GUERRA D’UCRAINA. TRA FUOCO SU KIEV, TREGUE IPOCRITE E LA FOLLIA DELL’EUROPA

Mentre la propaganda oscura una realtà militare sempre più critica per Kiev, le manovre diplomatiche di Zelensky, le minacce di Trump e le divisioni interne all’UE raccontano un conflitto dove l’unica certezza è che a pagare sono gli ucraini con la vita e gli europei con le tasche.

Kiev brucia ancora.

Nonostante per tre anni la propaganda russofoba ci abbia narrato di un esercito russo di scappati di casa e di una Mosca con le finanze al tappeto, la Russia fa in Ucraina ciò che vuole.

La notte del 27 agosto, una devastante “pioggia di fuoco” russa ha colpito oltre venti località della capitale, lasciando una scia di morte e distruzione.

Il bilancio, ancora provvisorio, parla di almeno quattordici morti e quarantacinque feriti.

È il rituale macabro di una guerra che i nostri media ci raccontano con una selettività chirurgica in stile pandemia: le vittime ucraine finiscono giustamente in prima pagina, quelle causate dai bombardamenti di Kiev su città russe, invece, scompaiono in un buco nero informativo.

Perché non sia mai che qualcuno pensi che anche gli ucraini siano aggressori e si ricordino dei bombardamenti sul Donbass dal 2014.

In questo scenario, quasi surreale, fa specie l’appello del Presidente Zelensky, che invoca una tregua, dopo l’incontro in Alaska in cui Putin ha stabilito i punti da rispettare per giungere alla fine della guerra, ma che Zelensky, pur evidentemente sconfitto, non accetta.

Il leader ucraino – ancora in carica in virtù della mancanza di elezioni per la legge marziale – si rivolge alla Cina, che ha, però, insultato a più riprese perché amica di Mosca, e all’Ungheria, le cui infrastrutture energetiche vengono sistematicamente colpite dai suoi stessi droni.

Se non fosse un comico di professione, potremmo dire che Zelensky ha un futuro come autore di cabaret.

Il suo comportamento illogico è la fotografia perfetta della disconnessione tra la retorica pubblica e la spietata realtà di un conflitto che non è più solo una guerra per il territorio, ma un complesso e pericoloso doppio gioco.

Un gioco orchestrato da sponsor occidentali che, mentre fingono di cercare la pace a casa di Trump, la temono come la peste perché stanno preparando l’escalation e, soprattutto, il “dopo Zelensky”.

LA GUERRA DELLE NARRAZIONI E LA REALTÀ SUL FRONTE

La prima vittima di ogni guerra è la verità e in Ucraina è stata giustiziata da tempo.

Prendiamo l’ultimo “gesto umanitario” di Kiev: consentire agli uomini tra i 18 e i 22 anni di lasciare il Paese.

Commovente. Peccato che sia l’equivalente di chiudere il cancello quando i buoi sono già scappati da un pezzo. Quei giovani, minorenni all’inizio del conflitto, non erano soggetti al divieto. Chi poteva, e voleva, è già altrove.

Non a caso, l’Ucraina ha visto milioni di emigrati in Europa, passando da una popolazione di 43 milioni, nel 2022, a 35 di oggi.

La mossa, perciò, serve solo alla propaganda, a mascherare la disperata caccia a nuove reclute – che ha visto diverse proteste contro il governo di Kiev – e a far dimenticare le passate, inquietanti richieste di rimpatrio dei minori rifugiati all’estero.

La cortina fumogena si estende ancor di più al campo di battaglia, perché, mentre il governo ucraino nega categoricamente la caduta di città strategiche come Pokrovsk, fonti militari interne e think tank occidentali come l’ISW (Institute for the Study of War) dipingono un quadro ben diverso.

Secondo queste fonti, infatti, le forze russe avanzano, lentamente, ma inesorabilmente, a Ocheretyne, a Donetsk, a Kharkiv.

Si ammette la loro presenza nei centri urbani, ma se ne nega la conquista. Un esercizio di semantica che non ferma i proiettili. E nemmeno il corso della storia.

In tale contesto, si inserisce il più palese dei doppi standard: gli attacchi ucraini con droni sulle raffinerie in profondità nel territorio russo – fino a Samara, a 900 km dal confine – e persino sulla centrale nucleare di Kursk, vengono presentati dai nostri media come una legittima strategia per “costringere Putin a negoziare”.

Quando, invece, la Russia colpisce le infrastrutture energetiche ucraine, lasciando al buio Poltava e Sumy, si grida al terrorismo. E, in quel caso, non vale la teoria per cui Putin voglia spingere Zelensky a negoziare.

La moralità di un missile, a quanto pare, dipende dalla bandiera che sventola sul drone che lo sgancia.

IL BURATTINAIO BRITANNICO E L’ESCALATION MILITARE

Se la spinta diplomatica sembra arenata dopo il vertice Putin-Trump, è perché alcuni attori non hanno alcun interesse a fermare il gioco. Anzi, molti stanno facendo di tutto perché non si fermi la guerra.

E mentre gli Stati Uniti di Trump appaiono ambivalenti, la Gran Bretagna si è ritagliata, come da sua secolare tradizione, il ruolo del burattinaio che muove i fili restando nell’ombra.

L’arma del caos è un nuovo, letale missile a lungo raggio ucraino, il “Flamingo”, con una gittata di 3.000 chilometri, capace di colpire quasi ovunque nella Russia europea. Ma, attenzione, anche in Europa.

Cosa da tenere in considerazione, visto che sono uomini di Kiev quelli che hanno danneggiato il NordStream2. Perciò, che l’Ucraina attacchi l’Europa non è un’ipotesi, ma è già storia confermata dalla magistratura tedesca.

Presentato come un miracolo dell’ingegneria autoctona, il missile puzza di bruciato lontano un miglio. Come nota persino The Economist, è “troppo bello per essere vero”.

Sviluppare un simile vettore in soli nove mesi, da parte di una nazione senza esperienza nel settore, è pura fantascienza, perciò la spiegazione più plausibile, offerta dalla giornalista ucraina Patrica Marins, non dalla propaganda russa, è che Kiev stia semplicemente assemblando kit già pronti.

Probabilmente forniti da aziende come la emiratina-britannica Milanion, per aggirare i trattati che vietano l’esportazione di tali armi.

L’obiettivo non è vincere la guerra, ma provocare una reazione incontrollata di Mosca per far naufragare definitivamente qualsiasi trattativa.

Ma Londra non lavora solo sui missili, infatti è attiva anche sulla politica.

È in atto una vera e propria operazione per preparare il successore di Zelensky: l’ex Capo di Stato Maggiore Valery Zaluzhny, oggi strategicamente posizionato come ambasciatore a Londra.

La campagna è iniziata a luglio, con un agiografico articolo su Vogue che lo dipingeva come un “novello Churchill”, per poi proseguire ad agosto con il Guardian, che ne pronosticava la vittoria elettorale.

Voci sempre più insistenti parlano di un suo ufficio elettorale già operativo a Kiev, mentre, guarda caso, è stato appena firmato un memorandum d’intesa tra la commissione elettorale ucraina e l’organismo di controllo britannico.

Tempismo impeccabile, non c’è che dire.

Il profilo di Zaluzhny è, tuttavia, inquietante: elogia apertamente l’eroismo del battaglione neonazista Azov e addita Israele come “modello” da seguire, “a dispetto delle attuali operazioni sanguinarie a Gaza”, come nota con tragica ironia lo stesso Guardian.

In buona sostanza, Londra sembrerebbe lavorare per sostituire a Kiev un comico con un pazzo. C’è di che stare tranquilli per il futuro, perché, se con un comico la terza guerra mondiale è un’ipotesi, con un pazzo manca solo la data dello scoppio.

ZELENSKY IN TRAPPOLA E IL REALISMO CINICO DI TRUMP

Perché gli europei – Londra in testa – si agitano per scaricare al più presto Zelensky?

Perché, nell’incontro con Trump, è apparso troppo remissivo, troppo flessibile, rispetto alle sparate di qualche mese fa.

Un atteggiamento che deve aver irritato i suoi sponsor più oltranzisti. Ecco perché gli europei rilanciano l’illogica richiesta di ritiro dai territori occupati da Mosca e la presenza di soldati europei in Ucraina.

Si tratta di punti già accantonati nelle trattative tra Putin e Trump e che non sono più sul tavolo delle discussioni. Lo sanno i russi e gli americani. Lo sanno gli ucraini e anche gli europei.

Proprio per questo i leader bellicisti punzecchiano Putin, perché hanno una paura bestiale della pace, che spazzerebbe via ogni pretesa di riarmo europeo e tanta manna per le tasche di certuni.

L’operazione Zaluzhny e la minaccia, neanche troppo velata, pubblicata dal Times di Londra – “se Zelensky cede territori, si ritroverà cadavere”, – suonano come un chiaro avvertimento.

Un’intimidazione per ricordare al “venditore”, come lo ha definito Trump, chi comanda davvero.

E che a Kiev non comandi Zelensky, lo scriviamo dal 2022.

E Trump?

Le sue dichiarazioni sono, al solito, un caotico flusso di coscienza. Ma le sue azioni parlano più forte. E sono chiare.

Bloccando gli aiuti diretti e costringendo l’Europa a comprare armi americane per Kiev, ha, di fatto, ridotto il flusso bellico.

Dietro le quinte, la sua amministrazione lavora a una soluzione. L’inviato Steve Witkoff lo ha ammesso candidamente: «Parliamo con i russi ogni giorno».

E qualcuno ci raccontava di Putin isolato…

La previsione americana è di chiudere il conflitto entro fine anno.

La Russia e gli USA chiuderebbero la guerra domattina, ma l’Europa chiede che la Mosca restituisca tutti i territori conquistati, neanche fossimo in un film comico e come se i leader europei non avessero mai aperto un libro di storia, non dico all’università, ma almeno delle scuole medie.

VERSO UN COLLASSO CONTROLLATO?

Siamo di fronte a un drammatico gioco su più livelli.

La Russia avanza sul campo e sono tre anni che dimostra che prenderà con le armi tutto ciò che chiede a livello diplomatico.

L’Ucraina chiede una tregua, ma senza voler cedere nulla in cambio ai vincitori, lontana da ogni logica e ogni contesto storico, dichiarando che la tregua servirebbe solo a riarmarsi prima di tornare a combattere.

Ma, tra altri tre anni di guerra, ci ritroveremmo solo a trattare su una porzione di Ucraina ben maggiore rispetto a oggi e dopo altre migliaia di giovani ucraini mandati a morire al fronte.

Ma l’Ucraina risponde con una propaganda sempre più slegata dalla realtà e con attacchi disperati, mentre una fazione occidentale, con Londra in prima linea, fornisce gli strumenti per un’escalation che serve solo a sabotare le trattative che un’altra fazione, quella di Trump, porta avanti in segreto.

Tutto raccontato dalla propaganda russofoba, media asserviti ai leader bellicisti, quegli stessi media che hanno veicolato fake news sbugiardate dal tempo: dai soldati russi senza armi, agli ubriaconi a dorso di muli, fino ai microchip smontati dai tiralatte. E come dimenticare le dita usate come baionette?

Dopo oltre tre anni, sappiamo che erano solo sciocchezze sparate perché gli europei non si rendessero conto della realtà: una superpotenza atomica può permettersi di giocare per anni e, qualora si trovasse in difficoltà, userebbe qualcuna delle sue 6000 testate nucleari per mandare tutti a nanna.

Zelensky appare ormai come un re nudo, scaricato dai suoi stessi padrini, perché il comico non è più in grado di reggere il loro gioco redditizio. – Sì, perché, con le guerre, c’è chi fa soldi a palate.

Un possibile collasso del fronte ucraino, obiettivo dell’attuale offensiva russa, potrebbe essere il pretesto per accelerare un accordo di pace dettato non dalle esigenze dell’Ucraina, ma dagli equilibri tra Washington e Mosca.

In questo tragico circo, la retorica bellicista dei leader europei sulla “vittoria a ogni costo” e sulla “pace giusta” serve solo a giustificare gli enormi profitti dell’industria bellica e a presentare un conto salatissimo ai cittadini europei.

La pace, se e quando arriverà, non sarà il trionfo della giustizia, ma il risultato di un cinico calcolo di potere, scritto sulle vite degli ucraini e pagato da tutti noi.

Sia in termini di soldi sia di credulità di certuni.

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Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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