Il silenzio che segue una tempesta non è mai sintomo di pace, ma spesso è l’annuncio di un mutamento climatico irreversibile. È il silenzio che racconta dei morti e della devastazione.
Ebbene, la recente sentenza della Corte Costituzionale somiglia a quel silenzio, perché è l’annientamento di un patto sociale che credevamo scolpito nel marmo e che è alla base di ogni democrazia che si rispetti.
Abbiamo vissuto decenni convinti che la nostra pelle fosse il confine invalicabile tra il potere e l’essere, un santuario protetto dall’Articolo 32.
Oggi, quel confine è stato cancellato da un colpo di penna che trasforma il cittadino in un ingranaggio della manutenzione ospedaliera e la democrazia in carta straccia.
IL DIRITTO DIVENTA CONTABILITÀ: LA RISCRITTURA DELL’ARTICOLO 32
La Consulta ha compiuto un salto carpiato logico che dovrebbe far tremare i polsi a chiunque abbia a cuore la libertà.
Non si tratta più soltanto di proteggere la comunità dal contagio, un principio che, seppur dibattibile, possedeva una sua coerenza. No. La novità è più sottile e brutale: lo Stato può ora importi un trattamento sanitario per proteggere te stesso da te stesso, o peggio, per evitare che tu diventi un “costo” o un “peso” per il sistema sanitario.
È la fine dell’autodeterminazione. Se il criterio per limitare la libertà individuale diventa la gestione del “carico ospedaliero”, abbiamo smesso di essere persone e siamo diventati unità di occupazione di posti letto. La salute non è più un bene prezioso dell’individuo, ma un asset di bilancio pubblico.
Viene da chiedersi, allora, che fine faranno gli obesi e i fumatori che, dato il loro stile di vita, sono fortemente a rischio per le malattie cardiovascolari, perciò candidati a essere un costo per il sistema sanitario.
IL PARADOSSO DELLA MORTE E IL DIVIETO DELLA CURA
Viviamo in un’era di schizofrenia giuridica senza precedenti.
Da un lato, il sistema celebra il diritto al suicidio assistito, elevando l’autodeterminazione estrema a traguardo di civiltà.
Dall’altro, lo stesso sistema ti nega il diritto di scegliere come curarti o a quali rischi biologici sottoporre il tuo organismo.
Quindi, puoi scegliere di morire, ma non puoi scegliere come vivere se la tua scelta non coincide con i protocolli di Stato.
Questa non è solo un’incongruenza, ma un segnale del fatto che lo Stato non è interessato alla tua vita, ma al controllo della tua biologia. Il corpo umano è diventato territorio di conquista amministrativa e la tua libertà è solo quella di ucciderti. Almeno ti togli dalle palle. Sembra questa la sintesi, brutale, ma logica.
IL PRECEDENTE CHE CI CONDANNA
Aprite gli occhi sul domani che questa sentenza ha appena autorizzato.
Se il principio cardine è la prevenzione del sovraccarico delle strutture pubbliche, cosa impedirà, tra cinque o dieci anni, di rendere obbligatorie le statine per chi ha il colesterolo alto? O di imporre diete forzate e farmaci anti-obesità per decreto ministeriale?
Chi vieterà un TSO a un obeso che non volesse mettersi a dieta e a un fumatore che non volesse smettere?
La logica è la medesima: “Fallo per non pesare sul sistema”.
È un piano inclinato che scivola verso un autoritarismo dove ogni debolezza fisica diventa un crimine contro l’efficienza statale. Abbiamo accettato che il rischio di effetti avversi gravi, persino letali, sia un “prezzo accettabile” per l’ordine collettivo.
Ma chi decide quel prezzo? Non tu, non il tuo medico di fiducia, ma un burocrate che guarda un foglio Excel e nemmeno il popolo sovrano, che non è sovrano da un pezzo.
LA SCIENZA COME DOGMA E IL SACRIFICIO DELL’INDIVIDUO
La decisione si stende anche sulla ricerca scientifica, trasformata da processo critico in dogma indiscutibile.
Abbiamo visto ignorare studi che mostravano fragilità nei dati, abbiamo visto nascondere sotto il tappeto le storie di chi, dopo un’imposizione, ha perso la vista, la salute o la vita.
Ma quando la magistratura decide che la “salute pubblica” annulla la dimensione individuale, sta di fatto autorizzando il sacrificio dei pochi per il presunto beneficio di molti. Peccato che una società che accetta di sacrificare i propri figli sull’altare dell’efficienza burocratica abbia già perso la propria anima.
La tua integrità fisica è ora un bene disponibile, un prestito che lo Stato può revocare in qualsiasi momento in nome di un’emergenza che, per definizione, può essere dichiarata all’infinito.
L’ULTIMO RIFUGIO È SOTTO ATTACCO
Non dormite sonni tranquilli pensando che l’emergenza sia finita.
L’emergenza sanitaria è stata solo il laboratorio per un esperimento di ingegneria sociale molto più vasto, potenzialmente già pronto all’orizzonte.
Ciò che resta è una Costituzione mutilata e un cittadino inerme di fronte al potere.
Il futuro che si prospetta è un panorama di obblighi farmacologici ciclici, dove il consenso informato è diventato un’ironica reliquia del passato.
La domanda che ogni uomo libero dovrebbe porsi non è se il vaccino fosse giusto o sbagliato, ma se siamo pronti a consegnare le chiavi del nostro sangue e delle nostre cellule a un’autorità che non risponde più della nostra integrità, ma solo della propria sopravvivenza economica.
La risposta segnerà il destino delle prossime generazioni. E la paura che provate non è irrazionale: è l’ultimo rintocco della coscienza prima che cali il sipario sulla libertà di essere umani e diventiamo tutti automi, ingranaggi di un sistema che deciderà per noi ogni aspetto delle nostre vite.


Dott. Pasquale Di Matteo
Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.




