lettore.

Ecco i più comuni:

  • Domande retoriche
    Esempio: “Ti sei mai chiesto perché…?”
  • Statistiche o fatti sorprendenti
    Esempio: “Sapevi che il 70% delle persone…”
  • Affermazioni forti o provocatorie
    Esempio: “Quello che stai per leggere cambierà il tuo modo di pensare.”
  • Aneddoti o brevi storie personali
    Esempio: “Quando ho iniziato questo percorso, non avrei mai immaginato…”
  • Citazioni famose
    Esempio: “Come diceva Einstein…”
  • Sfatare un mito
    Esempio: “Molti credono che…, ma la realtà è diversa.”
  • Promessa di beneficio
    Esempio: “In questo articolo scoprirai come migliorare la tua produttività in 5 minuti.”
  • Invito all’azione immediata
    Esempio: “Scopri subito i segreti per…”
  • Ganci emozionali
    Esempio: “Immagina di svegliarti ogni giorno senza stress…”
  • Problema/Soluzione
    Esempio: “Hai difficoltà a concentrarti? Ecco la soluzione definitiva.”
  • Frasi fatte e formule ricorrenti
    Esempio: “È importante notare che”, “In conclusione”, “Un’ampia gamma di”, “Nel mondo di”, “Non cercare oltre”, “Che tu sia… o…”.

Verbi tipici nei testi generati da IA

Le Intelligenze Artificiali tendono a utilizzare una serie di verbi e locuzioni verbali ricorrenti, spesso per la loro genericità e adattabilità a molti contesti. Ecco i più frequenti:

Analizzare

Esplorare

Indagare

Approfondire

Presentare

Mostrare

Dimostrare

Sottolineare

Illustrare

Ottimizzare

Agevolare

Massimizzare

Integrare

Innovare

Rivoluzionare

Stimolare

Fornire

Offrire

Consentire

Supportare

Guidare

Affrontare

Risolvere

Migliorare

Concludere

Suggerire

Evidenziare

Descrivere

Definire

Raccontare

Coinvolgere

Catturare

Espandere

Riassumere

Parafrasare

Riscrivere

Questi verbi sono spesso accompagnati da avverbi e aggettivi come “efficacemente”, “dinamico”, “innovativo”, “efficiente”, “stimolante”, “meticoloso”.

Esempi di frasi e strutture ricorrenti, che nascono proprio dall’utilizzo preimpostato di alcuni verbi.

Gancio / Frase tipicaVerbo tipico
“È importante notare che…”Analizzare
“In conclusione…”Concludere
“Questo articolo esplora…”Esplorare
“Ti sei mai chiesto perché…?”Indagare
“Scopri come ottimizzare…”Ottimizzare
“Approfondiamo insieme…”Approfondire
“Questo studio dimostra che…”Dimostrare
“Inoltre, è fondamentale…”Sottolineare
“Una soluzione efficace è…”Fornire, Offrire
“Nel mondo di…”Integrare, Innovare

Usare i ganci e i verbi elencati sopra non è sbagliato, anzi, spesso è la cosa più corretta, proprio perché le intelligenze artificiali sono educate a scrivere da chi sa scrivere.

Sono educate a strutturare testi, post, cartelle, pubblicità da chi sa farlo.

Tuttavia, nelle mani di chi non è un professionista della scrittura, della stesura di post e non sa molto di marketing, un testo generato da una IA può diventare il peggior nemico per la sua reputazione.

Perché l’uso ripetitivo di questi ganci e verbi è uno dei segnali più evidenti di un testo generato da intelligenze artificiali, che tende a preferire strutture semplici, lineari e formule preconfezionate.

Le IA sono un grandissimo strumento nelle mani di un professionista, proprio come lo sono il bisturi, gli aerei, i pullman, il martello pneumatico o un centro di lavoro in officina, ma se non siete chirurghi, piloti di aerei, autisti, muratori esperti e operai specializzati, rischiate di fare danni enormi a voi stessi e agli altri.

E cosa bisogna essere per usare al meglio le IA?

Beh, in primo luogo è fondamentale possedere una combinazione di competenze specifiche sia di conoscenza dell’argomento che di comunicazione e linguistica.

Requisiti minimi di studi e conoscenze

  • Approfondita conoscenza del tema trattato.
    Dovrebbe essere scontato, ma è meglio ribadirlo. È fondamentale avere una solida preparazione sull’argomento trattato per riconoscere e correggere eventuali errori, imprecisioni o strafalcioni prodotti dall’AI. Inoltre, solo la conoscenza dell’argomento trattato ti consente di integrare dati, esempi e dettagli pertinenti che rendono il testo più credibile e autorevole.
  • Formazione in linguistica e comunicazione.
    Studi in linguistica sono essenziali. Anche in questo caso, dovrebbe essere scontato. Senza conoscenze linguistiche solide è impossibile comprendere le sfumature del linguaggio naturale, le strutture sintattiche, le variazioni stilistiche e l’uso appropriato di toni e registri.
  • Inoltre, è indispensabile una solida conoscenza della Comunicazione, che insegna come adattare il messaggio al pubblico, rendendo il testo coinvolgente e personalizzato, per non utilizzare strategie ottime per pubblici giovani rivolgendosi a un target di anziani (uno dei tanti esempi di classici errori).
  • Competenze in scrittura creativa e narrativa.
    Saper raccontare storie, inserire aneddoti, usare espressioni idiomatiche e variare la struttura delle frasi è il minimo sindacale per trasformare un testo rigido e generico in una narrazione più calda, fluida, stimolante.

Proprio come un buon chirurgo sa tagliare come si deve.

  • Conoscenze di editing e revisione.
    Capacità di riformulare, correggere errori grammaticali e ortografici, migliorare la coerenza e la fluidità del testo sono fondamentali per umanizzare efficacemente i contenuti generati dall’IA.

Anche “umanizzare” l’ho messo in corsivo, perché è spesso usato anche dalle IA.

A dimostrazione del fatto che il problema non sta nella capacità di generare testi ben fatti, ma da come l’operatore è in grado di gestirli come un bisturi, un aereo, un pullman, un martello pneumatico o un centro di lavoro.

Competenze di comunicazione e linguistiche necessarie per usare le intelligenze artificiali per scrivere

  • Adattamento al pubblico.
    Saper modulare il linguaggio, il tono e lo stile in base al target di riferimento, mostrando empatia e comprensione dei valori e delle aspettative del lettore è l’ABC.

Significa avere conoscenze di neurolinguistica, semiotica, psicologia, sociologia, storia, antropologia, marketing, tutte materie di indirizzo indispensabili per rivolgersi ai pubblici più idonei e nella maniera più pertinente.

  • Uso di un linguaggio naturale e colloquiale.
    Evitare formule troppo rigide o ripetitive tipiche dei testi IA, inserendo variazioni lessicali, espressioni idiomatiche e un ritmo più fluido, spontaneo, e, soprattutto, idoneo al contesto e al pubblico a cui ci si riferisce.

Aggiungo anche un concetto che dovrebbe essere ovvio, ma è bene ricordarlo: l’originalità.

Le AI sono ripetitive.

Tra miliardi di utenti e di domande, le risposte avranno il medesimo tono e lo stesso stile, quand’anche fossero sempre diverse. Ma un essere umano ha il proprio stile, non quello di uno strumento.

Proprio come il bisturi non è sempre lo stesso nelle mani di un chirurgo alle prime armi o in quelle di un luminare.

  • Capacità di narrazione e storytelling.
    Bisogna sapere quando inserire elementi narrativi che creano un legame emotivo con il lettore, altrimenti il testo diventa cemento armato da digerire.
  • Consapevolezza culturale e contestuale.
    In buona sostanza, per scrivere, oltre a un’ottima conoscenza dell’argomento di cui si sta trattando, bisogna avere un’ottima cultura di base, per comprendere riferimenti storici, antropologici, sociologici, nonché sfumature di significato tipici di contesti specifici, per evitare errori o fraintendimenti e per rendere il testo più pertinente e credibile.

USARE LE IA: SÌ O NO?

Come ho ripetuto più volte in questo articolo, il problema non è l’intelligenza artificiale, ma l’operatore.

Proprio come non possono essere un problema il pullman e l’aereo.

Eppure, anche il pullman e l’aereo diventano un enorme problema se li guidassi io, per esempio. Ancora peggio mia nonna, che non aveva neppure la patente per guidare un’auto.

Allo stesso modo, le intelligenze artificiali sono strumenti potentissimi ed efficaci nelle mani di chi sa usarle, di chi ha “patenti” di utilizzo, ma diventano aerei e bisturi pericolosissimi tra le mani di chi non ha competenze.

Se pensate di programmare usando una IA, certamente un codice vi sarà generato. Ma come fate a capire se è fatto bene o se non sarebbe meglio apportare modifiche, se non avete studiato informatica?

Ma, ancora più semplice: se chiedete all’IA un post per presentare una vostra nuova opera d’arte, un libro, un qualsiasi lavoro da voi creato, lei vi genera il post. Ma come fate a sapere che quel post non è immediatamente individuato come generato artificialmente da chi ha conoscenze di IA?

Come fate a sapere se il post è adatto a presentare il vostro prodotto, se si rivolge al pubblico adatto per voi e, se sì, se lo fa con il giusto tono, se non avete studiato comunicazione e marketing?

Come fate a fidarvi di una lettera di contestazione scritta da IA se non avete mai superato neppure un esame universitario di Diritto?

Si possono usare le IA per scrivere, dunque?

Beh, sì. Proprio come si possono usare gli aerei e i bisturi. Ma se si ha una laurea in Medicina e Chirurgia e un addestramento da pilota.

I requisiti minimi per generare testi con le IA

  • Avere una solida preparazione sull’argomento.
  • Possedere competenze linguistiche e comunicative per adattare il testo al pubblico e renderlo naturale e coinvolgente.
  • Applicare tecniche di storytelling, editing e revisione per migliorare la qualità espressiva e la leggibilità.

Se si hanno le giuste competenze, – la laurea, la patente, l’addestramento necessario a guidare aerei e usare bisturi, – le IA sono strumenti fantastici per generare tabelle e codici, per esempio.

O per fare ricerche specifiche in minor tempo.

Io stesso utilizzo le IA per le mie ricerche, in maniera più rapida, chirurgica, minuziosa e ordinata.

Proprio per questo motivo, come ripeto sempre, in futuro le persone saranno costrette a studiare all’università per tutto il ciclo della loro vita lavorativa.

E chi non vorrà farlo potrà sempre contare di trovare spazio sotto a un ponte e cibo nei cassonetti dell’immondizia.

PERCHÉ NON USARE LE IA, INVECE?

Ora vediamo i motivi per cui bisognerebbe evitare di utilizzare Intelligenze artificiali.

Ecco un elenco completo dei motivi per cui sarebbe meglio non far generare testi alle AI

Mancanza di umanità, creatività e originalità

Le intelligenze artificiali sono vincolate a schemi algoritmici e dati caricati da esseri umani, quindi faticano a produrre idee veramente innovative o narrazioni con la giusta profondità emotiva.

Faticano a dare opinioni attuali, inoltre è altissimo il rischio che diano opinione preconcette e non possono svilupparne di nuove.

Rischio di “allucinazioni”.

I testi generati possono contenere informazioni errate, dati sbagliati o vere e proprie fake news, soprattutto in ambiti tecnici, normativi o di attualità.

Perciò i testi richiedono sempre un attento fact-checking dell’utilizzatore, il quale, perciò deve conoscere benissimo l’argomento di cui sta trattando l’IA.

Limitata varietà lessicale e stile ripetitivo

Le IA tendono a usare vocaboli e strutture ripetitive, rendendo i testi impersonali, freddi come il marmo.

Difficoltà nell’adattare il tono e il contesto.

L’IA fatica a modulare lo stile in base al pubblico specifico o al contesto emotivo, perciò, il più delle volte, è inadatta per testi tecnici, B2B o che necessitano richieste stilistiche precise.

E non sono capaci di fare marketing se chi le usa non è capace.

Bias e distorsioni nei contenuti

Se i dati di addestramento sono parziali o sbilanciati, – e pare che sia così allo stato attuale – l’IA può riprodurre pregiudizi politici ed etnici, di genere o ideologici, generando contenuti inappropriati.

Oltretutto, sono stati condotti esperimenti di utilizzo in cui le IA hanno inventato di sana piana fatti storici mai avvenuti oppure hanno omesso responsabilità e crimini certificati dalla storia.

Problemi di coerenza, coesione e formattazione

I testi delle IA sono ridondanti, prolissi, ambigui o poco chiari e complicano la lettura e l’efficacia comunicativa.

Assenza di un piano editoriale e strategia SEO

L’IA non è in grado di sviluppare autonomamente una strategia di contenuti mirata, né di ottimizzare testi per parole chiave specifiche.

Lo sa fare se voi avete le competenze e i requisiti per porre le domande corrette. Proprio come il bravo chirurgo sa usare il bisturi.

Discredito del brand

Immaginate un artista che voglia proporre le sue opere d’arte. Immaginate che abbia presentato un’opera sui social con un testo che puzza di IA dal gancio agli hastag finali.

Non vi sorgerebbe il dubbio che anche l’opera d’arte non sia frutto del suo ingegno ma di una IA?

Usare le IA può diventare il peggiore dei nemici per il proprio brand.

Perciò, se volete usare un bisturi, guidare un aereo o un pullman, o cablare l’impianto elettrico di un treno del futuro, lo potete fare. Basta studiare e ottenere le competenze necessarie.

Lo stesso vale per utilizzare le Intelligenze artificiali.

Potete anche scegliere di non studiare e utilizzare questi strumenti ugualmente. Ma i danni saranno dietro l’angolo e non vi faranno piacere.

A questo punto, è doveroso fare una precisazione: ci sono delle applicazioni che millantano di essere in grado di individuare testi generati da IA o da umani.

Ebbene, non è vero. Non del tutto.

Questi programmi si basano sulle logiche che ho spiegato in questo articolo, ma si tratta delle stesse logiche che utilizza spesso anche un eccellente esperto di marketing e di social media, per esempio.

Inoltre, il più delle volte queste App propongono l’opportunità di umanizzare il testo, perciò la convenienza dei loro sviluppatori sta nell’individuare il più alto numero possibile di testi IA.

Ecco perché, allo stato attuale, non c’è da fidarsi.

Ma, fidatevi: per i motivi espressi in questo articolo, un esperto di Comunicazione fiuta un testo generato da IA con la stessa infallibilità di Maradona sul dischetto del rigore.

CHI È STEVEN CHEUNG, “LA BESTIA” CHE GESTISCE LA COMUNICAZIONE DI TRUMP

La comunicazione di Donald Trump viene spesso liquidata come rozza, caotica e incoerente e molti giornalisti lo liquidano come incapace proprio in virtù di quelle che, a occhi inesperti, sembrano sparate di un irresponsabile.

A detta di tanti critici, quella di Trump non sarebbe nemmeno comunicazione, ma un flusso di coscienza da bar sport.

Eppure, dietro questo apparente disordine, si nasconde una macchina calcolatrice di precisione chirurgica, cinica e tremendamente competente.

Al centro di tutto c’è Steven Cheung, soprannominato “la bestia”, un architetto della polarizzazione che ha trasformato il caos in un’arma sistematica.

Perciò, ciò che appare come incompetenza è, in realtà, il frutto di una strategia comunicativa rivoluzionaria. E inquietante.

DAL RING DELL’UFC ALLA CASA BIANCA: L’ASCESA DI UN GLADIATORE DIGITALE

Nato a Sacramento nel 1982 da genitori immigrati cinesi, Cheung incarna il sogno americano distorto dall’era dei social media.

Non è chiaro se abbia un titolo accademico, ma ha studiato informatica, ingegneria e scienze politiche alla California State University.

Ha iniziato come stagista per Arnold Schwarzenegger, studiando comunicazione e cimentandosi in questo campo con approcci algoritmici, nel culto della forza mediatica.

Poi, la svolta: nel 2013 entra nell’Ultimate Fighting Championship (UFC), dove le sue strategie comunicative si evolvono.

Tra ring e sanguinamenti, assorbe la filosofia del combattimento senza regole, per cui attaccare prima, colpire forte, annichilire l’avversario sono le uniche regole che funzionano.

Quando nel 2016 Trump, appassionato di MMA, lo chiama alla campagna presidenziale, Cheung porta con sé quel manuale tattico e trasforma la comunicazione politica in uno spettacolo permanente.

LA STRATEGIA DELLA “BESTIA”: QUATTRO ARTIGLI PER DOMINARE L’INFOSFERA

Cheung non è un comunicatore professionista, nel senso canonico del termine, e sopperisce alla mancanza di cultura psicologica, semiotica, sociologica con ciò che ha appreso nel mondo dei combattimenti: pugni, sangue, violenza. Inoltre, si è fatto le ossa come guerrafondaio digitale.

Il suo stile è quello di un dinosauro pronto a spaccare tutto, che rifiuta il piano del ragionamento e della dialettica perché non lo conosce. La sua è una comunicazione rozza, dozzinale, perché deriva dal piano della lotta, ma è un approccio che, con un determinato tipo di elettorato e in certi contesti, funziona.

Nel caso specifico delle elezioni americane, a onore del vero, vanno ricordati anche i grandi errori dell’Amministrazione Biden, che hanno scontentato molti americani, primi fra tutti la politica guerrafondaia e il fallimento sull’immigrazione.

L’ARTE DELL’AGGRESSIONE PERPETUA

Cheung applica tattiche da UFC e non gioca mai d’attesa. La sua strategia si fonda su pochi, semplici pilastri: identificare il punto debole dell’avversario e colpire con ferocia moltiplicata dai social. Proprio come agisce uno spaccaossa da risse.

Nel 2016, trasformò ogni critica a Trump in un meme.

Quando i media attaccavano Trump per una dichiarazione volgare, Cheung replicava in 30 secondi su Twitter con un video che accusava Hillary Clinton di corruzione.

Non importava la verità, ma solo la velocità del contrattacco. Una logica da ring, dell’occhio per occhio, dove chi sanguina per primo, perde consenso.

DISINFORMAZIONE COME ARMAMENTO PESANTE

Le fake news non sono un effetto collaterale, ma il cuore del suo sistema.

Cheung ha istituzionalizzato la “factory delle menzogne”: dalle bufale sulla cittadinanza di Obama ai brrogli del 2020.

Perché funziona?

Nella sociologia dei media digitali, la post-verità non si combatte con i fact-checker, ma con l’inondazione.

Cheung sfrutta abilmente anche la perdita di fiducia che l’Occidente ha maturato nei confronti dei servizi di fact-checking, in virtù delle vere e proprie censure attuate nei confronti di pareri che erano veri e sacrosanti, ma che avevano il solo difetto di non sposare il pensiero unico, come confessato dal CEO di Meta, Zuckerberg.

Cheung crea 100 narrazioni false? Beh, se 99 vengono smontate, una sopravvive e diventa dogma per la base. È la teoria del caos applicata al consenso.

LA MOBILITAZIONE DELLA TRIBÙ

La polarizzazione non è un rischio, ma il suo unico obiettivo strategico.

Trump non può reggere il confronto dialettico con un politico di professione, poiché non è un politico, ma un imprenditore cinico. Cheung lo sa e conforma la sua strategia comunicativa su queste basi.

Cheung usa un principio neuroscientifico per cui il cervello umano reagisce alla paura e al conflitto 5 volte più che all’entusiasmo.

Ogni suo attacco ai “media corrotti” o alle “élite globaliste” trasforma i follower in soldati pronti a difendere quelle tesi come una patria.

Quando nel 2024 twittò “THE MEDIA ARE THE ENEMY OF THE PEOPLE”, non era un errore di valutazione, ma una strategia potentissima. Era una chiamata alle armi.

I dati parlano chiaro: durante quel periodo, le donazioni alla campagna Trump aumentarono addirittura del 40%.

IL DOMINIO DEL TERRITORIO SOCIAL

Come Direttore Comunicazioni della Casa Bianca dal 2025, Cheung ha fatto dei social il campo di battaglia esclusivo. Bandito il tradizionale press briefing, ha introdotto al suo posto tweet, video TikTok montati come trailer di guerra, post su Truth Social, con hashtag #FightLikeABeast.

Grazie a questa strategia, gli avversari sono sempre in affanno e costretti a inseguire Trump, per è la comunicazione del tycoon a dettare le regole e i flussi narrativi. Ogni notizia passa dal suo filtro combattivo. È la fine del taglio giornalistico, perché ora è l’algoritmo è il nuovo editor.

L’EREDITÀ SOCIOLOGICA: QUANDO LA DEMOCRAZIA DIVENTA UNA BATTAGLIA GLADIATORIA

Cheung ha vinto. Le opposizioni, in questo momento, sono in totale balia delle sue strategie e non riescono neppure a scalfire minimamente l’immagine del presidente, nonostante campagne di propaganda abnormi.

Ma a quale costo vince?

La sua “bestialità” comunicativa è un caso studio perfetto per la sociologia della post-verità, poiché dimostra tre verità scomode.

  1. La coerenza è morta. Nel mondo digitale, il rumore costante batte la verità.
  2. L’aggressione paga. Il suo stile da UFC ha generato 28 miliardi di impression social per Trump solo nel 2024 (fonte: Campaign Tech Report).
  3. Siamo tutti reduci di guerra. Ogni cittadino è stato arruolato, suo malgrado, in un conflitto narrativo senza prigionieri.

Eppure, dietro “la bestia” c’è un uomo. Un figlio di immigrati che ha scelto di usare il suo talento per demolire ponti invece che costruirli.

Un genio comunicativo che ha venduto l’anima all’audience, agli algoritmi, alle strategie per demolire l’avversario e non per confrontarsi.

Ovviamente, questo è un articolo sulla comunicazione di Trump, scritto in modo tale che anche chi è digiuno di semiotica e psicologia possa comprendere le strategie che muovono Trump.

Perciò, la prossima volta che qualcuno scrive che Trump è incompetente perché comunica come al bar, sappiate che dietro ci sono strategie volutamente rozze e ciniche.

Strategie che costringono gli interlocutori a rincorrere Trump, come sui dazi, sull’aumento delle spese militari o sulla politica internazionale.

Quanto alle sue scelte politiche, nella fattispecie, ci sarebbe molto da dire, nel bene e nel male, sull’Iran, su Israele, sui dazi, sull’immigrazione, e mi riserbo di scriverne prossimamente, sempre in maniera distaccata e senza fare campagna elettorale perenne, come, invece, fanno molti giornalisti di casa nostra.

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