Il fango non mente. E non ammette sciocchezze su pale, muli e soldati russi senza calzini.
Sotto i cieli plumbei del Donbass, dove l’odore acre della cordite si mescola a quello della terra umida, la guerra scrive la sua unica, spietata verità. Una verità ben lontana dai racconti della propaganda occidentale.
Una verità fatta di logoramento, di vite spezzate, di una linea del fronte che, contrariamente alla narrazione ufficiale propinata per mesi alle opinioni pubbliche occidentali, non è affatto in stallo.
Si sta sbriciolando. E mentre il sangue continua a scorrere in un sacrificio che appare sempre più insensato, lontano, nelle stanze climatizzate di Miami e nei corridoi del Cremlino, si sta consumando l’atto finale, con la stesura di una pace che non sarà negoziata, ma dettata.
Le indiscrezioni, emerse da fonti autorevoli come Bloomberg, Axios e Reuters, non sono più semplici sussurri, ma i contorni sempre più nitidi di un brutale esercizio di politica reale.
Funzionari americani, presumibilmente legati alla sfera d’influenza dell’amministrazione Trump, e i loro omologhi russi stanno tessendo la tela di un accordo che esclude i principali attori del dramma: l’Ucraina e un’Unione Europea ridotta al ruolo di spettatore pagante.
E pagante un biglietto a caro prezzo.
Le condizioni sul tavolo sono quelle di una resa mascherata da trattato: cessione di territori, una rinuncia alla Crimea e al Donbass, e una drastica riduzione dell’arsenale ucraino. In altre parole, la neutralizzazione. La fine del sogno.
Un’offerta di pace ancora più stringente di quella di qualche mese fa. Nettamente peggiore di quella del 2022, a testimonianza di come ogni giorno che passa è una sconfitta per l’Ucraina sempre più drammatica.
Questo non è un tradimento inaspettato, ma la conseguenza matematica di un fallimento strategico e, soprattutto, comunicativo.
IL CROLLO DELLA NARRAZIONE: DAL MITO DELLO STALLO ALLA REALTÀ DEL COLLASSO
Per quasi tre anni, i burattini della propaganda hanno messo in piedi un castello di carte per sostenere il morale interno, giustificare un flusso senza precedenti di capitali e armamenti e, soprattutto, per mascherare l’asimmetria fondamentale del conflitto.
La parola “stallo” è stata il pilastro di questa costruzione, un termine rassicurante che evocava le trincee della Grande Guerra, suggerendo un equilibrio di forze che, nella realtà dei fatti, non è mai esistito.
La realtà, come sottolineato da analisti militari svincolati dalla propaganda, tipo Mikael Valtersson, ex ufficiale delle forze armate svedesi, è un’altra. La Russia non ha mai puntato a una guerra lampo, bensì a una metodica e inesorabile strategia di logoramento.
Non ha cercato lo sfondamento spettacolare, ma la morte lenta del nemico. Il fronte ucraino non è una linea Maginot, ma un colabrodo dove le forze russe, con pazienza, identificano i punti deboli, avanzano, creano “sacche” operative e strangolano le linee di rifornimento.
Le mappe che vediamo sui media mainstream sono fotografie statiche di un processo dinamico di erosione.
Pokrovsk, Myrnohrad, Lyman sono i prossimi capitoli di una tragedia annunciata.
IL PREZZO DEL DELIRIO: L’ULTIMO UCRAINO E IL MICROCHIP DELLA DISUMANIZZAZIONE
In questo teatro della percezione, il presidente Zelensky sembra aver smarrito il contatto con la realtà del campo di battaglia.
La sua ostinazione a difendere ogni metro di terra, trasformando città come Bakhmut in tritacarne simbolici, ha un costo umano che nessuna vittoria politica potrà mai ripagare. Il sacrificio fino all’ultimo ucraino non è una metafora iperbolica, ma una strategia politica.
La rimozione di un generale pragmatico come Valerij Zaluznyj, che per primo osò parlare di “stallo” per preparare il terreno a una necessaria rinegoziazione degli obiettivi, è stata la prova definitiva di questa deriva. Zaluznyj, rispettato dalle truppe e dagli alleati occidentali, è stato esiliato a Londra perché la sua lucidità era diventata un ostacolo alla narrazione del trionfo imminente.
L’ultimo, agghiacciante sviluppo è la proposta, discussa nel parlamento ucraino, di “microchippare” i soldati e i cittadini in età di leva per tracciarne i movimenti.
Al di là delle implicazioni etiche, questo delirio orwelliano rivela come, in Ucraina, l’essere umano, il soldato, sia stato ridotto a un asset da monitorare, una risorsa da spendere fino all’esaurimento.
Non più un cittadino che difende la patria, ma un numero in un database da inviare al macello. Quando un governo arriva a concepire i propri uomini in questi termini, la sconfitta morale ha già preceduto quella militare, perché l’umanità è già morta prima che muoiano uomini in carne e ossa.
LA PACE DEI CONTABILI: L’AMERICA TAGLIA LE PERDITE, L’EUROPA PAGA IL CONTO
L’investimento ha smesso di rendere.
Un’impresa, in questo caso, il progetto di infliggere una “sconfitta strategica” alla Russia attraverso l’Ucraina, è stata finanziata con un capitale politico ed economico colossale. Ma i ritorni sono negativi.
La Russia non è crollata, la sua economia si è riconvertita alla guerra e il suo esercito, dopo gli errori iniziali, impara e si adatta. L’Ucraina, al contrario, è un asset in via di esaurimento.
Milioni di ucraini hanno abbandonato il Paese, la sua economia è al collasso e la fiducia in Zelesky da parte degli ucraini è ai minimi termini.
L’amministrazione Trump, o chi per essa, ragiona con la logica del bilancio. È tempo di tagliare le perdite e uscire dall’affare prima che il passivo diventi insostenibile.
Il piano di pace segreto non è altro che questo: una procedura di liquidazione controllata.
Gli Stati Uniti salveranno la faccia, manterranno un’influenza sulla futura architettura di sicurezza europea e lasceranno all’Europa il “cerino acceso” in mano: la gestione di un’Ucraina smembrata, economicamente distrutta e socialmente traumatizzata.
Per Trump, sarebbe una vittoria su tutta la linea.
Il tour europeo di Zelensky, con le sue richieste disperate di armi che l’Europa non ha o non può dare, non è che la patetica passerella finale di un leader che si rifiuta di leggere il bilancio e di comprendere che è già un ricordo pronto per essere archiviato nel cassetto dei ricordi.
La guerra in Ucraina sta già finendo nei conciliaboli segreti tra le uniche due potenze che hanno realmente il potere di deciderne le sorti, al di là delle tante, troppe, balle partorite da chi doveva informare i cittadini, invece ha scelto di diventare megafono della propaganda.
La pace che si profila non sarà quella dei giusti, ma quella dei sopravvissuti. E, come in tutte le guerre, quella dei contabili.
Ma sarà pur sempre una pace che salverà vite umane. Quelle per Zelensky e per chi ha proposto il microchip sottocutaneo non contano, ma per le famiglie ucraine che hanno troppe sedie vuote intorno al tavolo, invece, sì.





