CROSETTO GIOCA CON LE PAROLE.

MENTRE KIEV AFFONDA, CROSETTO SI PRODIGA IN GIRI DI PAROLE PER LITIGARE CON BORGHI

Un tweet e una domanda.

È bastato questo a Claudio Borghi, senatore della Lega, per scoperchiare il vaso di Pandora della maggioranza italiana sulla crisi ucraina che si avvita su se stessa da quasi quattro anni.

La sua domanda, tanto logica quanto velenosa – “Ma se per caso gli Usa attaccassero il Venezuela che facciamo? Mandiamo 12 pacchetti di armi a Maduro?” – è il sintomo di una narrazione occidentale che fa acqua da tutte le parti.

La risposta del Ministro della Difesa, Guido Crosetto, è stata immediata e chirurgica, eppure profondamente fragile. Un colpo di fioretto retorico che, nel tentativo di difendere la democrazia, ne ha mostrato le contraddizioni.

L’ELEGANZA DELLA DISTRAZIONE: DECIFRARE LA RISPOSTA DI CROSETTO

Il Ministro ha articolato la sua difesa su due pilastri apparentemente inscalfibili.

Il primo, la distinzione di intento: gli Stati Uniti, a suo dire, “non hanno mai invaso una nazione per occuparne stabilmente il territorio con la scusa che alcuni parlassero inglese”.

Il secondo, la distinzione di metodo: la libertà di espressione che permette a Borghi di dissentire in Italia, sarebbe impensabile nella Russia di Putin.

Analizziamo il primo punto con lucidità.

Crosetto ha tecnicamente ragione. L’obiettivo manifesto delle recenti avventure militari americane non è stata l’annessione territoriale in stile ottocentesco praticata da Mosca con la Crimea e il Donbas.

Tuttavia, è proprio qui che la sua argomentazione, da un punto di vista del Diritto internazionale e della logica politica, si rivela un sofisma. Non ha risposto nel merito, perché il quesito di Borghi non verteva sulla modalità dell’occupazione, ma sulla legittimità dell’aggressione.

Sostenere che le invasioni americane siano moralmente superiori perché non mirano all’annessione è come affermare che un’aggressione a scopo di rapina sia meno grave di un’aggressione a scopo di sequestro.

L’atto primario, la violazione della sovranità di una nazione, resta identico. È un atto contrario al Diritto. Punto.

D’altronde, la storia pesa come un macigno sulla credibilità occidentale e ci ricorda che gli USA hanno dato il via a conflitti devastanti sulla base di menzogne costruite a tavolino, come le famose armi di distruzione di massa in Iraq, una fake news partorita nelle stanze della CIA; altre volte, hanno agito in palese spregio del consenso internazionale, come con il bombardamento del Kosovo, nel 1999, senza uno straccio di mandato ONU.

Un attacco al Venezuela, dunque, sarebbe un atto di pirateria internazionale esattamente come l’invasione russa dell’Ucraina. Con qualsiasi intento.

La domanda di Borghi, per quanto provocatoria, è dunque logicamente impeccabile. Crosetto, eludendola, ha mostrato tutta la sua debolezza, politica e dialettica.

LA LIBERTÀ A CORRENTE ALTERNA E LO SPETTRO DI NUNZIATI

Il secondo pilastro della difesa di Crosetto è ancora più insidioso: la libertà di parola.

Un inno alla democrazia che suona meraviglioso, ma che stride con una realtà più complessa e amara.

“Mi ostinerò a difendere il diritto di Claudio Borghi… di dire tutto ciò che gli passa in testa”, scrive il Ministro. Eppure, con questa difesa appassionata, dimentica, o sceglie di ignorare, che la libertà nel nostro Occidente non è un monolite, ma un ecosistema delicato e spesso condizionato.

Il caso del giornalista Gabriele Nunziati, licenziato per un post ritenuto scomodo, non è avvenuto a Mosca. È avvenuto qui. In Italia.

L’autocrazia reprime col carcere, invece certe democrazie logore emarginano con la precarietà economica e l’ostracismo professionale.

Il risultato, per la singola voce dissenziente, non è poi così diverso.

E già che ci siamo, sarebbe il caso di ricordare Julian Assange, il giornalista che rischiava più di 175 anni di carcere per aver pubblicato documenti che provano i crimini di guerra americani (quelli degli invasori “buoni”, per intenderci).

Assange non è stato detenuto a Mosca, ma a Londra, in attesa di essere estradato proprio in quegli USA che il ministro dipinge come il paradiso della libera espressione.

Forse la libertà di cui parla Crosetto è quella di poter criticare Putin dal salotto di Bruno Vespa. O quella di Damiano dei Maneskin, super star perché ha insultato il leader russo dal comfort degli Stati Uniti d’America.

Quella, sì, è garantita. Per il resto, meglio chiedere il permesso.

O, come direbbe il Ministro, meglio avere l’opinione giusta, altrimenti la libertà di parola diventa libertà di trovarsi un altro lavoro. Proprio come accaduto a Nunziati.

L’argomento di Crosetto, dunque, si configura come un’arma a doppio taglio, perché glorifica un ideale che la prassi quotidiana, anche in Italia, spesso prende a calci.

IL VERO FRONTE SIAMO NOI

Lo scambio tra Borghi e Crosetto non è un battibecco politico come tanti altri, ma è la fotografia di un problema di credibilità che rivela un Occidente in crisi, dopo anni di conflitto.

La stanchezza economica, le popolazioni sempre più scontente di chi comanda e, soprattutto, il peso delle proprie contraddizioni storiche stanno erodendo il fronte atlantico dall’interno.

La vera minaccia per l’Ucraina, oggi, non è solo la superiorità russa, ma la disintegrazione della volontà politica occidentale.

Le nostre democrazie, impantanate nelle loro stesse sinapsi digitali e incapaci di sostenere uno sforzo prolungato senza frammentarsi in mille polemiche, hanno ancora la coerenza per difendere i principi che affermano di rappresentare, in qualsiasi caso e contro qualunque soggetto che violi il Diritto internazionale?

Oppure, continueremo a dare l’impressione al resto del mondo che il Diritto internazionale sia soltanto una lista di norme di poco conto per gli occidentali, ma tassative per il resto del mondo?

Dott. Pasquale Di Matteo

Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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