ERAVAMO 40 CONTRO 1 MA ABBIAMO PERSO LO STESSO

IL TRIONFO DELLA REALTÀ SUL METAVERSO BELLICISTA DI UN OCCIDENTE CHE VINCEVA SU TWITTER MENTRE CROLLAVA AL FRONTE

La nebbia, dicono a Kiev, moltiplica i russi.

È un’immagine potente, quasi letteraria, se non fosse tragicomica.

Le fonti ucraine attribuiscono alla foschia meteorologica la capacità magica di far proliferare le truppe di Mosca alle porte di Pokrovsk, come se fossimo in un romanzo gotico e non nel tritacarne del Donbass.

Ma la vera nebbia non è quella che avvolge le trincee. No. La nebbia più fitta, quella impenetrabile e tossica, è quella che avvolge le cancellerie europee e gli studi televisivi occidentali, zeppi di “giornalisti” che raccontano panzane da quattro anni.

Stiamo assistendo a uno dei più grandi esperimenti di dissonanza cognitiva di massa del XXI secolo.

Mentre il fronte ucraino si sgretola con il rumore sordo di un edificio le cui fondamenta sono state erose dall’acqua, la narrazione mainstream costruisce un universo parallelo, un metaverso geopolitico dove la sconfitta viene venduta come stallo e il collasso come “resistenza strategica”.

IL PARADOSSO DI SCHRÖDINGER: LA RUSSIA IMPOTENTE E ONNIPOTENTE

Analizzando il dibattito pubblico, e nello specifico lo scontro dialettico tra Marco Travaglio e Beppe Severgnini di qualche sera fa a Otto e Mezzo, trasmissione condotta da Lilli Gruber, emerge con cristallina evidenza la schizofrenia dell’Occidente.

Severgnini, incarnazione dell’establishment euro-atlantico, si aggrappa a un sillogismo privo di fondamenta: la Russia ha fallito perché non è a Lisbona. È la stessa retorica del “40 democrazie contro 1, non c’è storia, vinciamo noi”.

Beh, son passati tre anni da quell’affermazione e i fatti l’hanno polverizzata.

Qui sta il “Paradosso di Schrödinger”, in cui a fare la parte del gatto ci sono tanti giornalisti: Mosca viene dipinta contemporaneamente come un Paese al collasso finanziario, impantanato nel fango ucraino, incapace di prendere di avanzare, ma, allo stesso tempo, è una minaccia esistenziale, una bestia inarrestabile pronta a divorare la Polonia, i Baltici per poi correre fino all’Atlantico.

Delle due una. E proprio qui crolla il castello di sabbia della propaganda occidentale.

Non si può chiedere ai cittadini europei di svenarsi per un riarmo epocale contro un nemico che, secondo la stessa narrazione, è al collasso. È un insulto all’intelligenza collettiva.

Se la Russia è debole, perché l’Occidente ha questa fretta isterica di congelare il conflitto e perché l’Ucraina implora il cessate il fuoco?

Se è forte, perché abbiamo sabotato i negoziati di Istanbul nel 2022, quando l’Ucraina era ancora intera e centinaia di migliaia di giovani ucraini erano ancora vivi e/o non invalidi?

LA GEOGRAFIA OLTRE LA PROPAGANDA

Scendiamo dal piedistallo della retorica di Beppe Severgnini & friends e guardiamo le mappe.

Pokrovsk sta cadendo. Non è un villaggio da poco, ma lo snodo logistico vitale per l’intero fronte orientale.

Persa quella, si apre l’autostrada verso il Dnepr. E mentre l’esercito di Kiev arretra, abbandonato spesso senza ordini di ritirata, la risposta asimmetrica diventa disperata.

Gli attacchi ai gasdotti, non più solo russi ma ora anche kazaki (il consorzio CPC), o i droni contro le petroliere nel Mar Nero, non sono segni di forza, ma, al contrario, gli spasmi disperati di chi, non potendo vincere sul campo, cerca di internazionalizzare il caos, colpendo infrastrutture civili protette dal Diritto internazionale e irritando persino i partner neutrali.

Un po’ come l’attentato al NordStream, per cui la Magistratura tedesca ha spiccato mandati d’arresto per un commando di ucraini.

E cosa fa l’Europa mentre la diga crolla? Continua a inventare fantasmi e a raccontare balle.

I MiG-31 russi che attivano la contraerea polacca per poi “tornare indietro”, o i droni che violano lo spazio aereo moldavo senza che la Moldavia se ne accorga finché Kiev non glielo dice, sono armi di distrazione di massa.

Invenzioni che servono a tenere alta la tensione emotiva dell’opinione pubblica, a giustificare l’invio di armi che non cambieranno l’esito della guerra, ma ne prolungheranno solo l’agonia.

È la politica del simulacro: fingere un’azione per nascondere l’impotenza.

La dimostrazione palese del fatto che il vero nemico degli ucraini è l’Europa che li costringe a morire in guerra per salvare la faccia di leader incompetenti che non ne hanno azzeccata mezza in quasi quattro anni.

IL PIANO DI PACE COME ATTO DI GUERRA SURREALE

L’apice di questo teatro dell’assurdo è la bozza del “piano di pace” europeo.

Un documento che sembra scritto su Marte.

Chiedere un cessate il fuoco immediato sulle linee attuali (per permettere a Kiev di riarmarsi), mantenere le porte della NATO aperte, non riconoscere i territori persi e pretendere che la Russia paghi i danni, significa non aver mai aperto un libro di storia.

Significa certificare un’incompetenza e un’ignoranza da TSO.

Il “Principio di Realtà”, evocato brutalmente, ma correttamente da Travaglio, è spietato, ma è incontrovertibile perché certificato dalla Storia. Almeno per chi l’ha studiata e compresa.

Chi vince detta le condizioni. Chi perde subisce. Pensare che lo sconfitto (Zelensky) possa presentarsi al tavolo con degli ultimatum per il vincitore (Putin) è un’allucinazione diplomatica di chi è insano di mente.

La Russia ha il coltello dalla parte del manico, perciò non ha alcun interesse a fermarsi ora, non quando il frutto sta cadendo dall’albero per pura gravità.

L’idea che Mosca accetti un congelamento che serve solo all’Occidente per riorganizzarsi è ridicola, è un pensiero che nemmeno un bambino delle elementari riuscirebbe a partorire.

Putin negozierà, sì, ma alle sue condizioni perché la guerra l’ha vinta. Punto.

E le sue condizioni sono: neutralità dell’Ucraina, smilitarizzazione e riconoscimento dello status quo territoriale. Certamente, si tratta di condizioni meno vantaggiose per l’Ucraina, rispetto a quelle del 2022. E nel 2026 saranno ancora più stringenti, perché, ogni giorno che passa, la Russia avanza e il prezzo sale.

Nel 2022 il prezzo era la neutralità. Oggi sono quattro regioni. Domani, sarebbe l’intera Ucraina.

E no, pensare di bombardare il territorio russo non è una genialata, ma sarebbe la mossa di un cretino, per giunta criminale. Perché un attimo dopo, decine di basi militari NATO e di capitali europee verrebbero spazzate vie da missili ipersonici con testate atomiche, insieme a centinaia di milioni di cittadini vittime della stupidità dei loro stessi leader.

Lo so, è una situazione brutta, sporca e crudele, ma è la stessa che ha reso grandi gli imperi dell’era mercantilista e gli stessi Stati Uniti d’America. Vi ricorda qualcosa l’Iraq di Saddam? Il Giappone nel 1945? La Germania nella Prima e nella Seconda Guerra mondiale? Cuba nel 1962?

La Storia insegna che a decidere è sempre e solo la legge del più forte. E questa è Storia, non opinione.

L’ECONOMIA DEL SANGUE E IL FALLIMENTO DELLE ÉLITE

C’è un dato, citato da fonti interne ucraine e non da russi, riportato con orrore da voci indipendenti, che dovrebbe togliere il sonno: 500.000 ucraini morti. Mezzo milione. A cui vanno aggiunti i feriti. Parliamo di una generazione cancellata.

La responsabilità morale di questa ecatombe ricade interamente su una classe dirigente occidentale – da von der Leyen ai vertici NATO, passando per le cancellerie nazionali – che ha venduto a Kiev un sogno impossibile.

Hanno trattato l’Ucraina non come un alleato da salvare, ma come un asset sacrificabile per logorare la Russia, con il risultato che oggi la Russia è militarmente più avanzata di quattro anni fa, economicamente riorientata verso la Cina e geopoliticamente compatta e più forte nei BRICS.

L’Europa, invece, è deindustrializzata, impoverita, divisa e strategicamente irrilevante.

Siamo di fronte a un fallimento sistemico delle élite liberali, incapaci di leggere il mondo fuori dalla lente deformata della propria ideologia.

Severgnini che si stupisce del “cinismo” della realtà è l’emblema di un mondo che muore per la sua incapacità di vivere e di leggere le situazioni reali della vita.

Travaglio, pur con i suoi toni caustici, si limita a fare ciò che il giornalismo dovrebbe fare: guardare i fatti, non i desideri. Raccontare ciò che accade, non inventare panzane di pale, microchip, muli, Putin in fin di vita o altre sciocchezze.

La guerra è finita e l’Occidente è stato sconfitto.

Lo sanno a Washington, lo sanno a Mosca, lo sanno a Kiev.

Gli unici che fingono di non saperlo sono quelli che hanno costruito le loro carriere sulla menzogna della “vittoria totale, fino all’ultimo ucraino.”

Ma la nebbia, quella vera, si è diradata e ci ha mostrato che di ucraini non ne restano più tanti.

E ci rende visibile anche le macerie di un Paese sconfitto e soffocato dalla corruzione interna e dalla bancarotta. E ci rende visibile anche un’altra bancarotta: quella morale dell’Occidente.

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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