Mentre nei salotti climatizzati di Bruxelles, si parla di “resilienza democratica” e di “pace giusta”, in un triste festival di ipocrisia, nel Donbas, il fango si mescola al sangue dei tanti, troppi ucraini mandati a morire in battaglia.
C’è una dissonanza cognitiva assordante, quasi patologica, tra la narrazione che scorre sui feed di Twitter dei burocrati europei e la realtà, sporca, disperata del fronte.
L’ARCHITETTURA DELL’INGANNO: I PIANI DI PACE E IL LEGALESE DELLA SCONFITTA
In queste ore, sul tavolo della diplomazia internazionale ci sono due documenti.
Il primo è il piano di Trump: 28 punti che sanno di ultimatum. Il secondo è la risposta dell’Europa, una maldestra fotocopia sbiadita del primo, infarcita di quel “legalese” che serve a salvare la faccia dei burocrati europei.
Il piano europeo promette l’adesione alla NATO, ma la vincola al “consenso di tutti i membri”. È un assegno a vuoto. Sappiamo tutti che quel consenso non esiste. Perciò è solo un modo per dire la stessa cosa di Putin, senza ammettere di dirlo.
Ancora più grottesco è il punto sulle truppe dell’Alleanza: non stazioneranno in Ucraina in maniera “permanentemente” in “tempo di pace”. Un giurista alle prime armi smonterebbe queste clausole in un nanosecondo.
Cosa significa “permanente”? Due anni? Dieci? E soprattutto, definire il “tempo di pace” in un’area che sarà instabile per decenni è un esercizio di pura fantasia. Una scusa per lasciare lì le truppe comunque.
Zelensky, stretto tra l’incudine del realismo americano, che minaccia di chiudere i rubinetti dell’intelligence e delle armi, e il martello dell’avanzata russa, sta lentamente scivolando via dalla sua retorica della vittoria totale.
Sta preparando il suo popolo all’amaro calice del compromesso, mentre l’Europa applaude ancora a uno spettacolo che è finito da un pezzo con la sconfitta dell’Ucraina e, soprattutto, della stessa Europa.
IL MITO DELLA CONQUISTA E LA REALTÀ DEL RULLO COMPRESSORE
L’errore macroscopico dell’Occidente è stato confondere il Risiko con la dottrina militare russa.
Per mesi, i talk-show ci hanno venduto la favola di una Russia che voleva dipingere la mappa d’Europa del suo colore, ma fallendo miseramente perché la sua economia era stata annientata nel 2022 dalle nostre sanzioni dirompenti e il suo esercito combatteva solo armato di pale ottocentesche. E tante altre sciocchezze da propaganda pura.
La verità è infinitamente più cinica. Mosca non cerca la conquista territoriale rapida in un ambiente ostile; applica la dottrina storica del “rullo compressore”.
È una guerra di attrito, non di movimento.
L’obiettivo del Cremlino non è occupare Kiev domani, ma macinare l’esercito ucraino oggi, domani e dopodomani, fino a quando non rimarrà nulla da opporre.
E lo fanno trincerati in un sistema difensivo che, per densità e complessità ingegneristica, fa impallidire la Linea Maginot, costruito meticolosamente in dieci anni di guerra, dal 2014, mentre noi guardavamo altrove per non intervenire contro l’Ucraina.
Pensare di sfondare queste linee con qualche carro armato occidentale è delirante.
L’IMPLOSIONE DI UNA NAZIONE: SOCIOLOGIA DEL CROLLO
Ma la tragedia vera, quella che i nostri media “mainstream” si rifiutano di indagare, è interna.
L’Ucraina sta morendo da dentro. Non è solo una questione di linee del fronte che si spostano, ma una questione demografica ed esistenziale. I giovani e meno giovani fuggono. Chi resta, diserta. La fiducia nel contratto sociale si è spezzata.
Mentre Zelensky invoca la democrazia sui palchi internazionali, a Kiev esplodono scandali di corruzione che farebbero impallidire una repubblica delle banane: forniture militari gonfiate, miliardi di aiuti volatilizzati, cerchie ristrette che si arricchiscono mentre la generazione Z ucraina viene mandata a morire perché qualcuno possa acciuffare qualche soldo e regalarsi cessi d’oro.
Un popolo può resistere alle bombe, ma non può resistere alla sensazione di essere usato come pedina sacrificabile dalla propria leadership e dai propri presunti alleati.
La coesione sociale è il vero carburante della resistenza, e quel serbatoio è ormai vuoto.
IL SUICIDIO GEOPOLITICO DELL’EUROPA
Intanto, l’Europa è il passeggero che riordina le sdraio sul ponte del Titanic, lamentandosi per il disordine.
Abbiamo reciso i legami energetici con la Russia, suicidando la nostra competitività industriale, per legarci mani e piedi alle forniture americane pagate a prezzo d’oro.
Ma il re è nudo. Se domani il conflitto dovesse allargarsi, le nostre scorte militari, svuotate per sostenere una guerra per procura ormai persa, durerebbero forse una settimana.
Non abbiamo un’industria bellica, non abbiamo una visione comune, non abbiamo la capacità di proiettare forza.
Siamo un ex gigante economico (in declino) e un nano politico e militare. Totalmente inutili a livello geopolitico.
Negli Stati Uniti, scottati dai deserti dell’Iraq e dalle montagne dell’Afghanistan, l’elettore medio non ha alcuna intenzione di morire per il Donbas, facendo la stessa misera fine.
E noi europei, intrappolati nella nostra “dimensione onirica” fatta di “sanzioni dirompenti” e sciocchezze veicolate dall’informazione mainstream, infarcita di valori astratti e zero pragmatismo, stiamo spingendo un popolo allo sfinimento totale pur di non ammettere il nostro fallimento.
L’IMPERATIVO DEL REALISMO
Possiamo continuare a negare la realtà ed essere complici di una carneficina inutile. La “pace giusta” è un concetto teologico, non politico. Antistorico e anche un po’ idiota, perché è irrealizzabile e, nella sua attesa, la gente continua a morire inutilmente.
In geopolitica esiste solo la pace possibile. E oggi, la pace possibile è brutta, sporca, ingiusta. È un accordo capestro. Ma è la classica pace di ogni conflitto della storia.
Significa congelare il conflitto sulle linee attuali. Significa accettare che diversi territori sono persi, forse per sempre. Significa ingoiare il rospo della neutralità o di una sovranità limitata.
Ma significa salvare vite. E l’alternativa non è la vittoria, ma il collasso totale dello stato ucraino e la devastazione definitiva di una generazione.
L’intelligenza, quella vera, sta nel capire quando la storia ha preso una direzione che non si può più invertire con la sola forza di volontà. L’Europa deve smettere di drogarsi delle sciocchezze della propaganda e guardare in faccia la Realpolitik.
Meglio un accordo imperfetto che salva ciò che resta dell’Ucraina e degli ucraini di oggi, piuttosto che un funerale di stato celebrato domani sulle macerie di una nazione che abbiamo illuso di poter salvare con la sola forza della nostra retorica.
Non comprenderlo non significherebbe essere soltanto complici di ulteriori morti. Ma i veri colpevoli.


Dott. Pasquale Di Matteo
Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.




