C’è un filo d’oro che lega due notizie apparentemente distanti arrivate sulla mia scrivania in queste ultime ore.
Da un lato, il rombo di un’industria che si rifiuta di morire; dall’altro, il silenzioso ribollire di un patrimonio culturale che il mondo ha finalmente deciso di consacrare.
Parlo della clamorosa retromarcia dell’Europa sullo stop ai motori termici nel “035 e del riconoscimento della Cucina Italiana come Patrimonio Immateriale dell’UNESCO.
A un occhio distratto, sembrano due vittorie separate.
Una politica, l’altra culturale.
Ma per chi si occupa di strategia, di geopolitica e di quel delicato tessuto connettivo che tiene insieme le aziende, il messaggio è uno solo ed è potentissimo: il ritorno alla realtà. Il trionfo della sostanza sull’ideologia.
È il Kintsugi del Sistema Italia.
Abbiamo preso i cocci di narrative che sembravano condannarci all’irrilevanza o all’obsolescenza e li abbiamo saldati con l’oro della nostra identità industriale e culturale.
Beh, non è accaduto solo per merito nostro, ma la cucina è nostra, della creatività dei nostri chef e della forza della nostra filiera agroalimentare, fiore all’occhiello a livello mondiale.
Vediamo cosa cambia, ora, per le nostre imprese.
IL REALISMO INDUSTRIALE: L’AUTO NON SI FERMA
L’Europa ci ha ripensato. Non è un dettaglio, ma un cambio di paradigma.
Il dogma del “tutto elettrico” entro il “035 si è infranto contro il muro del realismo economico e della pressione geopolitica dell’asse Roma-Berlino-Varsavia.
L’obiettivo scende al 90% di riduzione delle emissioni. Il “ban” tecnologico cade.
Cosa significa questo per la nostra Motor Valley e per le migliaia di PMI della componentistica?
Significa ossigeno. Significa non essere condannati a sparire.
Significa che la condanna a morte per il motore a scoppio è stata commutata in una sfida di efficienza.
Per anni ho visto imprenditori paralizzati dall’incertezza, incapaci di pianificare investimenti su tecnologie che Bruxelles aveva bollato come “morte”. Oggi, quella tecnologia è viva.
La neutralità tecnologica non è uno slogan: è la garanzia che l’ingegno italiano – maestro nell’ottimizzazione della meccanica di precisione – può continuare a competere.
Non dovremo più smantellare intere linee produttive per inseguire un unico vettore energetico imposto dall’alto. Possiamo innovare sull’ibrido, sui biocarburanti, sull’efficientamento estremo del termico.
Per le figure HR e i CEO, questo si traduce in una gestione del cambiamento meno traumatica. Non dobbiamo più gestire la dismissione di competenze secolari, ma la loro evoluzione. È una vittoria della competenza sulla burocrazia e sulla tecnocrazia europea.
NON SOLO CHEF: IL CIBO COME ASSET GEOPOLITICO
Parallelamente, a New Delhi, l’UNESCO non ha premiato un ricettario. Ha blindato una filiera.
Attenzione a non cadere nella trappola folcloristica. Il riconoscimento della Cucina Italiana come “miscela culturale e sociale” e pratica di “sostenibilità e diversità bioculturale” è uno scudo economico formidabile.
Fino a ieri, difendevamo il Made in Italy agroalimentare con le unghie; oggi abbiamo un timbro globale che certifica che quel prodotto non è replicabile altrove.
Perché l’UNESCO ha sancito che l’ingrediente segreto non è nel piatto, ma nella relazione.
Questo cambia tutto per l’export.
Le nostre aziende agroalimentari non vendono più solo pasta, olio o conserve. Vendono un rito di inclusione sociale. Vendono benessere. Vendono un modello di vita che ora è patrimonio dell’umanità.
Questo è il colpo definitivo all’Italian Sounding. Il parmesan del Wisconsin può copiare il nome, ma non può copiare il “patrimonio immateriale”, la pratica sociale, la ritualità antispreco che l’UNESCO ha riconosciuto solo a noi.
Per gli imprenditori del settore, dal contadino che coltiva il grano al manager della grande distribuzione, la narrazione deve cambiare radicalmente.
Non vendete cibo e calorie, vendete cultura!
Il valore aggiunto del vostro prodotto è schizzato alle stelle perché è diventato un veicolo di diplomazia culturale.
SINTESI STRATEGICA: IL FUTURO È NELLE RADICI
Queste due notizie ci dicono che la globalizzazione sta cambiando pelle. Si sta passando da una standardizzazione forzata (tutti con l’auto elettrica, tutti con cibo sintetico od omologato) a una valorizzazione delle specificità locali ad alto contenuto tecnologico e culturale.
Per l’Italia, è l’assist perfetto.
Siamo l’unica nazione capace di produrre le auto sportive più desiderate al mondo e, contemporaneamente, di trasformare un pranzo in un atto culturale solenne. Hard power e Soft power.
Il consiglio che do oggi ai capitani d’industria che leggono questa newsletter è di non avere paura del passato. L’innovazione non è cancellare ciò che siamo stati, ma renderlo attuale.
Il motore termico evoluto e la dieta mediterranea certificata sono le due facce della stessa medaglia: la qualità della vita.
Il futuro non appartiene a chi dimentica chi è. Il futuro appartiene a chi sa portare le proprie radici nel domani.
Certo, poi bisognerebbe chiedere conto all’Europa della sua politica miope, che ci ha fatto perdere anni di vantaggio sulla Cina e tanti posti di lavoro, ma è un’altra storia.
Oggi, nonostante una politica sempre più distante dai reali bisogni della gente e del Paese, e un’Europa orientata a spazzare via i valori fondanti della sua stessa motivazione d’esistere, l’Italia è più forte.
Non sprechiamo questa occasione.
Avanti tutta.






Una opinione su "IL RUGGITO DEI MOTORI E IL PROFUMO DELLA STORIA. L’ITALIA VINCE QUANDO RIMANE SE STESSA"