Il rumore della storia che si sta scrivendo sotto i nostri occhi, non è fatto solo di esplosioni, ma anche del silenzio assordante dei servizi pubblici e del welfare che svaniscono.
Mentre le cancellerie occidentali e il Cremlino giocano una partita a scacchi su una scacchiera fatta di fango e con pezzi che sono esseri umani, il cittadino europeo medio si trova sospinto in un cono d’ombra dove la verità è la prima vittima di un’inflazione che, prima di essere monetaria, è morale.
Siamo spettatori di un paradosso comunicativo per cui ci dicono che Mosca è sull’orlo del baratro, eppure continua ad avanzare in Ucraina.
IL MIRAGGIO DEL FALLIMENTO E LA REALTÀ DEL TERRENO
La narrazione dominante ci ha venduto un’immagine rassicurante: una Russia tecnicamente fallita, isolata e incapace di avanzare. Ma chi ha studiato Comunicazione sa che, quando il messaggio non coincide con la realtà, il ricevente finisce per perdere fiducia nel sistema.
La verità sul campo racconta una storia diversa da quanto veicolato dal mainstream.
Mosca ha annesso zone che ora presidia in buona parte, mirando al controllo totale di tutti quei territori che considera simbolicamente e politicamente vitali.
Le sciocchezze sulle pale, i muli, i cavalli, i microchip, le carriole, le controffensive, gli F16 e i missili che avrebbero sovvertito l’esito della guerra, e tutta la serie di panzane spacciata per grandi inchieste di guerra valgono giusto una risata davanti a una birra in compagnia.
ll Cremlino non vede l’Ucraina come uno Stato sovrano, ma come una provincia imperiale da riportare sotto l’ombra dello Zar.
Questa visione non si cancella con un tratto di penna o con sanzioni che, paradossalmente, sembrano mordere più le economie di Berlino e Roma che quella di una Mosca riorganizzata in economia di guerra.
Mentre, già da prima della guerra, noi chiedevamo ai genitori degli alunni di portare carta igienica, risme, pastelli, e adesso contiamo i centesimi per finanziare il resto, l’industria russa ha trasformato il suo PIL in proiettili, creando un’inerzia strutturale che non può essere fermata con un semplice “cessate il fuoco”.
Putin è sostenuto da un coeso apparato militare e da un altrettanto forte blocco affaristico, convinto che la guerra non sia per l’Ucraina, ma per l’esistenza della Russia come nazione, minacciata dalla NATO.
Inoltre, per motivi geopolitici, i BRICS non consentiranno mai l’isolamento della Russia poiché, dopo la sua eventuale caduta, la Cina sarebbe accerchiata e gli altri paesi membri isolati a loro volta, motivo per cui i BRICS non allenteranno il loro supporto e i rapporti commerciali con Mosca.
L’EUROPA PAGA IL CONTO ALTRUI
L’Unione Europea si trova oggi in una posizione di tragica subalternità.
Siamo un ex attore mondiale che ha scelto di diventare irrilevante, delegando i propri “occhi” tecnologici e la propria sicurezza a Washington.
Al di là dei proclami di Kallas & C., e della propaganda occidentale, senza l’intelligence satellitare americana, l’esercito ucraino sarebbe “cieco” e per l’Ucraina sarebbe la fine nel giro di qualche settimana.
Ma senza il portafoglio europeo, l’intera impalcatura amministrativa di Kiev crollerebbe in un pomeriggio.
Paghiamo l’amministrazione pubblica ucraina, i loro stipendi e la loro resistenza, – e anche alcuni cessi d’oro – mentre le nostre infrastrutture – in primis scuole e ponti – cadono a pezzi.
È un trasferimento di ricchezza che solleva interrogativi etici profondi: è giusto sacrificare il diritto alla salute e all’istruzione di una generazione di europei per sostenere un conflitto che la diplomazia sembra aver dimenticato?
La sensazione è che si preferisca alimentare l’industria bellica d’oltreoceano piuttosto che sedersi a un tavolo negoziale che, inevitabilmente, richiederebbe compromessi scomodi e, soprattutto, dire agli europei che tutte le previsioni e tutte le strategie dei nostri leader sono state fallimentari.
LA TRAPPOLA DEL DOPPIO STANDARD E LA GOGNA MEDIATICA
Così, quella parte di stampa che ha scelto di servire il potere, anziché raccontare i fatti, cerca di manipolare l’opinione pubblica.
Se critichi l’invio massiccio di armi, vieni marchiato come “filo-russo”. Se chiedi dove finiscano i miliardi delle tue tasse, subisci la gogna mediatica.
Eppure, osserviamo con orrore come la politica internazionale applichi pesi e misure differenti a seconda delle latitudini. Massacri ignorati in una parte del mondo diventano crimini imperdonabili altrove, creando una dissonanza cognitiva che trasforma le basi della democrazia e il Diritto internazionale in un menù à la carte.
L’estremismo politico che cresce in Europa, come dimostra il caso della AfD in Germania, non nasce dal nulla, ma è il frutto di un malumore intercettato da chi non ha paura di sfidare il dogma della “vittoria a ogni costo”.
L’establishment cerca di screditare queste forze etichettandole come agenti di Mosca, ma la realtà è che queste formazioni danno voce a chi si sente tradito da una classe dirigente che antepone gli interessi strategici di una potenza lontana al benessere dei propri cittadini.
VERSO IL 2026: REALISMO O IMPATTO FATALE?
Guardando al futuro, il 2026 appare carico di nubi all’orizzonte.
La speranza non può essere un piano d’azione. Abbiamo bisogno di diplomazia e di realismo.
Non possiamo continuare a camminare con lo sguardo rivolto alle utopie della vittoria totale contro la più grande potenza atomica sul pianeta, ignorando il lampione che abbiamo di fronte.
Come nella celebre gag di Chaplin, il rischio è quello di un impatto violento contro la realtà dei fatti.
La pace non arriverà per sfinimento del nemico, se il nemico ha trasformato lo sfinimento in una forma di resistenza nazionale.
Arriverà solo quando l’Europa ritroverà la propria voce e la propria sovranità, smettendo di essere un fornitore di soldi e armi a fondo perduto e tornando a essere un attore diplomatico credibile.
Dobbiamo avere il coraggio di chiedere una pace che non sia solo una pausa per riarmarsi, ma una garanzia di sicurezza per tutti.
Altrimenti, l’unica cosa che resterà da comunicare saranno le macerie di un continente che aveva tutto e ha scelto di scommetterlo su una guerra senza fine, giocando con la pelle degli ucraini, a cui, certamente, non interessa niente a chi chiede ancora guerra, vittorie fino all’ultimo uomo e paci giuste.





