L’UCRAINA AL BIVIO

DIETRO LA MASCHERA DELLA PROPAGANDA, IL COLLASSO DEL FRONTE E IL PRESSING PER LA PACE

l mondo non è ciò che vediamo, ma ciò che ci viene indotto a percepire dagli esperti di Comunicazione.

Nelle aule di Sociologia della Comunicazione, questo fenomeno si chiama “iper-realtà”.

E viviamo proprio in questa teoria, su un palcoscenico dove la rappresentazione della guerra ha ormai divorato la guerra stessa. Eppure, sotto i riflettori della propaganda ucraina e occidentale, le tavole del palcoscenico stanno marcendo e la verità si sta rivelando sempre di più.

D’altronde, tante panzane sono già state polverizzate miseramente: sanzioni dagli effetti dirompenti per cui Mosca era al tappeto nel 2022; 1000 soldati russi al giorno, cioè l’intero esercito russo annientato dal 2022 a oggi, di circa 1,3 milioni di uomini; Putin con massimo tre anni di vita per quattro tipologie di cancro più il diabete e altre sindromi; controffensive ucraine del 2022, poi del 2023, poi lo sfondamento in Russia. E tante altre.

Adesso, un nuovo capitolo della tragedia, che inizia con un paradosso mediatico.

Nel suo discorso di Natale, Volodymyr Zelensky ha pronunciato parole che, per chiunque sappia ancora ascoltare, suonavano di una stanchezza ancestrale, quasi una sorta di preghiera per la pace, il desiderio della fine dell’oppressore.

Eppure, la macchina del fango comunicativo ha trasformato quel sospiro in un ruggito di sangue, titolando su un odio viscerale per vendere qualche migliaio di clic.

Perché anche in Occidente c’è una propaganda. E quando i media smettono di riportare i fatti, per fabbricare anatemi, significa che la realtà sottostante è troppo spaventosa per essere raccontata.

LA FARSA DI KUPYANSK E IL CROLLO DELLA NARRAZIONE

La realtà è che il fronte non si sta solo spostando, ma si sta sfaldando.

Prendiamo il caso di Kupyansk.

Abbiamo assistito a Zelensky che, in un video dai toni quasi cinematografici, smentiva l’avanzata russa definendola una menzogna del Cremlino.

Eppure, ventiquattro ore dopo, la città cadeva ufficialmente.

Non è solo una sconfitta militare, dunque, ma il fallimento della “comunicazione strategica” di Kiev, perché, se la leadership deve ricorrere a messinscene teatrali per rassicurare gli sponsor, significa che le risorse reali, le risorse umane, materiali, morali, sono esaurite.

Mentre i porti di Odessa bruciano e le città di Sumy e Kharkiv sprofondano nel buio di infrastrutture energetiche polverizzate, la discrepanza tra i bollettini ufficiali e i dati dell’intelligence diventa un abisso.

I blogger russi criticano i loro generali, certo, ma lo fanno per eccesso di prudenza, non per mancanza di risultati. Nel frattempo, l’Occidente continua a iniettare miliardi in un corpo che non risponde più agli stimoli, giustificando l’esborso con la teoria che “Putin vuole ingannarvi”.

Ma chi sta ingannando chi? Quelli delle sanzioni dirompenti?!

LO STRAPPO ATLANTICO: SE WASHINGTON PERDE LA PAZIENZA

A Washington, l’aria è cambiata.

Le recenti e feroci accuse di Tulsi Gabbard contro la leadership europea non sono il delirio di una dissidente, ma il segnale di uno strappo profondo tra il pragmatismo americano e l’ideologismo europeo.

Gli Stati Uniti hanno capito che il “partito della guerra” a Bruxelles sta cercando di trascinarli in un conflitto diretto contro la Russia per coprire i propri fallimenti politici.

Il repentino dietrofront di Boris Pistorius, ministro della Difesa tedesco, è emblematico.

È passato in pochi giorni dal profetizzare una Germania pronta alla guerra entro il 2029, al rassicurare che Putin non attaccherà la NATO.

Non è una miracolosa conversione morale, ovviamente, ma il risultato di un “pressing” brutale esercitato dalla Casa Bianca per riportare l’Europa alla ragione.

Washington sta usando l’arma più affilata che ha contro Zelensky: il ricatto delle urne.

Chiedere elezioni in piena guerra non è un atto di democrazia, ma una sorta di avvertimento mafioso. È come dire: “O accetti i negoziati alle nostre condizioni, o ti sostituiamo con un voto che non potrai controllare”.

IL CAVALLO DI TROIA: LA STRATEGIA LUNGA DEL CREMLINO

In questo scenario, la Russia sta giocando una partita a scacchi su un piano diverso, perché Mosca non si oppone più con forza all’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea.

Il Cremlino non aspetta solo la vittoria sul campo, ma il collasso politico di Kiev. Una volta che l’attuale leadership sarà caduta, la Russia punta a insediare un governo fantoccio sul modello bielorusso. A quel punto, l’Ucraina entrerebbe nell’UE non come partner, ma come un “Cavallo di Troia”.

Mosca avrebbe i suoi emissari seduti al tavolo di Bruxelles, capaci di influenzare, sabotare e orientare le politiche europee dall’interno.

È una strategia che trasforma la vittoria militare in un’egemonia continentale.

Gli attentati terroristici che hanno colpito Mosca negli ultimi giorni, atti che portano la firma di un’intelligence troppo sofisticata per essere solo ucraina, sono l’ultimo disperato tentativo del “partito della guerra” occidentale di sabotare questa deriva diplomatica.

L’uso del terrore è il rifugio di chi ha perso la capacità di fare la guerra e la legittimità di fare la pace.

IL RISVEGLIO DAL SOGNO TECNOCRATICO

Siamo alla fine dei giochi.

La propaganda che ancora ferve sulle pagine del New York Times o del Washington Post somiglia sempre più all’orchestra del Titanic.

Si parla di prestiti UE che “salveranno” il fronte, ignorando che i soldi non possono comprare i soldati che mancano o riparare una rete elettrica distrutta sistematicamente.

La società occidentale è ipnotizzata da una narrazione che ha smesso di essere utile, se non a tenere in piedi, disperatamente, l’affare della guerra per chi ha interesse che prosegui.

La farsa è finita, ma il risveglio sarà traumatico.

Il collasso delle forze ucraine è un’eventualità che incombe non perché lo dica un ministro russo, ovviamente, ma perché le leggi dell’economia e della fisica bellica non possono essere sospese da un post su X o dalle panzane di Mario Draghi, Ursula von der Leyen o altri protagonisti occidentali che non ne azzeccano mezza da quattro anni.

Il tempo è scaduto, e mentre le élite di Bruxelles continuano a sognare crociate e continuano all’interno di un gioco della PlayStation, il mondo reale si sta già riorganizzando secondo nuovi, durissimi, poli di potere.

L’ultima estate pacifica dell’Europa non è un monito per il futuro, ma somiglia già a un ricordo del passato che non abbiamo voluto proteggere.

Nel mondo che si sta disegnando, grazie alle scelte degli attuali leader europei, l’Europa sarà solo un nome sulle mappe del Risiko mondiale, senza alcuna voce in capitolo.

Sempre che non si verifichi un miracolo, con un cambio di leader o di strategie improvvisi.

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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