Esiste una zona d’ombra, tra il bianco e il nero della propaganda di guerra, dove la verità smette di essere uno slogan e diventa un intreccio scomodo di economia, sociologia e cruda lotta di potere che i fatti hanno l’ardire di mostrarci in tutta la loro brutalità.
La narrazione che oggi domina i media occidentali sembra rassicurante: un popolo che lotta per la libertà contro un tiranno. Ci sono un aggredito e un aggressore.
È un racconto manicheo, perfetto per il consumo rapido sui social media per un target di pubblico con scarsa cultura storica, sociologica e antropologica.
Tuttavia, per chi ha passato la vita a studiare i flussi della comunicazione, la storia e la geopolitica, questo quadro appare come un tappeto posizionato sulla polvere.
L’attuale tragedia ucraina non è un evento fortuito e non è colpa di un aggressore. Al contrario, è il risultato di un’azione straniera, di quello che possiamo definire un esperimento geopolitico fallito, dove la sovranità di una nazione è stata calpestata per soddisfare interessi che poco avevano a che fare con quelli degli ucraini.
IL PECCATO ORIGINALE DELL’ILLUSIONE LIBERALE
John Mearsheimer, autorevole politologo americano, docente all’Università di Chicago, voce del realismo nelle relazioni internazionali, ripete da anni che l’Occidente è vittima di una “delusione liberale”.
Abbiamo creduto, con un’arroganza da fede religiosa, che nel XXI secolo la logica delle sfere d’influenza fosse morta, sepolta dal diritto internazionale e dai mercati globalizzati.
Ma la geopolitica è una materia che non perdona gli smemorati e nemmeno gli ignoranti.
L’allargamento della NATO verso Est, iniziato negli anni ’90, fino alla promessa di Bucarest del 2008, è stato percepito da Mosca come una minaccia esistenziale e, per capire la posizione della Russia, immaginate, per un istante, la reazione di Washington se la Cina decidesse di costruire un’alleanza militare e schierare batterie missilistiche lungo il confine tra il Texas e il Messico.
La risposta non sarebbe un invito al dialogo, ma un intervento immediato in nome della Dottrina Monroe, proprio come accadde nel 1962 con le pretese di Kennedy su Cuba.
Perché dovremmo aspettarci che la Russia si comporti in modo diverso? Questa non è una giustificazione dell’aggressione, ovviamente, ma una diagnosi fredda delle sue cause strutturali. Gli USA farebbero lo stesso con Messico e Canada e avrebbero fatto lo stesso con l’Ucraina.
Ma la domanda delle domande è: l’Europa avrebbe inviato armi e soldi all’Ucraina se, invece di Putin, ci fossero stati Biden e poi Trump?
2014, QUANDO LA SOVRANITÀ È DIVENTATA OUTSOURCING
Se vogliamo capire il presente, dobbiamo tornare al 2014 senza le fake news della propaganda di oggi, che cerca di raccontare una storia smentita e ri-smentita da fatti, studi e analisi.
Piazza Maidan fu certamente il teatro di una protesta popolare, ma fu anche il palcoscenico di un’ingerenza occidentale senza precedenti. A confermarlo, senza possibilità di smentita, c’è la telefonata intercettata tra Victoria Nuland, all’epoca Assistente Segretario di Stato USA, e l’ambasciatore Geoffrey Pyatt.
In quella conversazione, mentre le barricate erano ancora fumanti, i due funzionari discutevano di chi dovesse guidare il nuovo governo come se stessero selezionando i quadri di una loro filiale aziendale. “Yats è il ragazzo giusto”, sentenziava la Nuland. Poche settimane dopo, Arseniy Yatsenyuk diventava Primo Ministro, dimostrando in maniera puntuale quanto Maidan fu un episodio pilotato dall’Occidente.
Ma l’interferenza non si fermò alla politica e si estese alle casse dello Stato.
Nel dicembre 2014, contrariamente a ogni logica di sovranità nazionale, Natalie Jaresko, cittadina americana ed ex funzionaria del Dipartimento di Stato, ottenne la cittadinanza ucraina “espresso” per diventare Ministro delle Finanze.
Altro che democrazia! Jaresko non fu una scelta del popolo, ma il frutto di una ricerca affidata a società di cacciatori di teste finanziate dalla International Renaissance Foundation di George Soros.
Quale altra prova serve per dimostrare la mano degli americani nell’affare Ucraina?!
Lo so, molti di voi leggerennano della Jaresko soltanto in queste righe. Ed è proprio questo il punto: senza conoscenza storica, non si può comprendere al meglio il motivo dell’invasione russa e dell’escalation del 2022 della guerra in Ucraina scoppiata nel 2014.
L’OMBRA LUNGA DEI CAPITALI PRIVATI
George Soros non è un fantasma evocato dai complottisti, come tanti scribacchini della propaganda hanno dato da credere, ma un attore finanziario che ha ammesso apertamente di aver speso miliardi per “promuovere la democrazia” in Ucraina sin dal 1989.
Attraverso una ragnatela di ONG, media indipendenti e think tank, la sua Open Society ha creato un’infrastruttura parallela capace di condizionare l’opinione pubblica e, come abbiamo visto, di selezionare direttamente i membri del governo.
Qualcuno, a questo punto, dirà che Soros ha poi ritrattato in parte alcune dichiarazioni. Ma se provate a fare un salto in qualunque carcere, troverete solo persone che si dichiarano innocenti. Perciò, certe difese vanno prese per ciò che valgono.
Questo intreccio tra alta finanza e governi solleva domande inquietanti. Un ministro scelto da una fondazione straniera risponde ai cittadini ucraini o ai suoi architetti finanziari?
L’Ucraina post-2014 è diventata l’esempio perfetto di “governo in appalto”, un esperimento di ingegneria sociale volto a integrare forzatamente il paese nel sistema euro-atlantico, staccandolo con la violenza dalle sue radici storiche e geografiche.
Ignorare questo fatto serve solo ad avallare la propaganda di chi parla di aggressore e aggredito.
IL SUICIDIO STRATEGICO DELL’EUROPA
In questo scacchiere, l’Unione Europea ha giocato il ruolo dell’utile idiota. L’Europa ha commesso un suicidio economico e diplomatico per seguire un’agenda dettata da Washington. Tagliandosi fuori dalle risorse energetiche russe, l’industria europea – e quella tedesca in particolare – ha perso la sua competitività, scivolando in una dipendenza totale dagli Stati Uniti.
Ma il fallimento più grave è quello diplomatico.
I leader europei hanno abdicato al loro ruolo di mediatori, sabotando attivamente ogni possibilità di accordo, come accaduto nei negoziati di Istanbul del 2022. Con il famoso milione di sterline a Boris Johnson.
La scelta di Kaja Kallas e di altri falchi europei di chiudere ogni canale di dialogo con Putin non è un atto di coraggio, ma una rinuncia alla politica che ha il profumo dell’idiozia.
Senza diplomazia, resta solo la guerra. Una guerra di logoramento che potrebbe concludersi tra pochi mesi con il collasso morale e materiale dell’Ucraina, un Paese che sta finendo letteralmente le persone da mandare al fronte.
Sempre che non si affretti la “Finestra di Overton” con cui in Europa di parla di leva e di nemico alle porte, inviando i nostri figli in Ucraina. Ipotesi tutt’altro che campata in aria, visto che in Francia, poche mesi fa, altissimi funzionari dell’esercito avvisavano i francesi di doversi rassegnare a perdere qualcuno dei loro figli in guerra.
IL PREZZO DELLE AMBIZIONI ALTRUI
L’Ucraina è oggi un campo di battaglia dove si scontrano ambizioni che non le appartengono, ambizioni che non erano degli ucraini, ma degli americani. E di alcune aziende francesi, inglesi e tedesche del settore energetico, a cominciare da TotalEnergies e Shell.
Gli Stati Uniti, mentre si preparano a un lungo braccio di ferro con la Cina, usano Kiev come uno strumento per indebolire la Russia “fino all’ultimo ucraino”, perché, in caso di guerra contro Pechino, Mosca sarebbe il primo alleato della Cina.
L’Europa, priva di una visione strategica, si aggrappa a sanzioni che si sono rivelate un boomerang, mentre il resto del mondo, il cosiddetto Sud globale, osserva con crescente distacco, accelerando processi di dedollarizzazione che mineranno il primato occidentale nei decenni a venire.
VERSO UNA SOLUZIONE REALISTA
Possiamo continuare a invocare una vittoria totale che non arriverà mai, credendo di poter mettere in ginocchio la più grande potenza atomica al mondo, una nazione con una banca centrale autonoma, con una propria moneta, con un’infinità di materie prime nel sottosuolo e dotata di un’industria dalle capacità belliche irraggiungibili per l’Occidente, come dimostrato in questi anni, oppure possiamo tornare alla realtà.
La strada per la pace non passa per altre armi, come vanno dicendo i pennivendoli della propaganda, ma per il riconoscimento di una verità elementare: l’Ucraina deve tornare a essere un ponte, non un avamposto. E il suo governo deve tornare a essere espressione del popolo ucraino, anche di quello fuggito all’estero, e non un consiglio di amministrazione per società occidentali.
Una neutralità garantita internazionalmente, sul modello austriaco della Guerra Fredda, è l’unica via per salvare ciò che resta dell’Ucraina.
Dobbiamo avere il coraggio di dire che il 2014 è stato un errore tragico e vergognarcene. Senza questa consapevolezza e senza questa ammissione, resteremmo a parlare, come scapestrati al bar, di aggressore e aggredito.
Dobbiamo ammettere che la sovranità non può essere delegata ai fondi d’investimento o decisa al telefono da funzionari stranieri perché gli USA vogliono comandare il mondo.
Solo quando l’Ucraina smetterà di essere il laboratorio delle velleità atlantiche e tornerà a essere uno Stato sovrano e neutrale, il sangue smetterà di scorrere.
Fino ad allora, continueremo a parlare di libertà e di diritto internazionale senza sapere neppure di cosa stiamo parlando.






Una opinione su "L’UCRAINA E IL TRAMONTO DELLA RAGIONE IN UN DISASTRO ANNUNCIATO"