Un SMS non è mai solo un messaggio. Soprattutto quando rivesti cariche importanti e decidi delle sorti di mezzo miliardo di persone.
Può essere l’innesco di una rivoluzione o, più prosaicamente, un veleno per la democrazia liberale come l’abbiamo conosciuta.
La malattia di un’istituzione che ha smesso di rispondere ai cittadini per rifugiarsi in una diplomazia del silenzio, fatta di pollici veloci sugli schermi degli smartphone e decisioni da trentacinque miliardi di euro prese tra un impegno ufficiale e un caffè.
Ursula von der Leyen, attuale Presidente della Commissione Europea, ha trasformato il vertice dell’Europa in una fortezza inaccessibile, dove la trasparenza è diventata un fastidioso optional burocratico.
IL MODELLO TEDESCO: L’ARTE DELLA CANCELLAZIONE
La vicenda legata ai famosi “messaggini” non è un errore isolato, ma sembrerebbe un sistema consolidato, poiché, già durante il suo mandato come Ministro della Difesa in Germania, Ursula von der Leyen aveva mostrato una preoccupante antipatia per gli archivi pubblici.
Decine di milioni di euro in consulenze esterne furono assegnati senza mandati chiari, senza procedure d’appalto degne di questo nome e, soprattutto, senza lasciare tracce.
Quando la commissione d’inchiesta parlamentare tedesca chiese di visionare le pezze giustificative dei suoi atti, Ursula von der Leyen rispose che i dati erano stati cancellati e il cellulare istituzionale era stato “ripulito” prima della riconsegna.
Bruxelles non è stata che la naturale evoluzione di questo modus operandi, dunque.
Il “Pfizergate” non è una teoria del complotto, ma una realtà giudiziaria certificata da una condanna del Tribunale dell’Unione Europea.
La Commissione non ha saputo – o voluto – fornire spiegazioni credibili sull’irreperibilità degli SMS scambiati con Albert Bourla, l’amministratore delegato di Pfizer. È una voragine democratica che inghiotte la fiducia dei contribuenti.
Un’attività occulta da dittatura, dove chi comanda non rende conto al popolo.
Trentacinque miliardi di euro di soldi pubblici sono stati impegnati attraverso canali privati, aggirando esperti, avvocati e comitati negoziali previsti dai trattati.
In pratica, Ursula von der Leyen ha agito al di fuori delle regole democratiche che l’Europa si era imposta per non essere la Russia o la Corea del Nord.
LA MORTE CIVILE DI CHI OSA GUARDARE NEL BUIO
Frédéric Baldan è l’uomo che ha deciso di non voltarsi dall’altra parte. Ex lobbista accreditato, Baldan ha depositato una denuncia penale a Liegi, accusando la Presidente di corruzione, abuso di potere e distruzione di documenti.
La reazione del sistema non si è fatta attendere e non stata affatto quella di una democrazia, ma quella feroce degna di un regime autoritario.
In una sincronia che definire sospetta è un eufemismo, Baldan ha subito una sorta di “esecuzione bancaria”: la chiusura simultanea dei conti correnti suoi, dei suoi familiari e persino della sua casa editrice.
A questo si è aggiunto il ritiro immediato del tesserino da lobbista, motivato da irregolarità emerse solo dopo la sua denuncia contro la von der Leyen, dopo che era stato accreditato da anni.
Nelle stesse ore, il giornalista Gabriele Nunziati veniva licenziato per aver posto una domanda che ai vertici dell’Europa non piacevano. (Puoi leggere la vicenda di Nuziati e Baldan in calce a questo articolo).
In Europa, oggi, il dissenso non si punisce con il carcere, ma con la cancellazione economica e professionale, perciò chi parla di democrazia, chi grida “andate in Russia o in Cina se non vi sta bene”, è un cieco che non si accorge che in Russia e in Cina ci siamo già. E siamo immersi fino al collo.
Quella dell’Europa è una forma di controllo sociale sottile, che mira a rendere chi critica un difetto sociale, perciò lo si priva dei mezzi minimi per esistere all’interno della società civile.
Se a tutto ciò aggiungiamo l’impossibilità di agire dei governi del Sud Europa come il nostro, il quadro della democrazia in Europa è tutt’altro che roseo.
Governi di centro, di sinistra, di destra, si sono susseguiti vincendo elezioni con programmi politici puntualmente disattesi in nome di agende politiche dettate dall’Europa.
E quando alcuni governi hanno tentato vie diverse, o non sono mai partiti perché un ministro non piaceva all’Europa – vedi Savona – oppure sono stati sostituiti da governi tecnici.

LA FORTEZZA BERLAYMONT: IMMUNITÀ COME STILE DI VITA
Ursula von der Leyen vive in un appartamento situato all’interno del Berlaymont, la sede della Commissione Europea a Bruxelles. La sua abitazione è in territorio diplomatico, una bolla giuridica che la scherma da perquisizioni e indagini della magistratura locale.
Mentre il “QatarGate” ha mostrato che è possibile entrare nelle case dei parlamentari per trovare valigie piene di denaro, la fortezza di Ursula rimane inespugnabile.
Chi dovrebbe indagare su di lei? La Procura Europea (EPPO) è guidata da Laura Codruta Kovesi, una figura il cui passato giudiziario in Romania, segnato da indagini pesanti e persino dal ritiro del passaporto, la rende, secondo molti osservatori, una pedina vulnerabile a ricatti e pressioni politiche.
È un cortocircuito istituzionale perfetto: il controllore è legato al controllato da fili invisibili e possibilità di ricatto.
IL TRAMONTO DEGLI DEI DI BRUXELLES
L’attuale leadership europea somiglia sempre più a un’aristocrazia autoreferenziale che ha perso il contatto con la realtà del continente.
La Germania è in crisi economica profonda, la Francia vive una paralisi sociale permanente e il modello basato sulla finanza e sulla delocalizzazione sta mostrando le sue crepe finali.
Il libro “Ursula Gates”, boicottato dai grandi distributori in Francia, è il manifesto di questo malessere.
La gestione della pandemia ha lasciato cicatrici profonde non solo nel tessuto sociale, ma anche nella credibilità della scienza e della politica.
Scoprire oggi, attraverso le clausole contrattuali di Pfizer, che l’azienda stessa non garantiva la prevenzione del contagio, mentre i governi imponevano restrizioni draconiane basate proprio su quella presunta garanzia, è un trauma collettivo che non può essere archiviato con un’alzata di spalle, perché i cittadini hanno compreso che la politica europea è tutt’altro che democratica.
E, in una democrazia, chi sbaglia deve risponderne alla legge. Altrimenti non c’è alcuna differenza tra Mosca, Pechino e Bruxelles.
L’Europa si trova a un bivio epocale.
Da una parte, il tentativo di centralizzare ulteriormente il potere, arrivando a ipotizzare la confisca dei beni russi per finanziare la guerra, una mossa che minerebbe definitivamente la certezza del diritto e la reputazione finanziaria dell’euro.
Dall’altra, la necessità urgente di un ritorno alla trasparenza, alla legalità e al rispetto dei cittadini. Trasparenza sempre più lontana.
Se l’Unione non troverà il coraggio di processare i propri scandali e i propri leader che hanno agito al di fuori delle norme democratiche, finirà per essere processata dalla storia, e il verdetto potrebbe essere senza appello.
Il “Metodo Ursula” ha funzionato finora perché è rimasto nell’ombra; ora che la luce comincia a filtrare tra le crepe della fortezza, ci si accorge che i dittatori e chi agisce al di fuori delle regole del Diritto non è solo al di là dei confini europei, ma persino sulle nostre teste.
E decide delle vostre aziende e delle vostre vite.

Dott. Pasquale Di Matteo
Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.





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