MENTRE L’EUROPA PAGA PER L’APOCALISSE, I GIGANTI SI SPARTISCONO LA PACE

È più fitta la nebbia della dissonanza cognitiva europea o quella che avvolge le trincee del Donbas?

Se si osserva lo scenario attuale con il cinismo necessario a chi conosce i flussi del denaro, appare evidente che stiamo assistendo a due rappresentazioni simultanee, recitate su palcoscenici adiacenti, ma totalmente scollegati.

Da una parte c’è Washington, pragmatica e brutale, che ha riaperto i canali della diplomazia con Mosca; dall’altra c’è Bruxelles, avviluppata in una spirale di riarmo compulsivo e retorica bellicista, che sembra prepararsi a un conflitto epocale proprio mentre gli altri cercano di spegnere l’incendio.

IL PARADOSSO POLACCO E I MILIARDI DELLA PAURA

Il primo atto di questa commedia dell’assurdo si svolge a Varsavia.

L’Unione Europea, con una rapidità di esecuzione che fa invidia ai tempi biblici delle sue burocrazie sanitarie o infrastrutturali, ha trovato 44 miliardi di euro.

Non per gli ospedali, non per adeguare i salari reali che in paesi come l’Italia sono in caduta libera da un ventennio, ma per il riarmo della Polonia.

Intanto, anche la Moldavia parla di sconfinamenti nel proprio spazio aereo, perché i miliardi fanno gola, vuoi mettere?

Stiamo finanziando quello che viene pomposamente chiamato “Scudo Orientale”, un muro di droni, fortificazioni e tecnologia militare al confine con la Bielorussia.

La narrazione ufficiale ci dice che queste sono “scelte sofferte”, dettate dalla necessità di difendere la democrazia dalla Russia alle porte. Ma analizzando i fatti, si nota come stiamo assistendo al più grande trasferimento di ricchezza pubblica verso il complesso militare-industriale dai tempi della Guerra Fredda.

E lo facciamo mentre il Parlamento Europeo, in un impeto di zelo che rasenta il grottesco, sdogana l’utilizzo di armamenti controversi, spingendo l’acceleratore verso un’escalation che la stessa popolazione, impoverita e stanca, non ha mai richiesto.

C’è un’isteria quasi artificiale riguardo ai droni e alle presunte violazioni dello spazio aereo in Romania o Moldavia; incidenti che, in un contesto normale, verrebbero gestiti con telefonate tra diplomatici, oggi diventano il carburante per giustificare spese faraoniche.

Se un treno deraglia o un sito web va offline, la colpa è automaticamente di Mosca, una scusa perfetta che assolve le classi dirigenti da ogni incompetenza gestionale interna.

IL REALISMO DI TRUMP E LA DISCESA A PATTI DEL CREMLINO

Mentre l’Europa scava trincee finanziarie, a migliaia di chilometri di distanza la politica reale ha ripreso a respirare.

Le notizie che filtrano dagli Stati Uniti e dalla Russia delineano un quadro radicalmente diverso da quello dipinto da Kaja Kallas, l’Alto Rappresentante UE che continua a ripetere il mantra delle sanzioni e della guerra a oltranza.

Donald Trump ha cestinato i vecchi ultimatum. Il nuovo piano in 28 punti non è più un diktat, ma una mappa flessibile.

Si parla di un esercito ucraino ridimensionato, ma non annientato (800.000 effettivi, una cifra che ha trovato il consenso di Kiev per quanto ridicola, considerando che la Francia ne conta 200.000), e di concessioni territoriali dolorose inevitabili visto l’esito della guerra.

Vladimir Putin non ha sbattuto la porta.

Anzi, ha definito le proposte americane una “buona base di partenza”.

Mosca aspetta gli USA e i canali di intelligence ad Abu Dhabi sono roventi. Persino Zelensky, in un messaggio che tradisce un realismo sopravvenuto, ringrazia Trump e parla di “obiettivi comuni” per una pace dignitosa.

È il crollo della narrazione manichea: il nemico non è più assoluto, ma un interlocutore con cui trattare il prezzo del gas e i confini sulle mappe.

MA CI SONO INTRIGHI INTERNAZIONALI: CHI VUOLE SABOTARE LA PACE?

Eppure, in questo ingranaggio che tenta di riallinearsi verso la stabilità, qualcuno ha gettato della sabbia.

Il leak della telefonata tra l’inviato Witkoff e il consigliere russo Ushakov non è un incidente di percorso, come si potrebbe pensare, ma un atto di guerra ibrida tra alleati.

Le analisi più raffinate, che incrociano fonti disparate come il giornalismo dissidente americano e le inchieste italiane di alto profilo, puntano il dito verso Londra.

L’intelligence britannica, e forse quella francese, terrorizzate dall’idea di un accordo russo-americano che le tagli fuori dai giochi e renda inutile il loro posizionamento oltranzista, potrebbero aver usato la rete Five Eyes (un’alleanza di intelligence formata da Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti) per intercettare e bruciare il canale diplomatico.

Siamo di fronte a una frattura transatlantica senza precedenti.

Mentre l’amministrazione americana cerca di chiudere il fronte per concentrarsi sulla Cina, una parte dell’Europa, guidata da un asse franco-britannico e sostenuta dalla burocrazia di Bruxelles, gioca al “tanto peggio tanto meglio”, sabotando le trattative pur di non ammettere il fallimento della propria strategia.

L’EPILOGO: I CITTADINI COME SPETTATORI PAGANTI

La sintesi logica di questi elementi è impietosa. L’Europa è governata da una classe politica che, per non perdere la faccia, è disposta a sacrificare il portafoglio e la sicurezza dei propri cittadini.

Mentre a Mosca e a Washington si discute di come spartirsi le sfere di influenza e si abbozzano i confini del dopoguerra, noi stiamo ancora firmando assegni in bianco e usando fondi russi sequestrati per costruire linee Maginot di polistirolo e droni, inseguendo il fantasma di una vittoria totale che nessuno, nemmeno il Pentagono, ritiene più possibile.

Il rischio, concreto e imminente, è che quando la musica della diplomazia si fermerà e l’accordo verrà siglato sopra le nostre teste, l’Europa si ritroverà sola, armata fino ai denti contro un nemico che ha già fatto pace con il nostro protettore, e con un buco di bilancio che pagheranno le prossime tre generazioni.

Non è difesa della libertà, ma la più costosa presa in giro e dimostrazione di incompetenza politica della storia contemporanea, ma edulcorata dai racconti della propaganda delle pale, dei microchip, dei droni, dei muli e delle tante sciocchezze inventate da chi doveva fare informazione, invece ha scelto di diventare megafono del potere.

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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