È spesso relegato nei salotti buoni che fanno tendenza nell’arredamento e nella cultura di una certa élite.
In realtà è una importante tranche dell’economia, una maniera per espandere il pensiero italiano, confrontarsi con il mondo che, da subito dopo la seconda guerra mondiale, ha generato esempi importanti di interpretazione del quotidiano e dell’epoca in cui il design è diventato l’ambasciatore della italianità. Spesso anticipandolo.
Ma non è solo una questione italiana.
È vero, forse noi siamo stati i più fantasiosi nel tradurre il nostro pensiero in forme inimmaginabili che fino ad allora avevano ingabbiato il modo di sedersi, di rimanere a tavola, di dotarsi di posaterie, di archiviare i nostri libri, di dividere gli spazi, di vedere nuove forme e usi presenti sui nostri mobili e nella nostra casa.
Insieme col design abbiamo rivoluzionato anche il nostro modo di vivere, di essere appagati e presenti in un mondo di cui siamo stati i protagonisti e continuiamo ad essere protagonisti rimanendo al passo con il variare del gusto del tempo. Protagonisti i nostri designer e in qualche modo protagonisti noi che ci siamo lasciati affascinare, ondeggiare da nuove inclinazioni stilistiche.
Ma non è solo un fenomeno italiano. Moltissimi hanno espresso esempi del vivere quotidiano e del godere, insieme a forme nuove, anche di nuove comodità.
Francesi, scandinavi, inglesi, americani, sudamericani, spagnoli e molti altri, partendo magari dalla volontà degli architetti di accontentare i loro committenti, hanno promosso magari involontariamente un carosello di nuove forme di nuovi oggetti, di nuove opportunità estetiche aiutati magari da nuovi materiali certamente più duttili del metallo.
Ma già il legno diventava morbido e veniva plasmato rispetto alle volontà dell’Artigiano o dell’azienda di turno a cui il designer proponeva nuove forme e nuovi stili.
Attenzione: se parliamo di designer dobbiamo parlare anche di design e di industria pronta a recepire i nuovi concetti e a mettere in atto nuove opportunità produttive.
Ma, visto che nulla nasce per caso, l’informazione ci ha aiutato nel tempo a concepire una apertura mentale che era prima sconosciuta, relegata nei meandri dei nostri ricordi tradizionali se non proprio emarginata.
Così sono nate le riviste dell’arredamento che andavano, guarda caso, di pari passo con quelle della moda. Insomma, design e moda non sono mai stati così vicino. Anzi. Ma qui parliamo di design e di designer.
Potremmo citarne a decine e quindi, per forza di cose, mi limiterò a disegnare, senza pretendere di fare una graduatoria, alcuni fra i nomi più famosi o forse mi sbizzarrirò a proporre anche alcuni fra i meno noti ma comunque, a mio parere, importanti o comunque degni di nota.
Potete proporre anche voi, naturalmente, un racconto di quelli che vi hanno più appassionato o affascinato quando siete andati a scegliere la loro produzione per il vostro piacere personale o che avete incontrato e con loro intavolato un dialogo per capire meglio il loro modo di agire e di essere.
E infatti per entrare in modo diverso nelle descrizioni partirò con uno che ha chiesto ai designer di inventarsi qualcosa producendo poi le loro idee. Partiamo con Cleto Munari. Se siete per caso passati al Moma di New York avrete certamente incontrato qualcosa che è nato dalla sua creatività e dal suo modo di essere.

Dott. Danilo Preto
Giornalista pubblicista, Scienze Politiche, Esperto di Comunicazione e arte concettuale.



