L’ARMA SEGRETA DEI RUSSI NON È LA PALA, MA LA CARRIOLA

Archiviate i caccia di quinta generazione.

Dimenticate i missili ipersonici. Relegate il missile a propulsione atomica nei libri di storia.

La dottrina militare del futuro, il segreto dei russi che nessuno riusciva a scoprire, signore e signori, è stato finalmente svelato.

E non arriva dai laboratori del MIT o dai think tank della DARPA. No. Arriva direttamente dai campi fangosi del Donbass, spinta da mani callose e da una volontà ferrea che evidentemente i nostri analisti da salotto non avevano messo in conto. Una volontà contadina, campagnola, bucolica.

L’arma segreta definitiva dell’esercito russo che farà impallidire i miliardi di euro e di dollari del complesso militare-industriale occidentale, è lei: la carriola.

Un oggetto che puoi trovare in qualunque Brico center, perfino al supermercato.

Sì, avete letto bene. La carriola. Semplice. Geniale. Inarrestabile.

Mentre le nostre cancellerie si affannano a contare i proiettili e a incolpare la nebbia, mentre i nostri generali si perdono in power point colorati sulle meraviglie dell’intelligenza artificiale applicata al campo di battaglia, i russi hanno scoperto l’arma definitiva.

L’hanno epurata da ogni orpello tecnologico, riportandola a una purezza quasi zen. Una ruota, due manici, un cassone. E la vittoria è servita.

DALLA PALA DELL’800 AL CHIP DELLA LAVATRICE, CRONACA DI UNA DEBACLE ANNUNCIATA MA MAI AVVENUTA

Sia chiaro, l’avvento della carriola tattica non è un fulmine a ciel sereno. Fa parte di una narrazione che da oltre tre anni ci culla dolcemente, raccontandoci la favola di un esercito di straccioni tenuto insieme non si sa bene da cosa, prossimo al collasso ogni giovedì pomeriggio.

Un esercito che non dovrebbe neppure esistere più, visto che ci parlano di 1000 perdite al giorno dal 2022, cioè, almeno 1,3 milioni di morti su un esercito che, nel 2022, era stimato tra 1,2 e 1,5 milioni di uomini.

È una litania di mera propaganda che ormai conosciamo a memoria, un rosario di inettitudine strategica che recitiamo per auto-assolverci.

Prima furono le letali pale da fanteria l’arma segreta, strumento multiuso buono sia per scavare trincee a mani nude (perché ovviamente non avevano altro a causa delle nostre sanzioni dirmpenti) sia per assalti corpo a corpo degni di un film di serie B.

Poi arrivò la mirabolante saga dei chip per lavatrici, la panzana più divertente, chip trafugati dalle case ucraine per guidare missili di precisione e droni, in un capolavoro di ingegneria inversa che avrebbe fatto invidia a MacGyver.

Una trovata che negli USA ha mandato al collasso il flusso di miliardi spesi in ricerca e sviluppo per la Difesa, quando bastava rivolgersi alla Indesit o similari per chip a poco prezzo.

E come dimenticare il mistero irrisolto dei calzini spaiati e delle divise mancanti per un milione e mezzo di soldati che, nel frattempo, morendo 1000 al giorno, dovrebbero essersi estinti?

O le carovane di asini e muli che, secondo le fonti informatissime delle nostre testate più blasonate, avrebbero dovuto sostituire i blindati, ormai tutti distrutti dall’esercito ucraino?

Ogni settimana, una nuova, esilarante prova dell’imminente implosione russa. Ogni settimana, puntualmente, una nuova avanzata russa sul campo.

C’è una dissonanza, da qualche parte. Una sola?!

Un enorme, quanto incontrovertibile, cortocircuito tra la realtà che ci raccontano e quella che, banalmente, accade.

ANALISI GEOPOLITICA DELLA CARRIOLA MODELLO POKROVSK

Ma ora, con la carriola, siamo al livello successivo.

Non più un semplice attrezzo, ma una piattaforma logistica polivalente. Le agenzie, citando fonti di un’intelligence che evidentemente passa le sue giornate a spiare i cantieri edili, ci informano che questi avveniristici mezzi trasportano di tutto.

Caspita, che geni!

Droni. Munizioni. Generatori. Viveri.

Il tutto per chilometri, nella nebbia “putiniana” che, come è noto, ostacola la vista solo ai soldati e alle armi NATO.

È ovvio che non stiamo parlando di una carriola qualsiasi. Sarebbe un errore pensarla come quella di vostro nonno nell’orto.

Qui siamo di fronte a un sistema d’arma integrato, signori.

Immagino già le specifiche segrete: telaio in lega leggera, manopole ergonomiche riscaldate per l’inverno siberiano, ruota con pneumatico antiproiettile e, naturalmente, una suite di optional da far invidia a un’auto di lusso.

Fari antinebbia a LED (fondamentali a Pokrovsk), vernice mimetica cangiante a seconda del fango, e – tenetevi forte – uno scudo deflettore in plexiglass per proteggere il carico dai droni.

Magari con lo scarico in titanio e il parafango in carbonio per i modelli “sport” o “GT”, come si definivano un tempo.

È l’unica spiegazione logica. Altrimenti dovremmo ammettere che, forse, l’efficacia sul campo non dipende solo dall’ultimo gadget hi-tech, ma da fattori più prosaici.

Come la massa, la produzione industriale, la dottrina militare e la capacità di sopportare le perdite. Ma queste sono cose noiose, da libri di storia. Meglio la carriola.

PROPAGANDA, QUANDO LA REALTÀ DIVENTA UN OPTIONAL

Arriviamo al dunque. Perché questa narrazione? Perché si continua con la propaganda anziché raccontare i fatti?

Perché, mentre il conflitto sta ridefinendo gli equilibri mondiali, le nostre fonti di informazione si concentrano su dettagli che oscillano tra il comico e il patetico?

Beh, perché è un sedativo per le coscienze. Serve a costruire l’immagine di un nemico che non è soltanto malvagio, ma anche stupido e tecnologicamente inferiore.

Un cretino, goffo e prevedibile.

Questo “comfort narrativo” ha una duplice funzione.

Da un lato, rassicura l’opinione pubblica interna, con una carezza ideologica per cui “stiamo vincendo, è solo questione di tempo”; dall’altro, giustifica ogni fallimento strategico, perché, diciamocelo: “come potevamo prevedere che usassero le carriole?”.

È la stessa logica che porta a definire “non etica” ogni mossa efficace del nemico e “giusta e necessaria” ogni nostra azione, anche la più fallimentare. Le famose armi del nemico che uccidono e le nostre, intelligenti.

Si crea un mondo parallelo, una bolla mediatica in cui le nostre armi sono sempre infallibili, le nostre sanzioni sempre devastanti e il nemico è sempre a un passo dal baratro.

È una fiaba, naturalmente. Non perché lo sostenga io, ma perché ce lo sbatte in faccia il tempo. Ce lo raccontano i fatti sul campo di battaglia.

È una ninna nanna per adulti spaventati. Ma il problema è che le guerre non si vincono con le fiabe.

Mentre noi ridiamo delle carriole, chilometri di terra cambiano di mano. Mentre ci indigniamo per le pale, intere linee difensive russe vengono consolidate. Mentre contiamo i chip delle lavatrici, le fabbriche d’armi del nostro avversario lavorano su tre turni.

La propaganda è un’arma potente, certo. Ma ha un difetto fatale: non ferma i proiettili e non cambia i fatti.

Può distorcere la realtà per mesi, perfino per anni, ma poi il tempo passa e pone ogni pagliaccio nel suo circo.

E temo che quando, e se, decideremo di svegliarci da questo torpore autoindotto, scopriremo che la realtà, a differenza della nostra narrazione, non si spinge con una sola ruota.

Forse, serve davvero una riunione urgente tra i vertici della Difesa, perché, a furia di raccontare supercazzole di tali proporzioni, il livello cognitivo di certi italiani è sceso a livelli preoccupanti e il rischio è che, al circo, si sveglieranno in tanti.

Dott. Pasquale Di Matteo

Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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