SABOTAGGIO IN POLONIA: L’OMBRA RUSSA E LA MANO UCRAINA. UNA NUOVA, PERICOLOSA NARRAZIONE

Due ucraini. Una linea ferroviaria polacca sabotata. Un colpevole: ovviamente, la Russia.

No, non è la premessa di un romanzo di spionaggio, ma la sintesi nuda e cruda della dichiarazione del Primo Ministro polacco Donald Tusk al suo Parlamento.

È una sequenza che, nella sua disarmante linearità, rivela molto più di un semplice atto di sabotaggio, poiché mostra l’architettura di un copione di guerra che non ammette più sfumature, un copione già scritto in cui il colpevole è designato prim’ancora che le prove vengano completamente vagliate.

E, ancora una volta, la Polonia si ritrova epicentro di un incidente che lambisce pericolosamente i confini della NATO, gettando benzina su un fuoco che l’Europa intera fatica a contenere.

Anche se poi, dal 2022 a oggi, le indagini hanno sempre sbugiardato le parole del governo polacco.

LA CRONACA DI UN’ACCUSA ANNUNCIATA

I fatti, o almeno la loro versione ufficiale, sono politicamente esplosivi.

Tra il 15 e il 17 novembre, una linea ferroviaria, un’arteria vitale per il trasporto di aiuti militari e umanitari verso Kiev, subisce due attacchi. Il primo, quasi artigianale: una fascetta d’acciaio fissata ai binari, un ostacolo grezzo progettato per il deragliamento.

Il secondo, decisamente più inquietante: la detonazione di un ordigno “di tipo militare” al passaggio di un treno merci.

Fortunatamente, non ci sono state vittime.

Il premier Tusk, citando inquirenti e procuratori, indica i responsabili: due cittadini ucraini, veterani della collaborazione con i servizi segreti russi.

Uno, un residente del Donbas occupato.

L’altro, un individuo già condannato per sabotaggio a Leopoli.

Stando alle voci, i due sarebbero entrati in Polonia dalla Bielorussia, per poi svanire presumibilmente nella stessa direzione dopo aver compiuto la loro missione.

L’accusa è chiara, la logica apparentemente ferrea. Ma è davvero così?

Sono così certi che si tratti di questi due ucraini? Se li hanno seguiti dal loro ingresso, perché non li hanno fermati prima, visto che sapevano fossero spie al soldo di Mosca? Perché ne hanno perso le tracce, mentre, a quanto pare, fino all’attentato li seguivano passo passo?

A CHI GIOVA? LA DOMANDA CHE L’EUROPA NON OSA PIÙ FARSI

Come abbiamo scritto fino ala nausea, in ogni inchiesta degna di questo nome, la prima, fondamentale domanda è sempre la stessa: A chi giova?” Chi ne trae vantaggio?

La Russia, additata come mandante, guadagnerebbe ben poco da un’operazione del genere e spingerebbe l’Europa a riarmarsi ancora di più. Sarebbe un fallimento strategico di proporzioni bibliche.

Infatti, un sabotaggio a basso impatto materiale, ma dall’altissimo costo politico serve solo a cementare ulteriormente l’ostilità europea, a rafforzare la coesione della NATO e a giustificare un nuovo giro di vite nelle sanzioni e nel supporto militare a Kiev.

Dal punto di vista strategico del Cremlino, sarebbe un autogol.

Un’azione che aliena anche i più tiepidi sostenitori di una de-escalation, offrendo su un piatto d’argento ai “falchi” occidentali la prova che cercavano della minaccia russa sul suolo dell’Alleanza.

Perciò, anche solo per logica, la Russia va scartata come principale indiziata.

Allora, spostiamo lo sguardo.

Chi, invece, ha tutto da guadagnare da un’azione che spaventa la Polonia e, di riflesso, l’intera Europa?

La risposta è dolorosa ma inevitabile: l’Ucraina.

In un momento in cui l’attenzione mediatica globale si sposta, in cui le risorse economiche e militari occidentali iniziano a mostrare segni di affaticamento, un atto terroristico sul territorio NATO, attribuibile a Mosca, è un potentissimo acceleratore di consenso.

È un modo per gridare al mondo: “Vedete? La minaccia non è confinata al Donbas. È qui, alle vostre porte”.

È la leva perfetta per chiedere, con ancora più forza, un intervento occidentale più massiccio, più armi, più soldi, più impegno.

Non è un giudizio morale, ma una fredda analisi geopolitica: per una nazione che combatte una guerra esistenziale, ogni strumento per mantenere vivo il sostegno internazionale è, per definizione, vitale. Probabilmente, lo faremmo anche noi nelle condizioni disperate del governo Zelensky.

La narrazione dello spionaggio russo diventa così solo il comodo e impenetrabile scudo dietro cui giustificare l’incredibile: un atto ostile compiuto da cittadini di una nazione amica sul suolo di un’altra.

Suona come la sciocchezza per cui a danneggiare il Nord Stream erano stati i russi, che si erano auto inflitti un danno enorme. E, anche allora, il vero colpevole era l’Ucraina.

IL PRECEDENTE PERICOLOSO: DA PRZEWODÓW AL NORD STREAM

Questo episodio non nasce nel vuoto, ovviamente, ma è solo l’ultimo capitolo di una saga di incidenti ambigui che hanno scandito il conflitto.

Ricordiamo il missile caduto a Przewodów nel novembre 2022. Per ore, forse giorni, il mondo ha trattenuto il fiato mentre Varsavia e i media internazionali puntavano il dito contro Mosca, evocando lo spettro dell’articolo 5 della NATO.

Solo in un secondo momento, con tanta riluttanza, si ammise la verità: era un missile della contraerea ucraina, finito fuori rotta.

E come dimenticare il sabotaggio del gasdotto Nord Stream?

Anche in quel caso, l’accusa istintiva e corale fu rivolta alla Russia. Eppure, le inchieste giornalistiche più approfondite, dal New York Times allo Spiegel, hanno progressivamente fatto convergere i sospetti su un commando di operativi ucraini, con il probabile coinvolgimento dei vertici di Kiev.

La costante è evidente anche a un cieco. Davanti all’incertezza, la narrazione scelta è sempre la più incendiaria, quella che dipinge Mosca come l’unica, onnipresente forza del caos.

L’incidente ferroviario, con i suoi esecutori ucraini, si inserisce perfettamente in questo schema. Non potendo negare la nazionalità degli attentatori, si ricorre alla spiegazione più semplice e politicamente utile: erano marionette del Cremlino.

Senza dimenticare che, più va avanti la guerra in Ucraina, maggiori sono gli introiti delle fabbriche di armi europee e, soprattutto, americane. Un dettaglio, ma pesante come un treno merci.

LA FABBRICA DELLA PAURA E L’ECONOMIA DELLA GUERRA

Assistiamo alla perfezione di un meccanismo di costruzione della paura. La “guerra ibrida” russa, un concetto tanto reale quanto abusato, diventa un contenitore onnicomprensivo per ogni evento anomalo, un asso nella manica che risolve ogni complessità.

Questa costante alimentazione della paura non è fine a sé stessa, ma serve a oliare gli ingranaggi di una gigantesca economia di guerra.

Lo stesso Ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, ha candidamente ammesso che il sostegno all’Ucraina serve principalmente a “guadagnare tempo”, non necessariamente a vincere.

Guadagnare tempo per cosa? Per riarmare l’Europa. Per riempire i magazzini dell’industria bellica americana e continentale. Per giustificare di fronte a un’opinione pubblica sempre più stremata sacrifici economici che, in tempo di pace, sarebbero politicamente insostenibili.

Ogni sabotaggio, reale o presunto, ogni allarme, fondato o gonfiato, diventa un’altra rata versata per il mantenimento di questo stato di emergenza perpetua.

I cittadini europei, distratti dalla minaccia esterna, sono meno inclini a mettere in discussione le politiche interne che erodono il loro benessere, con la costruzione di una potenza di guerra.

LA VERITÀ COME PRIMA VITTIMA

La linea tra informazione e propaganda è diventata così sottile da essere quasi invisibile.

L’attentato in Polonia è un caso studio emblematico.

A prescindere da chi abbia realmente armato la mano di quei due uomini, il modo in cui l’evento è stato immediatamente inquadrato e offerto al pubblico dimostra che, in questa guerra, la verità non è solo la prima vittima, ma è diventata uno strumento, un’arma flessibile da brandire a seconda delle necessità strategiche del momento.

L’interrogativo che dovremmo porci, non è tanto “chi ha piazzato la bomba?”, ma “chi beneficia di più dalla spiegazione che ci viene data?”.

Finché non avremo il coraggio di affrontare questa domanda onestamente, rimarremo spettatori passivi di un gioco pericoloso, le cui regole sono scritte da altri.

E mentre la nebbia della propaganda si addensa sui binari d’Europa, chi sta davvero pagando il prezzo di questo gioco d’ombre?

Gli ucraini mandati a morire nelle trincee e gli europei, che vedono erosi i loro soldi e i loro diritti (sanità, istruzione, welfare).

Fino a quando non si arriverà alla guerra vera. Allora, quando non ci saranno più ucraini da mandare al fronte, manderanno gli europei. Solo che dubito che Crosetto, Macron, Meloni, Merz & C. mandino i loro figli.

Perciò, fate un po’ voi.

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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