Il fango di Pokrovsk racconta una storia fatta di morti e distruzione, ma un gabinetto d’oro massiccio in una villa di Kiev ne racconta un’altra, completamente diversa.
Sono entrambe frutto dei miliardi dell’Occidente.
Da una parte, soldati mandati al macello senza uno scopo chiaro, intrappolati in sacche mortali mentre i generali millantano vittorie sbugiardate dai fatti. Dall’altra, un’élite che, al riparo dal fronte, sguazza in un lusso osceno, pagato con i fondi e le armi che noi inviamo senza alcun controllo.
Noi, in Europa, guardiamo con incredulità, ma, solo un po’ imbarazzati, promettiamo altri soldi.
GUERRA E PARADISI FISCALI
La propaganda è la prima arma di ogni conflitto. E noi abbiamo contribuito a costruirne una potentissima.
Volodymyr Zelensky è stato eletto a icona: il “nuovo Churchill”, il “De Gaulle ucraino”, persino.
Un baluardo “incorruttibile” della democrazia, scrivevano i nostri eroi del mainstream. E, quando dalla Russia si puntava il dito sulla corruzione di Kiev, ecco che era propaganda becera di Mosca.
Eppure, questa statua eroica mostra da tempo delle crepe profonde, crepe che abbiamo scelto deliberatamente di non vedere, perché, altrimenti, dovremmo ammettere che quella di Mosca non era affatto becera propaganda, ma la realtà.
Eppure, sarebbe bastato leggere.
Bastava ricordare l’inchiesta internazionale “Pandora Papers” del 2021, molto prima che l’invasione su larga scala iniziasse. Lì emergeva già il ritratto di un uomo d’affari abilissimo, creatura dell’oligarca Ihor Kolomoisky, noto finanziatore di milizie controverse come il battaglione Azov.
Lì si scoprivano le società offshore a Cipro e nelle Isole Vergini, i conti nei paradisi fiscali e una lussuosa villa con piscina a Forte dei Marmi, acquistata per quasi 4 milioni di euro e mai dichiarata prima della sua elezione.
Non proprio il comportamento di un uomo democratico e incorruttibile.
Oggi, mentre il suo popolo muore, Zelensky è costretto a una purga teatrale, sacrificando ministri e sanzionando il suo ex socio e amico intimo, Timur Mindich. Lo stesso Mindich fotografato con credenze piene di mazzette di banconote e, appunto, sanitari d’oro.
Un uomo esentato dalla leva e fuggito all’estero grazie a una soffiata, sospettato di essere il regista di un sistema che scremava fino al 15% su ogni appalto energetico.
È davvero credibile che Zelensky non sapesse nulla?
LA CORRUZIONE COME ARMA DI DISTRAZIONE DI MASSA
L’annuncio di Zelensky di una “riforma” e di un “audit completo” è un capolavoro di gestione della percezione. È un messaggio diretto non ai cittadini ucraini, ma ai suoi finanziatori a Bruxelles e a Washington.
È il tentativo di mettere una pezza, di nascondere la polvere sotto un tappeto sempre più logoro, per non interrompere il flusso vitale degli aiuti.
Ma la legge che doveva garantire l’indipendenza degli organi anti-corruzione è stata emendata proprio da Zelensky per porli, di fatto, sotto il controllo del suo stesso governo. Si indaga, ma solo fin dove il potere permette, insomma.
A quanto emerge, in Ucraina il furto non è un’eccezione, è la regola.
Cento milioni di dollari spariti solo nel settore energetico. Soldi per le uniformi dei soldati, svaniti.
Persino i 170 milioni versati dalla NATO per costruire trincee di legno, sono stati intascati. Ogni proiettile, ogni giubbotto antiproiettile, ogni euro che inviamo transita attraverso questo sistema malato.
Come può un soldato al fronte, in attesa di una ritirata che non arriva mai, combattere con il morale alto sapendo che la sua stessa leadership si arricchisce sulla sua pelle?
Questa non è una “guerra ibrida” russa che diffonde disinformazione, purtroppo, ma è la cruda verità che emerge dalle inchieste di queste ultime settimane e la nostra riluttanza ad accettarla ci rende complici.
IL PREZZO FINALE È POVERTÀ, INSTABILITÀ E IL MERCATO NERO
La questione, ovviamente, non è soltanto di ordine morale, ma riguarda la sicurezza dell’intero Occidente, perché il fallimento non è solo etico, ma anche strategico.
L’economia di guerra che stiamo sostenendo non sta solo impoverendo i nostri cittadini e le nostre imprese, non sta solo prolungando un conflitto senza una via d’uscita militare, ma sta creando il più grande mercato nero di armamenti della storia recente.
Mezzo milione di armi, secondo alcune stime, sono già “fuori controllo”.
Dove sono? Chi le userà domani? Chi si sta preparando davvero a una guerra contro di noi, mentre noi puntiamo il dito contro Mosca?
Stiamo armando una nazione perché possa difendersi o stiamo inavvertitamente rifornendo i conflitti del futuro in Africa, in Medio Oriente, forse persino nelle nostre stesse città?
Le conseguenze geopolitiche di questo lassismo, di questa miopia dei vertici europei, saranno devastanti e durature.
Mentre i governi europei tacciono, paralizzati dall’imbarazzo, qualcuno si distingue per un cinismo quasi comico.
Antonio Tajani, ministro degli Esteri italiano, si affretta ad annunciare “un nuovo pacchetto di aiuti nelle prossime ore”.
È la sintesi perfetta della nostra tragedia politica: di fronte alla prova schiacciante che il sistema è marcio, la risposta non è fermarsi a riflettere, ma raddoppiare la scommessa. Casomai non sapessero più cosa rubare.
Volendo escludere che si tratti di gravi problemi cognitivi, naturalmente.
Siamo a un bivio, dunque.
Possiamo continuare a finanziare questa illusione, raccontandoci la favola della democrazia incorruttibile, oppure possiamo affrontare la realtà. La realtà di un popolo meraviglioso e coraggioso tradito dal suo nemico, certo, ma, forse, anche da una parte della sua stessa leadership.
Continuare a inviare armi e denaro senza condizionalità ferree e una supervisione spietata non è aiutare l’Ucraina.
È finanziare un abisso in fondo al quale ci sono due immagini: il volto di un soldato nel fango e il riflesso accecante di un gabinetto d’oro.
Noi stiamo pagando per entrambi.
E il dramma è che in tanti se ne vantano.

Dott. Pasquale Di Matteo
Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.





