La guerra è l’unico mercato dove il fallimento dei venditori viene pagato con il sangue degli acquirenti.
Sarà brutale, ma è incontrovertibile.
Mentre le cancellerie europee si esercitano in una retorica sterile, fatta di “paci giuste” e “vittorie finali”, la realtà geografica e il diritto bellico vengono sistematicamente ignorati, come se il desiderio fosse una categoria della fisica nucleare.
Abbiamo trasformato il conflitto in un talk show permanente, dimenticando che dietro ogni pixel di una mappa che si sposta, c’è il terrore di morire di un diciottenne che non ha mai chiesto di essere un martire della geopolitica, che se ne frega di Zelensky, Putin, Macron e di Trump.
LA TRAPPOLA DELLA “PACE GIUSTA” E IL CIMITERO DEL REALISMO
Inseguiamo l’illusione di una “pace giusta”, senza capire che, storicamente, la pace è solo l’istantanea scattata al termine di un massacro. Fotografie in cui chi ha combattuto non compare mai, ma compaiono solo quelli che hanno parlato, magari seduti al tavolo di club esclusivi.
La pace non è un atto di giustizia distributiva, ma il riconoscimento di un nuovo equilibrio di forza.
Chi oggi invoca la giustizia assoluta come precondizione per il cessate il fuoco, in realtà, sta firmando la condanna a morte di migliaia di soldati. Se esistesse una pace giusta in assoluto, l’Italia dovrebbe rivendicare Nizza e la Savoia, o l’Istria e la Dalmazia.
Non lo facciamo perché sappiamo che i trattati sono scritti con la logica della sconfitta o della vittoria, non della morale.
Oggi, l’Occidente vive in uno stato di cortocircuito cognitivo patologico. Crediamo che fornire armi equivalga a fornire vita, mentre i dati dell’Institute for the Study of War descrivono una realtà diversa: un’inesorabile avanzata russa contro un eroico, ma disperato, arretramento ucraino.
È il paradosso di Kiev. Più cerchiamo di aiutare militarmente l’Ucraina senza un piano diplomatico, più la condanniamo a una forma di suicidio assistito. Stiamo dissanguando un popolo per non ammettere che la prima potenza nucleare del mondo, piaccia o meno, non può essere cancellata dalle mappe.
LA RETORICA DELLE CLASSI DIRIGENTI E L’EROSIONE DELLO “JUS IN BELLO”
Il dramma sociologico di questo tempo sta nella totale assenza di un’intenzione che non sia la guerra.
Secondo la tradizione filosofica e il diritto medievale, la guerra è giustificabile solo se la sua intenzione profonda è la costruzione di un trattato di pace. Ma come si può negoziare con uno “spettro” o con un “cadavere”?
Se l’obiettivo dichiarato è l’annientamento totale dell’avversario, la pace diventa logicamente impossibile. Non si firma un accordo con un nemico che si vuole eliminare fisicamente e politicamente.
Siamo finiti in una barbarie comunicativa dove lo “jus in bello”, il diritto nella guerra, è evaporato. Non ci sono più regole, solo sterminio. E la cosa più inquietante è che questa irrazionalità non appartiene alle masse, ma alle élite.
Quando i leader perdono il contatto con il principio di realtà, la catastrofe è inevitabile.
Come notava Tolstoj, il destino dei popoli è spesso nelle mani di sei o sette individui; se questi individui decidono di mettersi le dita nelle orecchie per non sentire il rumore della verità, il risultato è Guernica di Picasso.
Ovviamente, ciò che ha permesso a Picasso di realizzare quell’opera straordinaria nella sua poetica spiazzante.
IL PIANO TRUMP E L’IPOCRISIA EUROPEA: COMPRARE TEMPO CON LA VITA DEGLI ALTRI
L’Europa non ha una politica estera; ha solo una delega in bianco firmata a favore di Washington.
Compriamo gas americano a prezzi quadruplicati, acquistiamo armi americane per regalarle al fronte e subiamo i dazi di chi ci dovrebbe proteggerci.
La verità è che il cosiddetto “Piano Trump”, per quanto possa apparire cinico o “sporco”, è l’unico elemento di realismo rimasto sul tavolo. Prevede compromessi territoriali, rinunce alla NATO e il congelamento delle posizioni.
È un’offerta che Putin non può rifiutare, ma è anche l’unica che può salvare l’ottanta per cento dell’Ucraina che ancora resta in piedi.
Invece, le classi dirigenti europee preferiscono la propaganda. Parlano di “vittoria finale” perché ammettere la sconfitta significherebbe ammettere un errore strategico colossale. Preferiscono che gli ucraini continuino a morire per “prendere tempo”, come se il tempo fosse una risorsa infinita e non una clessidra riempita di vite umane.
È una forma di crudeltà burocratica: costringere un popolo a un’agonia prolungata per non dover affrontare il trauma di un compromesso necessario.
L’ESTREMO MONITO: VERSO UN NUOVO ESERCIZIO DELLA VIOLENZA LEGITTIMA
Se non recuperiamo la lucidità, il passo successivo sarà l’abisso.
Già oggi, la narrazione bellicista sta preparando il terreno per l’accettazione della violenza legittima degli Stati contro i propri cittadini.
Potrebbe sembrarci incredibile, ma siamo a un passo dal veder tornare la coscrizione obbligatoria, il momento in cui lo Stato ti impone di marciare verso un nemico che non ti riguarda per una causa che è stata decisa in un ufficio climatizzato di Bruxelles o di Washington.
Dobbiamo scegliere: o accettiamo la “pace sporca” dei realisti, o continuiamo a tifare per la “guerra pulita” degli ideologi, quella che si combatte sui social ma che si conclude nelle fosse comuni.
Il silenzio dei pacifisti è stato comprato con l’accusa di tradimento, mentre il rumore dei tamburi di guerra è l’unica colonna sonora ammessa.
Ma la storia non perdona chi scambia i propri desideri per la realtà. E la realtà, oggi, è un grido che squarcia il velo di ipocrisia di un Occidente che ha smesso di pensare per limitarsi a reagire.
È tempo di tornare alla “recta intentio”, cioè all’intenzione di giungere alla fine della guerra. È tempo di capire che un cattivo trattato è sempre, infinitamente meglio, di una qualsiasi guerra, anche di una guerra “giusta”. Perché non esistono guerre giuste. Solo guerre che uccidono migliaia di giovani innocenti. Sempre e comunque.
Torniamo a dare voce al pensiero, alla filosofia, alla maturità della diplomazia. Prima che il giovane mandato a morire sia tuo figlio.

Dott. Pasquale Di Matteo
Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.





