La dissonanza cognitiva collettiva ha raggiunto il suo punto di rottura con la caduta delle città di Pokrovsk e Kupyansk, simboli di una narrativa che si sgretola sotto il peso dei fatti.
IL FRONTE MILITARE: LA SCONFITTA NEGATA
In Ucraina, i conti non tornano più.
La strategia della “difesa a oltranza”, imposta più per ragioni politiche che per saggezza tattica, si sta rivelando un suicidio.
I comandanti sul campo, quelli che vedono i volti dei loro uomini prima di mandarli a morire, lo dicono a mezza voce: continuare a difendere “calderoni” indifendibili, come la sacca di Mirnograd, serve solo a macinare le ultime, preziose vite rimaste.
La richiesta avanzata allo Stato Maggiore di un arretramento tattico per accorciare il fronte di 1.300 chilometri non è un atto di codardia, ma l’unica mossa razionale rimasta su una scacchiera dove la partita è persa da mesi.
Eppure, pubblicamente, si nega.
Si nega l’accerchiamento, anche quando le mappe dell’Institute for the Study of War – un think-tank tutt’altro che filo-russo – lo certificano.
Si parla di situazione “sotto controllo” mentre le truppe ucraine a est del fiume Oskol lottano disperatamente per coprire una ritirata senza più ponti sicuri.
Sembra di rivivere la follia dell’Asse sul Fronte Orientale, sacrificare tutto per non cedere un metro di terra, anche quando quella terra è già diventata la tomba dei suoi difensori.
È una logica che non porta alla vittoria, ma solo all’annientamento.
Intanto, i russi entrano a Pokrovsk. Sarebbero non meno di 300. Altri 10.000 sarebbero pronti a entrare, a Sud.
La città diventerebbe una conquista cruciale, il centro più grande conquistato da Mosca, dopo Bakhmut, nel 2023, e Avdiivka, nel febbraio 2024.
La sua caduta permetterebbe di consolidare il controllo russo sul Donetsk e l’esercito di Mosca sarebbe libero di avanzare verso la “cintura delle fortezze ucraine”, dislocate tra Kostyantynivka, Druzhkivka, Kramatorsk e Sloviansk.
IL FRONTE INTERNO: LA DISERZIONE E LA FUGA DI UN POPOLO
Forse la metrica più onesta per misurare la legittimità di una guerra non è il numero di chilometri conquistati, ma la direzione in cui corre la sua gente. E la gente, in Ucraina, sta correndo via.
Il racconto di un popolo unito e pronto al sacrificio si infrange contro due dati impietosi. Il primo è il record di diserzioni registrato a ottobre: oltre 21.000 uomini. E a dirlo non è un blog russo, ma l’ex parlamentare ucraino Igor Lutsenko.
Un esercito che si disgrega dall’interno, minato da una sfiducia che la propaganda non può più nascondere.
Il secondo dato, ancora più eloquente, è la fuga di massa dei giovani. L’impennata di espatriati nella fascia 18-22 anni, non appena le frontiere sono state riaperte in via eccezionale per loro, non è un’opinione, ma è un vero e proprio plebiscito contro la politica di Zelensky.
-Ricordiamo che, in virtù delle leggi marziali, gli ucraini dai 18 ai 60 anni non possono lasciare il Paese. Ai giovani tra i 18 e i 22 è stata data la possibilità dopo le forti pressioni dell’opinione pubblica ucraina.-
Questi ragazzi non fuggono per codardia. Fuggono perché, a differenza dei “guerrieri da salotto” di Bruxelles, Roma, Parigi, Berlino e Varsavia, sanno cosa li aspetta.
Vedono le ronde di reclutamento forzato per le strade. Sentono le storie, sussurrate e mai ufficiali, di battaglioni con perdite del 70% mai rimpiazzate.
Sanno che la domanda non è più “se” andranno al fronte, ma “quando”.
E si chiedono per cosa andranno a morire vista la sconfitta sempre più inequivocabile.
LA GUERRA DELL’INFORMAZIONE: DAL PENSIERO UNICO ALLO “SCUDO DEMOCRATICO”
Di fronte al fallimento della propria narrazione, incapace di reggere l’urto della realtà, l’establishment europeo non fa autocritica. Raddoppia, in perfetto stile orwelliano.
Prima, con la solita strategia mediatica: negare la sconfitta fino all’ultimo, per poi minimizzarne l’importanza strategica ed esaltare le “enormi perdite” del nemico.
Ma ora si prepara il passo successivo, quello più pericoloso. La Commissione Europea, come riportato da N-TV, progetta uno “Scudo Democratico”.
Il nome è nobile, ma si tratta di un pacchetto di misure per contrastare la “guerra di influenza” e le fake news, finanziando ulteriormente i media allineati.
Solo che le fake news, per l’Europa, non sono le panzane raccontate per quattro anni su pale dell’800, soldati russi a dorso di muli perché i mezzi corazzati erano tutti annientati e altre sciocchezze della propaganda diffusa dal mainstream, ma fake news sono i fatti.
Chiamiamolo con il suo vero nome, allora: un Ministero della Verità.
Se un’idea è forte, non ha bisogno di censurare quelle opposte; le smonti con la forza degli argomenti e dei fatti.
Ma quando i fatti diventano scomodi, allora l’opinione è additata come “disinformazione”, l’analisi critica è “propaganda nemica”, il dubbio “ingerenza straniera”.
Il vero pericolo per la democrazia non è chi esprime un’opinione diversa, ma chi, detenendo il potere, ha certezze assolute e una paura fottuta che qualcuno possa metterle in discussione.
Questi personaggi, che si ergono a difensori della libertà auspicando la censura, non stanno costruendo uno scudo per la democrazia, ma stanno instaurando una dittatura, un pezzo alla volta.
LA SOSTENIBILITÀ DI UNA GUERRA PERSA
L’ostinazione europea a prolungare il conflitto si schianta contro la matematica e la realtà sul campo di battaglia.
La Russia ha tempo, uomini reclutati su base volontaria e una macchina industriale bellica a pieno regime. La sua strategia di logoramento funziona; ‘Ucraina, al contrario, ha finito gli uomini, le munizioni e presto finirà anche l’elettricità, con un sistema energetico sistematicamente smantellato.
In tale scenario, il piano di pace europeo in 12 punti appare come il delirio di chi ha già perso, ma non vuole ammetterlo.
Chiedere un cessate il fuoco sull’attuale linea del fronte e pretendere che la Russia paghi le riparazioni di guerra è un insulto all’intelligenza e alla storia, che insegna come le riparazioni le paghino gli sconfitti. E l’Ucraina, insieme all’Europa, questa guerra la sta perdendo.
Il fronte ucraino sta crollando. E con esso, l’intera impalcatura narrativa che ha giustificato per anni questa politica scellerata. Il rumore delle bombe a Pokrovsk è assordante, ma quasi quanto il silenzio dei media europei, che distolgono lo sguardo dalla sconfitta.
Il vero scudo di cui la democrazia ha bisogno non è contro le idee altrui, soprattutto contro la realtà, ma contro chi ha una paura fottuta della verità.
Per combattere le fake news e la disinformazione, non servono ministeri, intelligence, nuove norme restrittive. Basterebbe solo raccontare la verità e osservare i fatti portati dal tempo.
Basterebbe non seguire più chi ha raccontato di pale, muli e microchip, chi ha raccontato che Mosca stava crollando nel 2022 per le nostre sanzioni dirompenti, chi ha raccontato che era stato Putin a danneggiare il Nord Stream.
Insomma, basterebbe volere la verità e non tifare per la propaganda.
Solo che la propaganda serve a creare un nemico. E, senza nemico, gli europei non accetterebbero lacrime e sangue per il riarmo.


Dott. Pasquale Di Matteo
Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.





