L’OCCIDENTE HA DECISO DI “VENDERE” ZELENSKY

Tra le cancellerie europee si sente strappare della carta, la carta dei copioni scritti nel 2022, quelli che dipingevano una vittoria inevitabile, un Occidente granitico, una superpotenza atomica piegata dalle nostre sanzioni dirompenti.

Ora, quei copioni sono carta straccia.

LA METAMORFOSI DEL BRAND ZELENSKY: DA CHURCHILL A SCAPPATO DI CASA

Avete fatto caso alla semiotica dei media americani?

È brutale. Fino a sei mesi fa, Zelensky era l’uomo in maglietta verde che sfidava l’impero. Oggi, improvvisamente, il New York Times e le agenzie di intelligence scoprono la corruzione a Kiev.

Ma davvero?!

Fino a poche settimane fa, non erano filo-putiniani quelli che ricordavano la corruzione di Kiev?

Siamo seri. L’Ucraina naviga nei bassifondi delle classifiche di trasparenza internazionale da decenni. Lo sapevano tutti. Lo sapeva la CIA, lo sapeva Bruxelles, lo sapeva la Casa Bianca. Perché questa “scoperta” avviene ora?

Perché, quando devi chiudere un investimento in perdita, ti serve una giusta causa. La narrazione sulla corruzione che colpisce il cerchio magico del presidente e figure come Yermak, non è giornalismo investigativo, ma un messaggio politico.

È il segnale che Washington sta preparando il terreno per scaricare Zelensky, il quale, con la sua ostinazione a non cedere territori – costituzionalmente ineccepibile, politicamente suicida – è diventato un ostacolo. E nel business, come nella geopolitica, gli ostacoli si rimuovono.

L’EFFETTO TRUMP: LA FINE DELLE ALLEANZE, L’INIZIO DEGLI ALLINEAMENTI

Donald Trump non è un politico, ma un imprenditorie. E come tale, non ragiona in termini di valori, ma di transazioni.

L’Europa, nella sua commovente ingenuità burocratica, non ha ancora compreso il cambio di paradigma. Trump non cerca alleati, bensì allineamenti. La differenza è abissale.

L’alleanza presuppone una condivisione, mentre l’allineamento è una convergenza temporanea di interessi. O sei con lui, o sei un costo da tagliare.

In questo scenario, la posizione di Giorgia Meloni è un capolavoro di equilibrismo destinato a crollare. Non puoi essere atlantista e sovranista con il tuo elettorato quando l’inquilino della Casa Bianca ti chiede di scegliere: o compri il mio gas e le mie armi, o sei fuori.

L’Italia, avendo rinunciato a esercitare quell’autorità morale che avrebbe potuto avere non inviando armi e ponendosi come mediatore credibile, forte della presenza del Vaticano, ha invece seguito le politiche belliciste europee e si è ridotta a essere un vassallo che attende ordini, terrorizzata dall’idea di diventare irrilevante.

L’ILLUSIONE OTTICA SULLA RUSSIA E LA SOCIETÀ DELL’ATOMO

Abbiamo commesso un errore di calcolo imperdonabile. Abbiamo proiettato sulla Russia le nostre categorie mentali. Ci aspettavamo che le sanzioni e i morti al fronte scatenassero una rivolta, un cambio di regime in Russia.

Non è successo. E non succederà.

Al contrario, abbiamo visto in tutte le elezioni europee l’aumento di voti esponenziali di chi è contrario a continuare la guerra in Ucraina.

La società russa non funziona come quella francese o americana. Non esiste una tradizione di protesta civica di massa capace di rovesciare lo Zar. Esiste, al contrario, una cultura della “salvezza individuale”.

Il russo medio non scende in piazza per la libertà dell’Ucraina; cerca di evitare che il proprio figlio finisca al fronte, o si adatta, o addirittura sostiene la guerra per inerzia patriottica o necessità economica.

Putin lo sa. Sa che il tempo gioca a suo favore. Non vuole una tregua per congelare il conflitto, perché non gli serve una tregua. È l’Ucraina in netta difficoltà. Putin vuole una vittoria de jure, il riconoscimento delle conquiste.

E mentre noi perdiamo tempo parlando di paci giuste in stile favola, la Russia avanza. Lentamente, inesorabilmente, macinando chilometri e vite umane, indifferente alle nostre analisi morali.

IL TEATRO DELL’ASSURDO EUROPEO E LA PACE SPORCA

La scena dei leader europei, Macron, Starmer, e i burocrati di Bruxelles, che si abbracciano promettendo sostegno eterno a Kiev è diventata grottesca. Sembrano gli orchestrali del Titanic che suonano mentre la nave si inclina, come ho scritto in un precedente articolo.

Stanno spingendo per una guerra che non possono finanziare, perché le casse sono vuote, e che non hanno la capacità industriale di sostenere. Chiedono a Zelensky di resistere, ma tremano al pensiero che Trump chiuda i rubinetti.

I burocrati europei oggi temono le “interferenze” americane. Fino a ieri pendevano dalle labbra di Washington per ogni decisione bellica; oggi che Washington spinge per il disimpegno, l’Europa grida allo scandalo.

È la reazione del bambino viziato che scopre che il genitore ha smesso di pagare la paghetta.

VERSO IL MODELLO ISRAELIANO (O LA PARTIZIONE)

La nebbia si sta diradando e la vista non è piacevole. E non mostra affatto quanto vaneggiava Mario Draghi nel 2022, quando parlava di sanzioni dirompenti e ingenti danni inflitti alla Russia, che subiva gravi perdite in battaglia. Cose che, a giudicare dai fatti di oggi, risultano panzane di proporzioni storiche.

L’accordo si farà. E sarà un accordo sporco, cinico, realista. Come è sempre stato nella Storia.

Probabilmente vedrà una cessione de facto dei territori occupati alla Russia, in cambio della sopravvivenza di ciò che resta dello Stato ucraino.

Zelensky verrà messo da parte. Al suo posto, si scalda già il generale Zaluzhny o una figura simile, un pragmatico capace di gestire una transizione verso una “pace armata” o una guerra a bassa intensità, sul modello israeliano: un paese perennemente in allerta, militarizzato, ma che smette di svenarsi in controffensive impossibili.

E l’Europa pagherà il conto. Pagherà la ricostruzione, pagherà l’instabilità ai suoi confini, e pagherà il prezzo politico di aver creduto che la retorica potesse sostituire la strategia.

La storia non è finita. È solo tornata a essere quello che è sempre stata: una brutale contabilità di forza, dove i deboli subiscono ciò che devono e i forti fanno ciò che possono. E noi, temo, abbiamo scelto di non essere tra i forti, inseguendo favole, chimere e l’ignoranza perniciosa di chi ancora è convinto di vivere su un altro pianeta.

Dott. Pasquale Di Matteo

Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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