L’OFFERTA DI TREGUA SUL FRONTE UCRAINO PER DOCUMENTARE ANNI DI FAKE NEWS DEL GIORNALISMO OCCIDENTALE

Viviamo in un’era di dissonanza cognitiva. Una patologia terminale.

Un’era in cui la narrazione ufficiale, martellata senza sosta dai megafoni mediatici di un establishment in preda al panico, si scontra violentemente contro il muro granitico dei fatti e della realtà.

La chiamano informazione, ma è un’operazione di ingegneria del consenso su scala globale, forse l’ultima grande industria rimasta a un Occidente che ha delocalizzato tutto, persino la propria capacità di analisi strategica.

Ci mostrano immagini di leader sorridenti, di eserciti invincibili, di un ordine basato su regole che noi stessi abbiamo scritto e che ora calpestiamo con disinvoltura.

Ma la realtà, quella vera, si manifesta nel fango delle trincee di Pokrovsk, in ciò che resta di Gaza e nei corridoi del potere di Bruxelles, dove la paura ha ormai soppiantato la strategia.

IL TEATRO DI POKROVSK: LA VITA UMANA COME CAPITALE SIMBOLICO

La guerra in Ucraina doveva essere il capolavoro della deterrenza occidentale e della forza della NATO, invece è diventata il suo epitaffio. Le forze russe stanno chiudendo una tenaglia d’acciaio sulla città strategica di Pokrovsk, un accerchiamento che non ammette altra opzione se non la fuga.

Eppure, l’ordine di ritirata tarda ad arrivare sebbene un ritiro ordinato per preservare le forze sarebbe l’unica scelta logica, tuttavia prevale la scelta di sacrificare quei soldati.

Questi uomini ucraini vengono mossi su una scacchiera dove la loro sopravvivenza è secondaria rispetto all’immagine proiettata.

Per Kiev, la narrazione della resistenza a oltranza è propaganda, è un simbolo. È la merce più preziosa da esibire ai partner occidentali.

Al contrario, un esercito che si ritira strategicamente sarebbe un esercito che appare al collasso. E un esercito in collasso non riceve i miliardi di dollari di cui ha disperatamente bisogno.

Ogni giorno in più che la bandiera ucraina sventola su Pokrovsk, anche se su un cumulo di macerie difeso da un manipolo di eroi condannati, è un giorno guadagnato sul fronte degli aiuti.

La mossa di Putin di offrire una tregua “per i giornalisti” è di una freddezza quasi teatrale, ma serve a smontare la propaganda ucraina su cui tanti media occidentali hanno costruito anni di fake news, spacciandole per notizie.

Quello di Putin non è un gesto umanitario, ma un invito al mondo a documentare i fatti e la realtà, la disfatta che sta per compiersi, smascherando la finzione della propaganda.

È la comunicazione del potere applicata con precisione chirurgica. E mentre Zelenskyy elogia la “distruzione dell’occupante”, i suoi uomini muoiono intrappolati in una sacca, sacrificati sull’altare della percezione.

L’ARSENALE DELLA REALTÀ CONTRO L’ARSENALE DELLA PROPAGANDA

Mentre i nostri guru dell’informazione sono impegnati a tenere in vita la narrazione della Russia allo sbando e dell’Ucraina pronta a vincere, Mosca risponde sul piano della realtà, offrendo ai nostri guru dell’informazione di documentare cosa accade davvero sul campo di battaglia.

Altro che pale, microchip, muli e altre sciocchezze!

La Russia testa con successo armi che rendono obsolete le nostre concezioni di guerra: il missile a propulsione nucleare Burevestnik, il drone sottomarino Poseidon.

Non sono solo armi avanzate che polverizzano la propaganda della Mosca allo sbando, ma sono messaggi in codice che il nostro establishment, accecato dalla propria stessa propaganda, si rifiuta di decodificare.

Eppure, il messaggio è semplice: “La vostra propaganda si scontra contro la nostra superiorità tecnologica. Potete raccontare ciò che volete, ma la fisica dei missili ipersonici non si piega alle fake news”.

L’Occidente, intanto, vede i suoi arsenali svuotarsi. I dati del Kiel Institute mostrano un crollo verticale delle forniture militari. E, in questo vuoto strategico, matura il panico finanziario.

LA PIRATERIA DI STATO E L’AUTOGOL ECONOMICO

Un impero in declino compie sempre due errori fatali: sopravvaluta la propria forza e sottovaluta l’intelligenza degli altri.

L’idea, accarezzata a Bruxelles, di confiscare i 140 miliardi di euro di asset sovrani russi non è una mossa strategica, ma un atto di pirateria di Stato che è l’ammissione del fallimento totale del regime sanzionatorio. È la distruzione volontaria della fiducia su cui si fonda l’intero sistema finanziario occidentale: la certezza del diritto.

Perché l’India, il Brasile, l’Arabia Saudita dovrebbero ancora fidarsi di un sistema che può sequestrare le loro riserve sovrane per capriccio politico?

È un autogol economico di proporzioni storiche, mascherato da imperativo morale che costerà ai nostri figli decenni di emigrazioni all’estero per trovare un lavoro decente, fuori dall’Europa.

L’OCCIDENTE CHE CONOSCEVAMO È MORTO O ERA UNA FINZIONE

Se l’Ucraina è il sintomo della nostra debolezza esterna, Israele è lo specchio della nostra fragilità interna. Ci viene venduta come un’oasi di democrazia, ma la realtà è quella di una società profondamente lacerata.

Le proteste degli ultra-ortodossi contro la leva militare non sono folklore, ma la spia di un contratto sociale in frantumi.

Uno Stato che chiede il sacrificio supremo solo a una parte dei suoi cittadini, mentre un’altra cresce demograficamente vivendo di sussidi, è uno stato che sta divorando se stesso.

È una teocrazia etnica in guerra perpetua, non di certo una democrazia liberale.

Anche qui, la nostra incapacità di mediare è palese. Siamo diventati semplici fornitori di armi per una delle parti, perdendo ogni credibilità e alimentando un ciclo di violenza che, come in Ucraina, non abbiamo né la volontà né la capacità di fermare.

OLTRE IL VELO: L’ORA DELLA VERITÀ

L’accerchiamento di Pokrovsk, il panico a Bruxelles, le piazze di Gerusalemme, sono tutti punti che si uniscono per disegnare il ritratto di un Occidente che ha perso il contatto con la realtà.

Un impero in crisi cognitiva che si nutre di illusioni e si rifiuta di accettare l’avvento di un mondo multipolare.

Siamo sonnambuli verso la catastrofe, cullati da una ninna nanna di bugie ripetuta dai nostri pennivendoli della propaganda, che ci raccontano ancora della nostra superiorità morale.

Ma la storia non fa sconti e la realtà presenta sempre il conto. E il nostro conto da pagare sarà salatissimo.

Quando arriverà il punto in cui il prezzo degli ucraini sarà finalmente superiore a quello della propaganda?

Per l’uomo nella trincea di Pokrovsk, che attende un ordine di ritirata che potrebbe non arrivare mai, questa domanda è la differenza tra la vita e la morte.

Ma, una volta caduta anche Pokrovsk, città importantissima per l’Ucraina, il suicidio dell’Occidente si fermerà prima della caduta di Kiev o l’unica speranza degli ucraini è che Mosca si accontenti di liberare solo tutte le regioni russofone, per spartirsi con gli USA ciò che resta del Paese?

Dott. Pasquale Di Matteo

Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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