Viviamo in un’epoca di straordinaria dissonanza cognitiva, dove i più non analizzano, ma tifano e chiacchierano come al bar.
Mentre il mondo attorno a noi brucia, ridisegnando confini con il sangue di tanti giovani mandati a morire al fronte, in Italia ci perdiamo in dibattiti semantici surreali su ossimori come la “leva volontaria”.
È il sintomo di una patologia sociale profonda, una cecità selettiva che ci impedisce di vedere la nostra irrilevanza strategica sullo scacchiere mondiale.
Come ho avuto modo di spiegare ieri sera, intervenendo senza filtri alla trasmissione di Milano Pavia TV “Senza Peli sulla Lingua”, l’anacronismo del nostro pensiero è il vero nemico.
Pensare di restare isolati in un mondo di imperi in collisione è un suicidio assistito. Ma la soluzione non è un tratto di penna su un foglio di bilancio.
Bisognerebbe creare un esercito europeo, certo. Così, almeno, suggerisce la logica dei numeri. Eppure, e qui sta l’incongruenza che la politica finge di non vedere, prima di un esercito serve fare un’Europa che le persone possano definire “Patria”.
L’errore originale, il peccato mortale dell’Unione, è stato credere che creando un’unione commerciale e monetaria, la politica sarebbe seguita per osmosi. Non è successo.
La moneta non crea il sangue, non alimenta passione e legame profondo, non mette radici, il mercato non crea il destino comune.
IL TEATRO DELL’ASSURDO: LEVA O RISERVA?
Quando il Ministro Crosetto evoca lo spettro della leva, o meglio, di una riserva, sta implicitamente ammettendo il fallimento di vent’anni di pianificazione militare.
Parlare di “leva volontaria” è come parlare di “ghiaccio bollente”: la leva, per definizione, è obbligo. È coercizione legale per la sopravvivenza dello Stato.
Inoltre, la Storia ci ricorda che, ogniqualvolta le nazioni hanno attuato corse al riarmo, a distanza di pochi anni la guerra è arrivata.
Quello di cui abbiamo disperatamente bisogno non è una massa di ragazzini costretti a marciare per tre mesi, ma una Riserva Ausiliaria seria.
Tuttavia, una riserva è come una tanica di benzina nel bagagliaio: serve solo se hai un serbatoio principale e un motore funzionante, invece, oggi, l’Esercito Italiano è un serbatoio bucato. Abbiamo ridotto le forze a circa 94.000 unità sulla carta, di cui solo 61.000 sono truppa operativa. E il dato più agghiacciante è anagrafico: oltre la metà di questi soldati ha superato i 40 anni.
Non si scalano le montagne e non si regge l’attrito di una guerra convenzionale ad alta intensità con una fanteria geriatrica.
Abbiamo smantellato le infrastrutture, venduto le caserme perché ce lo chiedeva l’Europa, in nome dell’Austerity, abbiamo chiuso gli ospedali militari.
Se anche domani richiamassimo 10.000 riservisti, non sapremmo dove metterli a dormire, né avremmo gli anfibi, le divise e le armi. Questa è la realtà, al di là delle opinioni e dei buoni propositi.
L’ECONOMIA DI GUERRA E IL “DIVIDENDO DELLA PACE” SVANITO
Dal punto di vista economico, la situazione è altrettanto grottesca. I cosiddetti “dividendi della pace” post-1990 non sono stati usati per abbattere il debito o investire in futuro, ma sono stati fagocitati dalla spesa corrente e dal welfare per comprare consenso elettorale a breve termine.
Oggi l’Europa spende, in aggregato, cifre enormi per la difesa, ma le spende con l’efficienza di un ubriaco al casinò.
Senza un’unità politica, ogni nazione difende il suo piccolo orticello industriale. Abbiamo decine di modelli di carri armati diversi, sistemi logistici incompatibili, linee di produzione frammentate.
Negli USA, l’antitrust è debole e i prezzi sono alti, ma l’industria è un colosso unificato. In Europa, l’antitrust funziona sui prezzi civili, ma impedisce la nascita di quei campioni continentali necessari per competere.
Il modello dovrebbe essere quello della Corea del Sud: un’industria Dual-Use dove la tecnologia civile e militare si alimentano a vicenda, con colossi industriali come Samsung, che fabbricano smartphone e condizionatori, come sistemi per carri armati e altre armi avanzate.
Invece, noi continuiamo a vedere la spesa militare come un costo a fondo perduto e non come un volano tecnologico.
LA MENZOGNA GEOPOLITICA E IL FATTORE UMANO
Sul fronte geopolitico, la verità è ostaggio della convenienza e dell’ipocrisia di una classe dirigente che prepara strumenti bellici nascondendosi dietro un linguaggio ovattato per non turbare un elettorato culturalmente pacifista.
D’altro canto, la Russia non invaderà l’Italia domani. E neppure l’anno prossimo, visto che è impantanata nel Donbass da anni. E nemmeno ha necessità di raderci al suolo con un paio di missili ipersonici caricati con testate atomiche.
Ma questo non ci assolve.
Il mondo è cambiato. L’ombrello americano si sta chiudendo.
La deterrenza non si fa con le intenzioni, si fa con la capacità credibile di infliggere danno. Ed è il motivo per cui Russia e USA, al limite, arrivano a fare la voce grossa, ma poi trovano sempre modo di andare a braccetto, anche quando fingono di litigare, poiché sanno che l’esistenza dell’uno dipende dall’altro e viceversa.
E qui torniamo al punto che ho sollevato ieri in TV.
La deterrenza richiede coesione.
Oggi, sarebbe impensabile che un battaglione francese accettasse di farsi mandare al macello agli ordini di un generale bulgaro o rumeno e, alle prime divergenze, il minimo sarebbe la diserzione.
È ancora peggio immaginare che un cittadino greco accetti di morire per difendere Berlino o Helsinki. E siamo onesti: quanti italiani morirebbero per la Danimarca e viceversa?
L’Europa è un condominio litigioso, non una nazione. E gli italiani, quando pensano all’Europa, pensano alle arance mandate al macero, alle quote latte, alle limitazioni, alle norme sulla piegatura delle banane, ai tappi di plastica, non a una patria.
E pensano a un luogo in cui giornalisti vengono licenziati per aver fatto informazione, come accaduto a Gabriele Nunziati, in barba a quell’area democratica e liberale che era un tempo l’Europa.
IL PREZZO DELLA VERITÀ
L’errore fatale è stato credere che l’economia potesse surrogare l’identità. Abbiamo costruito il tetto (l’Euro) senza avere le mura (lo Stato) e senza avere le fondamenta (il Popolo).
Un esercito europeo, in queste condizioni, è solo una chimera pericolosa, un corpo senza testa o, peggio, una testa con ventisette cavalli che tirano in direzioni opposte.
Per sopravvivere al XXI secolo, dobbiamo smettere di mentire. Dobbiamo dire agli italiani che la sicurezza ha un costo esorbitante, che la pace non è la condizione naturale delle cose, ma una conquista armata, e che l’isolamento è una condanna a morte.
Ma soprattutto, dobbiamo avere il coraggio di ammettere che senza una Patria comune, non ci sarà mai una difesa comune. E senza difesa, saremo solo preda della storia, non più suoi artefici.
Ovviamente, una Difesa serve per non diventare facili prede di qualcuno domani, mentre oggi in tanti stanno alimentando la paura di nemico alle porte che esiste solo nelle fantasie di chi a settembre del 2022 diceva che la Russia era sconfitta dal peso delle nostre sanzioni dagli effetti dirompenti.
Gli stessi che vivono il cortocircuito cognitivo per cui, nei giorni dispari, bisogna armarsi per affrontare lo strapotere russo, pronto a correre verso Lisbona, nei giorni pari, Mosca è al collasso finanziario e sta per capitolare in Ucraina.





