PERCHÉ LA CORTE DEI CONTI HA FERMATO IL PONTE SULLO STRETTO

C’è un confine sottile, quasi invisibile, ma letale, dove la narrazione politica si infrange contro il Diritto amministrativo.

Purtroppo, nelle democrazie funziona così. In Corea del Nord, decidono pochissimi fedelissimi di un uomo solo, ma da noi no.

È lì, su quel confine, in quel punto preciso, è rimasto imbrigliato il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina.

La Corte dei Conti, con la freddezza che le compete, ha depositato le motivazioni del “no” pronunciato lo scorso 29 ottobre. E quello che emerge non è solo un intoppo burocratico, ma è la bocciatura di un metodo.

Il Ministero e il Governo, con un riflesso condizionato degno di Pavlov, hanno già lanciato la controffensiva mediatica. “Siamo al lavoro”, dicono. “Supereremo i rilievi”.

Una danza verbale che conosciamo bene, tesa a rassicurare i mercati e l’elettorato. Tuttavia, leggendo le carte, la realtà appare ben diversa.

L’ILLUSIONE DELL’INTERESSE SUPREMO E IL NODO AMBIENTALE

Il motivo della bocciatura è in quattro pilastri fondamentali, quattro crepe strutturali nel progetto di fattibilità giuridica ancor prima che ingegneristica.

La prima è forse la più affascinante dal punto di vista sociologico: il tentativo di utilizzare la procedura “Iropi”, acronimo tecnico che sta per “motivazioni imperative di rilevante interesse pubblico”.

In parole povere, è la carta “esci gratis di prigione” che si gioca quando un’opera viola i vincoli ambientali, ma è talmente vitale da non poterne fare a meno.

Ebbene, i giudici contabili hanno rilevato un dettaglio inquietante, quanto imbarazzante: questa “imperatività” non è stata validata da organi tecnici terzi, ma solo autocertificata. Perciò manca la documentazione “adeguata e circostanziate” non solo sull’impatto ambientale, ma persino sulle ragioni di tutela della salute e della sicurezza pubblica.

In pratica, si è cercato di bypassare il parere formale della Commissione Europea con un atto di fede, piuttosto che con un dossier scientifico. Un azzardo bocciato dalla Corte.

IL PARADOSSO DEGLI APPALTI E LA MEMORIA CORTA SUI COSTI

Spostiamo lo sguardo sul piano economico, seguendo i soldi.

Qui la situazione si fa grottesca. La direttiva Habitat impone di valutare alternative meno impattanti.

Bruxelles aveva chiesto chiarimenti. La risposta del Ministero dell’Ambiente è stata inviare i pareri VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) del 2024 e 2025. Cioè, il governo ha risposto a una domanda con la domanda stessa.

Ma è sulla normativa degli appalti che il castello scricchiola sinistramente.

La Corte ha puntato il dito su un fatto macroscopico: si sta cercando di rianimare un contratto morto e sepolto, basato su costi del 2006, senza una procedura formale di aggiornamento prezzi.

In quasi vent’anni il mondo è cambiato tre volte, l’inflazione ha galoppato, le materie prime sono esplose.

Pensare di non ricalibrare il tutto è follia finanziaria persino per un problema a un esame di licenzia media.

C’è di più. Il modello di finanziamento è mutato radicalmente.

Nel 2003 si parlava di project financing, ovvero coinvolgimento di capitali privati. Oggi siamo di fronte a una copertura integrale con risorse pubbliche.

Il rischio d’impresa è stato totalmente socializzato, spostato sulle spalle dei contribuenti italiani, trasformando l’operazione in un debito pubblico differito, che pagheranno le future generazioni. Il che non è di per sé sbagliato, perché si tratta di un progetto di cui godranno soprattutto le nuove generazioni, perciò è previsto che, per queste opere, lo Stato rinvii il pagamento agli adulti del futuro, ma viene meno il progetto iniziale.

CAOS AMMINISTRATIVO: QUANDO LA MANO DESTRA IGNORA LA SINISTRA

Il terzo punto critico sollevato dai magistrati contabili riguarda l’assenza del parere dell’Autorità di regolazione dei trasporti sul sistema tariffario.

Sembra un dettaglio tecnico, ma è la chiave di volta del Piano Economico Finanziario. Se non sai quanto costerà il pedaggio e chi lo regolerà, come puoi calcolare la sostenibilità della gestione affidata alla società Stretto di Messina?

L’istruttoria appare, agli occhi dei giudici, come un puzzle incompleto.

Atti mancanti. Versioni multiple degli stessi documenti che si contraddicono o si sovrappongono. Un disordine che tradisce fretta, approssimazione, forse ansia da prestazione politica.

Addirittura, il decreto interministeriale del 1° agosto, che avrebbe dovuto dare il “la” alla delibera del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica e lo Sviluppo Sostenibile (CIPESS), non aveva ancora completato il controllo preventivo alla data della riunione.

In pratica, si è deliberato sul nulla.

L’OTTIMISMO DELLA VOLONTÀ CONTRO IL PESSIMISMO DELLA RAGIONE

Palazzo Chigi promette battaglia e chiarimenti entro metà dicembre.

Si parla di “ampi margini di chiarimento” e di un confronto costruttivo. È la retorica istituzionale. Eppure, la sensazione è che si stia cercando di curare una frattura scomposta con un cerotto.

Non si tratta di essere contro le grandi opere, perché un’infrastruttura strategica serve, eccome.

Ma la modernità di un Paese non si misura dai metri di campata unica di un ponte, bensì dalla capacità della sua classe dirigente di produrre atti amministrativi inattaccabili, trasparenti, solidi, rapidamente. Possibilmente in maniera non brancaleonosa.

Finché la politica continuerà a considerare le norme europee e i controlli contabili come fastidiosi orpelli da aggirare, e non come garanzie di legalità e sostenibilità che evitano i problemi del “magna magna” del passato, il Ponte sullo Stretto rimarrà quello che è sempre stato: un miraggio onirico sospeso tra Scilla e Cariddi, bellissimo sulla carta, ma incapace di poggiare i piedi sul mondo della realtà.

Le motivazioni dietro lo stop della Corte dei Conti al Ponte sullo Stretto: un’analisi critica su violazioni ambientali, incertezze finanziarie e il braccio di ferro tra narrazione politica e rigore amministrativo.

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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