IL MERCATO DELLA PAURA E IL SILENZIO DEI CANNONI CHE FA TREMARE I BILANCI

Bruxelles e Parigi non tremano per l’inverno alle porte, né per l’avanzata russa a Pokrovsk.

C’è un fantasma ben più spaventoso che si aggira per le cancellerie dei “volenterosi”, da Macron alla Kallas, fino ai corridoi presidiati da Zelensky, ed è lo spettro del negoziato.

La pace, teoricamente l’obiettivo ultimo di ogni democrazia e di ogni politico sano di mente, è diventata, invece, la minaccia esistenziale per una classe politica che ha scommesso il proprio capitale, e il nostro denaro, sulla vittoria dell’Ucraina o, in alternativa, sulla perpetuazione del conflitto.

L’ACCANIMENTO TERAPEUTICO DI UNA GUERRA LUNGA

C’è un’accelerazione frenetica, quasi isterica, in queste ore.

Zelensky vola da Macron, Umerov incontra le delegazioni americane, i ministri europei si riuniscono d’urgenza. Perché questa fretta dopo quattro anni di quasi totale immobilismo?

Perché sanno che il tempo sta scadendo. L’Amministrazione Trump non perde tempo e non ha voglia di perdere altri soldi in Ucraina, perché deve concentrarsi altrove.

E qui casca l’asino, o meglio, crolla il castello di carte.

La leadership ucraina, rappresentata da figure interscambiabili come Umerov – che nella sua essenza funzionale non è altro che uno Yermak con un taglio di capelli diverso, un altro ingranaggio in un sistema dove la corruzione è endemica e strutturale – sa che la fine delle ostilità significa la fine dell’immunità.

Significa dover rendere conto alla gente del proprio operato. Significa che l’attenzione si sposterà dalle trincee ai conti bancari offshore.

E quando gli ucraini scopriranno che mezzo milione di loro giovani sono morti perché qualcuno potesse comprarsi i sanitari d’oro, il pericolo numero uno per Zelensky & friends non sarà Putin, ma qualsiasi ucraino per strada.

Ecco perché parlano di “progressi sostanziali” dopo gli incontri con gli americani: è il linguaggio in codice di chi ha ricevuto un ultimatum. O la borsa o la vita. O il piano di pace, o il baratro.

I DIVIDENDI DEL SANGUE: UN 2024 DA RECORD

Ma non è solo politica. È, come sempre, economia.

Mentre ci raccontano che la Russia è una minaccia esistenziale che richiede sacrifici immani ai cittadini europei, i bilanci delle aziende della difesa brindano a champagne.

Il 2024 non è stato un anno di guerra per loro. È stato un anno di raccolta. Probabilmente, il 2025 sarà ancora meglio.

Le vendite dei cento maggiori produttori di armi hanno sfiorato i 680 miliardi di dollari. Un aumento del 5,9%. (Rapporto Sipri, Stockholm International Peace Research Institute)

Rifletteteci.

Questi non sono numeri astratti. È un trasferimento di ricchezza colossale dalle tasche del contribuente medio, che vede erodersi il proprio potere d’acquisto e i servizi pubblici, ai portafogli degli azionisti di Rheinmetall, Thales e Leonardo e di tutte le industrie belliche.

Qualcuno non vuole uccidere la gallina dalle uova d’oro e se ciò significa sacrificare altre migliaia di ucraini, a loro non importa.

La guerra è diventata un modello di business.

Fermare tutto adesso?!

Per l’industria bellica sarebbe una catastrofe finanziaria. Hanno bisogno di svuotare i magazzini per riempirli di nuovo, hanno bisogno che la Lituania chiuda l’aeroporto per dei palloni meteorologici bielorussi trasformati, dalla propaganda, in “minacce ibride”.

Hanno bisogno di mantenere alta la tensione perché la tensione fattura, gonfia i conti correnti.

La pace, purtroppo, non paga dividendi trimestrali.

L’IRRILEVANZA STRUTTURALE DELL’EUROPA

In questo scacchiere, l’Europa gioca il ruolo del bambino che urla per attirare l’attenzione mentre gli adulti parlano nella stanza accanto e non si curano di loro.

Il ministro degli esteri francese tuona che non ci può essere pace senza gli europei, ma sono parole al vento.

La verità, cruda e sociologicamente innegabile, è che a nessuno importa cosa pensi l’Europa se non a von der Leyen, a Macron, a Merz e qualche altro colpevole dell’Europa di oggi. Non importa ai russi. Non agli americani. E, ironicamente, nemmeno al Sud del mondo, che ci deride.

L’Europa dei “volenterosi” si è auto-condannata all’irrilevanza nel momento in cui ha abdicato alla sua funzione diplomatica per diventare un mero subappaltatore logistico degli Stati Uniti. Compriamo gas, petrolio e armi dagli USA a prezzi folli e abbiamo chiuso ogni relazione a Est.

Abbiamo sabotato ogni tentativo di mediazione passato, non abbiamo offerto nulla se non escalation retorica e propagandistica, e sanzioni che, dati alla mano, hanno fortificato l’economia di guerra russa e devastato la nostra competitività industriale.

E chi fa la spesa e paga le bollette sa bene a cosa mi riferisca.

Oggi, pretendere di sedersi al tavolo della pace è un esercizio di vanità patetica, è come il magazziniere che pretenda di sedere nel consiglio direttivo dell’azienda per cui lavora.

Come possiamo essere mediatori se siamo, di fatto, co-belligeranti finanziari e politici e dimostriamo ignoranza storica parlando di pace giusta che non è mai esistita?

IL RE È NUDO, MA ARMATO FINO AI DENTI

La situazione sul campo è lo specchio di questa schizofrenia.

I russi avanzano, lentamente, inesorabilmente, ottimizzati per una guerra di logoramento che l’Ucraina non può sostenere demograficamente. Pokrovsk resiste, ma è una resistenza pagata a un prezzo umano esorbitante.

E mentre a Mosca si segnalano ritardi nei pagamenti ai soldati – segno che anche l’orso ha le sue zecche – la macchina non si ferma. Perché la Russia ha il coltello dalla parte del manico. Se non ottiene ciò che vuole con la diplomazia (neutralità ucraina, riconoscimento territoriale), lo prenderà con la forza.

E se la guerra di logoramento non basterà o non fosse più sostenibile, il passo successivo sarebbe l’utilizzo di armi ben più devastanti, senza che l’Occidente possa farci nulla, perché vorrebbe dire spingere la specie umana all’estinzione.

I nostri leader lo sanno.

Macron lo sa. La Kallas lo sa.

Perciò sono terrorizzati. Non dalla sconfitta dell’Ucraina in sé, della quale non importa niente a nessuno, altrimenti si sarebbe firmato un accordo nel 2022 e migliaia di ucraini sarebbero ancora vivi, ma sono terrorizzati dal crollo del paradigma che ha tenuto in piedi le loro carriere negli ultimi tre anni.

Se la guerra finisce, dovranno spiegare ai loro elettori perché hanno speso miliardi per “cessi d’oro” e armamenti mentre gli ospedali chiudevano e si diceva che non c’erano soldi.

Dovranno spiegare perché hanno sacrificato l’economia europea sull’altare di interessi geopolitici altrui.

La realtà è che stiamo assistendo al tentativo disperato di sabotare la pace per prolungare l’illusione e le loro carriere.

Ma la matematica non mente, e la sociologia nemmeno: quando il costo del mantenimento della menzogna supera i benefici del potere, il sistema crolla.

E forse, tra le righe di quei “colloqui difficili, ma produttivi”, quel crollo è già iniziato.

Dott. Pasquale Di Matteo

Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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