L’ALTRA FACCIA DELLO SPECCHIO: LA GENESI MILLENARIA DELLA COSTRUZIONE DEL NEMICO RUSSO

Siamo soliti pensare che la storia sia una sequenza lineare di eventi, un resoconto oggettivo di fatti.

Nulla di più falso.

La storia, specialmente quella che governa le nostre percezioni geopolitiche, è un’opera di architettura narrativa, un insieme di simboli e pregiudizi che si stratificano con il tempo.

Oggi, mentre osserviamo il conflitto in Ucraina, crediamo che l’ostilità occidentale verso Mosca sia una reazione contingente alle ambizioni di un singolo uomo o alle dinamiche di un decennio.

Ma è un’illusione ottica, perché la russofobia non è una cronaca del presente, ma un’ideologia di Stato che respira da mille anni.

L’ATTO DI NASCITA: UN DIVORZIO CHE NON SI È MAI CONCLUSO

Tutto comincia con un furto d’identità collettiva.

Dobbiamo tornare alla notte di Natale dell’anno 800, quando il Papa incorona Carlo Magno.

In quel momento, il cordone ombelicale tra l’Occidente romano-germanico e l’Oriente bizantino viene reciso con un colpo di scure.

Non si trattava solo di potere temporale, ma fu una questione di “branding” spirituale.

Roma doveva essere l’unica erede della civiltà, e per esserlo, l’Oriente ortodosso doveva diventare, per forza di cose, l’usurpatore, l’eretico, il diverso. E il Grande Scisma del 1054 non fece altro che cristallizzare questa frattura.

Da quel momento, il russo non è più solo un vicino geografico, ma un’anomalia.

La sociologia della comunicazione ci insegna che per definire “Noi” abbiamo bisogno di un “Loro” che sia il nostro esatto opposto. L’Occidente si è autoproclamato luce, democrazia e progresso; di conseguenza, la Russia è stata condannata a rappresentare l’ombra, il dispotismo e l’arretratezza.

L’ARCHITETTURA DELL’INGANNO: I FALSI STORICI COME ARMI DI COMUNICAZIONE DI MASSA

L’inchiesta sui pregiudizi non può prescindere dall’analisi dei documenti.

L’Occidente ha costruito la propria superiorità morale su fondamenta di carta.

La “Donazione di Costantino” fu il primo grande falso utilizzato per delegittimare Costantinopoli e, per estensione, tutto ciò che gravitava intorno alla fede ortodossa.

Secoli dopo, il “Testamento di Pietro il Grande” – un falso prodotto in Francia nel XVIII secolo – ha iniettato nel sangue dell’Europa il virus del sospetto permanente.

In questo documento apocrifo, la Russia veniva descritta come un predatore insaziabile con un piano segreto per conquistare il globo.

Era una proiezione psicologica magistrale. Le potenze europee, impegnate in quel momento in una colonizzazione brutale, per accaparrarsi materie prime e manovalanza a poco prezzo, attribuivano alla Russia le proprie stesse pulsioni espansionistiche.

È il paradosso del guardone: accusare l’altro della propria stessa perversione per sentirsi puliti.

DALLE CROCIATE DEL NORD AL “GRANDE GIOCO” BRITANNICO

Mentre i russi lottavano per la sopravvivenza sotto il Giogo Tataro, l’Occidente non offriva aiuto, ma crociate.

I Cavalieri Teutonici non cercavano solo terra, ma anche anime da “correggere”.

La battaglia sul lago dei Ciudi del 1242 segna il momento in cui la difesa russa diventa, agli occhi occidentali, un atto di ribellione alla civiltà.

Ma è nell’Ottocento, il secolo del “Grande Gioco”, che la russofobia diventa un prodotto di consumo per le masse. L’Inghilterra, spaventata dall’avvicinamento russo all’India, ha inventato l’iconografia dell’Orso Russo: una bestia goffa, violenta e imprevedibile.

La stampa britannica ha trasformato la geopolitica in una favola morale. I russi, che erano stati alleati fondamentali contro Napoleone, divennero improvvisamente i vampiri dell’Europa.

Un po’ ciò che è avvenuto nel 2022 con Putin, trasformato in dittatore, dopo anni in cui i leader europei facevano a gara per stare accanto a lui nelle foto ufficiali.

La velocità di questo cambiamento narrativo dimostra quanto la russofobia sia un “software” sempre pronto all’uso, capace di essere attivato o disattivato a seconda delle necessità dei mercati e degli imperi.

LA GERMANIZZAZIONE DELL’ODIO E IL CONCETTO DI SUB-UMANITÀ

Il passaggio più oscuro avviene tra le foreste prussiane e le accademie di Berlino.

Con Bismarck e poi con l’ideologia völkisch, l’ostilità si sposta dal piano culturale a quello biologico.

Gli slavi iniziano a essere percepiti come una “razza inferiore” e la Russia non è più solo un rivale politico, ma un ostacolo biologico al destino manifesto della razza germanica.

Questa deriva, culminata nell’orrore nazista, ha lasciato cicatrici profonde che ancora oggi condizionano la percezione della Russia come di un’entità “barbara” e non integrabile nel consesso civile.

LA SINTESI AMERICANA: IL MALE ASSOLUTO 2.0

Gli Stati Uniti hanno ereditato questo immenso arsenale di pregiudizi, perfezionandolo con la loro ineguagliabile capacità di “storytelling” globale, anche grazie all’ufficio per la propaganda più grande al mondo: Hollywood.

La russofobia americana è una sintesi perfetta: ha preso il moralismo francese dei diritti umani, la strategia di contenimento marittimo inglese e la demonizzazione ideologica tedesca e ne ha fatto pellicole dal successo planetario, per spettatori che nelle ore di storia preferivano leggere fotoromanzi o giocare a tris di nascosto. Lo stesso meccanismo con cui ha trasformato gli indiani d’America in selvaggi e l’aggressore bianco nel buono.

Ronald Reagan, definendo l’URSS “l’Impero del Male”, ha completato il cerchio iniziato nel 1054.

La lotta non era più politica, ma metafisica. Un duello tra angeli e demoni.

Questa narrazione è così potente da essere sopravvissuta al crollo del comunismo. Quando la Russia ha cercato di reintegrarsi negli anni ’90, l’Occidente ha vissuto una crisi d’identità.

Senza il mostro sotto il letto, chi eravamo noi? Soprattutto, cos’erano gli USA senza l’URSS?

Le loro aggressioni a paesi sovrani di mezzo mondo sono state giustificate per mezzo secolo proprio dalla difesa dell’Occidente contro l’URSS, ma, con il crollo del Muro di Berlino e la deflagrazione della Mosca comunista, questa narrazione non era più una giustificazione spendibile.

Perciò, la russofobia è tornata perché è utile. È il collante che tiene unita un’Alleanza Atlantica altrimenti priva di scopo.

IL COSTO DI UNA FOLLIA RAZIONALE

Come osservatore geopolitico, non posso che constatare il danno immenso che questa cecità volontaria infligge all’Eurasia.

La russofobia è una prigione cognitiva, perché ci impedisce di vedere che la Russia non è una nazione aliena, ma un’altra faccia della nostra stessa identità europea, cresciuta in condizioni climatiche e storiche differenti.

L’Occidente tollera dittature feroci quando sono funzionali ai propri interessi, persino guerre dai massacri atroci – vedi Gaza – ma punta il dito contro Mosca con un fervore religioso che tradisce la sua vera natura: una crociata che non è mai finita.

Fino a quando non avremo il coraggio di rompere questo specchio millenario, continueremo a combattere fantasmi, sacrificando sull’altare del pregiudizio la possibilità di una pace reale e di una prosperità comune.

La Russia non è il mostro, il riflesso delle nostre paure più antiche, un’ombra che abbiamo creato per non dover guardare dentro noi stessi.

Perché, se guardassimo dentro noi stessi, scopriremmo che un mostro esiste, ma non è Mosca.

Dott. Pasquale Di Matteo

Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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