Viviamo in una dissonanza cognitiva collettiva senza precedenti.
Da un lato, la politica rassicura con sorrisi di plastica che non manderemo soldati, non siamo in guerra con la Russia.
Dall’altro, la burocrazia dei tavoli tecnici sanitari secretati e delle direttive ministeriali alle università, prepara le bare, gli ospedali da campo e la narrazione necessaria per giustificare il sacrificio di milioni di vite.
Questa schizofrenia è il sintomo di un continente che si prepara a combattere una guerra totale senza averne la forza militare, l’indipendenza economica né il consenso consapevole dei suoi cittadini.
RIEDUCARE LE MASSE PER IL BUSINESS DELLE ARMI
La guerra non si prepara con i carri armati. Quelli arrivano dopo. La guerra si prepara prima nelle menti.
Lo scontro tra il Governo Meloni e l’Università di Bologna, denunciato con veemenza dal professor Orsini, non è una banale scaramuccia istituzionale, ma un tentativo di allineamento culturale.
In tempo di pace, l’università è il luogo del dubbio e della critica. Se non lì, dove allora? Nei bar?!
Ma in tempo di guerra, lo Stato ha bisogno che l’università diventi una fabbrica di consenso. Servono intellettuali pronti a trasformare la morte insensata in “sacrificio patriottico”, servono accademici che forniscano la base teorica per l’escalation. Serve annientare il dissenso.
Se non controlli la vetta del sapere, non puoi controllare la narrazione nelle trincee.
Eppure, guardiamo alla Francia. Macron, in un esercizio di retorica che sfiora il grottesco, evoca il servizio nazionale e la “Patria”, concetti che sembravano sepolti sotto decenni di decostruzionismo post-moderno.
Ma subito dopo, in una capriola logica che svela tutta la fragilità antropologica dell’Occidente, rassicura le madri: “I vostri figli non andranno all’estero”. Solo che le sue parole non valgono niente.
In primo luogo perché i francesi non credono più a Macron da tempo, ormai, in second’analisi perché i suoi vertici militari, non più tardi di dieci giorni fa, hanno detto il contrario, cioè che i francesi devono abituarsi all’idea di perdere i propri figli.
Si cerca di militarizzare una società che è stata sistematicamente ingentilita per decenni. Si chiede a una generazione cresciuta con l’Erasmus e la fluidità dei confini di prepararsi a morire per una linea tracciata nel fango del Donbass.
È una bugia che la politica racconta a se stessa, sperando che il bluff non venga scoperto che i giovani diventino tutti carne da macello perché qualcuno possa acquistare cessi d’oro.
IL VUOTO STRATEGICO: RIARMARSI CONTRO CHI?
L’Europa si sta riarmando, sì. Ma lo fa come un sonnambulo guidato da un cane guida che potrebbe presto cambiare padrone.
Il riarmo europeo è eterodiretto da Washington, che ha tutti gli interessi a vendere armi per far entrare miliardi di dollari nelle sue imprese. Ma cosa accadrà se gli Stati Uniti, con o senza Trump, decidessero che il vero gioco è nel Pacifico, contro la Cina e che con Mosca si può trovare un accordo, in modo tale da non averla contro nella guerra a Pechino?
L’Europa si troverebbe con i magazzini pieni di armi costose, un’economia di guerra zoppicante e nessun nemico strategico chiaro contro cui puntarle, a meno di non voler credere che l’opinione pubblica europea sia pronta a morire per Taiwan, se non per Kiev.
La mancanza di un “Piano B” degli attuali leader europei è terrificante.
La logica militare occidentale sembra essersi ridotta a un pensiero lineare da videogioco: se la Russia avanza, mandiamo missili più potenti. Solo che, alla PlayStation puoi permetterti di essere ammazzato da un missile atomico, perché hai più vite. Nel mondo reale, invece, si muore una volta sola.
Si ignora deliberatamente la dottrina nucleare russa. Si pianifica l’escalation come se l’avversario non avesse capacità di risposta asimmetrica. Come se non fosse la potenza atomica numero uno sul pianeta.
Siamo prigionieri di un automatismo cieco, quello dell’Articolo 5 della NATO, che rischia di scavalcare ogni sovranità nazionale e ogni prudenza politica, trascinandoci in un conflitto per inerzia burocratica, tutto per soddisfare chi ha interessi nelle fabbriche di armi.
Indottrinando gli europei inventando un nemico alle porte a suon di fake news: pale dell’800, muli, microchip, soldati senza calzini, carriole e altre sciocchezze della propaganda.
L’IMPOTENZA ECONOMICA: IL BLUFF DEI BENI CONGELATI
Ma dove l’ipocrisia raggiunge vette inarrivabili è sul piano economico. La notizia che la Banca Centrale Europea e il governo belga si rifiutano di garantire i prestiti all’Ucraina usando gli asset russi congelati è, per usare un termine tecnico, una “notizia bomba”.
Svela che la leadership europea non ha competenze per governare. E non ha soldi.
Perciò l’Europa vorrebbe fare la guerra con i soldi del nemico perché non ha i propri, o non vuole aumentare le tasse agli europei, per non perdere il favore anche di chi ancora approva certe politiche folli. Ma ha il terrore della bancarotta.
Se Mosca dovesse rivalersi legalmente o applicare il principio di reciprocità, il castello di carte finanziario su cui si regge il welfare europeo rischierebbe il collasso. Niente più pensioni, niente più sussidi, e tagli selvaggi a Sanità e Scuola.
Le cancellerie europee temono la pace, perché un accordo sopra le loro teste le renderebbe irrilevanti e costringerebbe gli attuali leader a rendere conto agli europei della sconfitta; temono la guerra, perché sanno di non poterla sostenere economicamente, ma, almeno, darebbe loro anni di respiro.
L’ITALIA COME SPECCHIO DELL’EUROPA
In questo teatro dell’assurdo, l’Italia recita la parte più tragicomica. Siamo l’anello debole che cerca disperatamente di apparire forte.
Abbiamo una classe politica “fallita”: leader che usano una retorica rassicurante e pacifista in pubblico, mentre nei ministeri attivano protocolli di emergenza sanitaria per gestire un afflusso di feriti che “ufficialmente” non dovrebbe mai esistere.
Il Ministro della Difesa ammette candidamente che l’Italia è indifendibile, priva di munizioni e soldati, eppure ci allineiamo a una strategia che ci espone come bersagli primari, mentre qualche ammiraglio italiano parla a vanvera, senza pesare le parole, esponendo il Paese a rischi di ritorsioni.
La verità, che nessuno ha il coraggio di dire in conferenza stampa, è che l’Europa sta cercando di rientrare nella Storia dalla porta di servizio.
Ci prepariamo a una guerra ibrida e totale con strumenti del passato, con leader che non hanno il coraggio delle proprie azioni e con popoli che non hanno la minima intenzione di sacrificare il proprio stile di vita per Meloni, Macron, Merz e von der Leyen. Men che meno per Kallas e Tusk.
Per questo hanno bisogno di occupare le università, per indottrinare i giovani pensatori e i professori.
Siamo spettatori di una tragedia, seduti in platea con un biglietto costosissimo, fatto di aumenti al supermercato e bollette alle stelle, in un teatro in cui il sipario si sta alzando, mentre gli attori non hanno nemmeno letto il copione.
Ma la Storia, quella vera, non quella da PlayStation, non perdona l’impreparazione, perché non concede una seconda vita. Mai.






Una opinione su "IL CREPUSCOLO DEL PACIFISMO. L’EUROPA SI RIARMA (E CI RIEDUCA) PER UNA GUERRA CHE NON SA COMBATTERE"