In Cina, ci sono immagini che raccontano la realtà più di mille parole.
Interminabili campi alla periferia di metropoli, trasformati in silenziosi cimiteri di automobili elettriche.
Migliaia di veicoli identici, nuovi di zecca, coperti di polvere ed erbacce, parcheggiati in file ordinate verso un orizzonte che non raggiungeranno mai.
Sono il simbolo di una sbornia da 220 miliardi di dollari con cui Pechino ha drogato per quindici anni il suo mercato dei veicoli a nuova energia (NEV).
Oggi, il Partito Comunista ha staccato la spina all’auto elettrica.
Con una decisione improvvisa, quanto brutale, la Cina ha annunciato lo stop ai sussidi per le auto elettriche, escludendole dal sacro Graal della sua pianificazione industriale, il piano quinquennale 2026-2030.
Si tratta di un vero terremoto, della fine di un’era.
Ma non è solo il tramonto dell’auto elettrica, ma il segnale che il Drago non vuole più essere l’officina del mondo, ma il capo del mondo.
IL TRAMONTO DELL’AUTO ELETTRICA
Per oltre un decennio, la narrazione mainstream è stata monolitica.
La Cina, leader visionaria della transizione verde, costruiva un futuro a zero emissioni a colpi di incentivi statali perché anticipava i tempi. Non c’era alternativa all’auto elettrica. E i numeri, superficialmente, davano ragione a questa narrazione.
Oltre 7,7 milioni di auto elettriche vendute in Cina solo nel 2024. Un mercato interno che assorbe più della metà della produzione globale.
Un successo, ma un successo artificiale, ipertrofico, insostenibile, nato grazie alla droga statale.
Il governo oggi parla di “maturità del mercato”.
Una formula elegante, per descrivere un organismo che ha raggiunto il limite della sua crescita dopata.
Il messaggio, letto tra le righe del gergo burocratico di Pechino, è spietato e, tradotto nella lingua dei comuni mortali, suona più meno così: la festa è finita.
D’ora in poi, si sopravvive da soli. L’eliminazione graduale degli sconti fiscali entro il 2027 sarà il colpo di grazia. La culla dorata è stata rimossa; ora inizia la marcia nella giungla.
E ne vedremo delle belle.
DIETRO LA MASCHERA DEL SUCCESSO, LA CANNIBALIZZAZIONE DEL MERCATO
La realtà, per chi sa dove guardare oltre le propagande, è una crisi industriale mascherata da trionfo.
La politica dei sussidi a pioggia ha generato una sovraccapacità produttiva senza precedenti. Centinaia di marchi, molti dei quali mere repliche l’uno dell’altro, sono spuntati come funghi dopo la pioggia, attirati dal denaro facile dello Stato.
Ciò ha generato una “guerra dei prezzi” suicida che sta polverizzando i margini di profitto e trasformando le concessionarie in arene per combattimenti all’ultimo sangue. Si produce molto più di quanto si possa vendere. E si p costretti a vendere a prezzi che non garantiscono nemmeno la sopravvivenza.
È una bolla speculativa a cui manca solo la dara del decesso.
Lo stesso Xi Jinping, con un raro monito pubblico, ha denunciato il rischio di “investimenti ridondanti”, un eufemismo per definire il caos cannibale che le politiche regionali stavano creando, con ogni provincia desiderosa della sua fetta di “torta elettrica”.
Lo stop ai sussidi non è solo una mossa economica, quindi, ma un atto di disciplina imposto dall’alto per fermare l’emorragia, per potare i rami secchi di un albero cresciuto in modo incontrollato che rischia di fare molto male alla Cina.
Molte di quelle aziende nate per decreto politico sono ora destinate a morire per lo stesso decreto. Una “selezione industriale naturale”, orchestrata con la precisione di un chirurgo.
E chi ha comprato quelle auto, rischia di trovarsi alla guida di ferraglia che vale meno un modellino nei negozi di giocattoli.
L’ESODO DELLE AUTO ELETTRICHE INVENDUTE VERSO L’EUROPA, COME ARMA GEOPOLITICA
Cosa fare di milioni di auto che il mercato interno non può più assorbire?
La risposta è nelle nostre concessionarie spuntate come funghi, e nei corridoi dei grandi centri commerciali, nelle pubblicità di marchi mai sentiti prima che spuntano ogni settimana.
È l’esportazione di tutte queste auto che in Cina non si vendono più.
La decisione di Pechino di “liberare” il mercato interno coincide, non a caso, con una spinta aggressiva verso l’esterno.
Soprattutto verso l’Europa, dove la produzione di auto a motore endotermico è crollata e i prezzi sono aumentati a dismisura per spalmare gli investimenti sull’elettrico, visto che le auto elettriche non si vendono come previsto.
Ma quella della Cina non è una semplice strategia commerciale. È la trasformazione di un problema interno, cioè la sovraccapacità, in un’arma di penetrazione geopolitica.
L’ondata di veicoli elettrici cinesi a basso costo che si sta riversando sui mercati europei non è solo il frutto di una maggiore efficienza produttiva, ma è il risultato diretto di una crisi di saturazione interna. Di fatto, Pechino sta esportando la sua guerra dei prezzi, mettendo sotto una pressione insostenibile i produttori automobilistici storici del Vecchio Continente.
Anziché gestire il problema in casa, lo sta portando a casa nostra. L’arena non è più il territorio cinese, ma l’Europa.
È un modo per salvare la propria industria scaricando le eccedenze per conquistare quote di mercato strategiche in un settore chiave per l’economia globale.
IL SACRIFICIO DEL RE: PERCHÉ PECHINO HA SCELTO L’IA E I CHIP
Ma la mossa da gran maestro è la scelta di ciò che sostituirà le auto elettriche come priorità nazionali.
Il nuovo piano quinquennale parla chiaro: intelligenza artificiale, produzione di semiconduttori, bio-produzione, tecnologia quantistica, energia dell’idrogeno.
La Cina ha capito che le automobili, anche quelle elettriche, sono un prodotto, sono il frutto della tecnologia, ma l’intelligenza artificiale, i chip avanzati, il calcolo quantistico, sono LA tecnologia.
Sono le fondamenta su cui si determinerà il potere economico, militare e politico del XXI secolo. E la sua leadership sul pianeta.
Pechino ha deciso di smettere di investire massicciamente nel prodotto finale per concentrare ogni risorsa nel controllo della filiera che genera quel prodotto.
È come smettere di finanziare la costruzione di case e lo sviluppo di industrie, per comprare tutte le cave di marmo e le acciaierie del mondo.
L’auto elettrica è stata il cavallo di Troia, lo strumento per sviluppare competenze su batterie e produzione di massa.
Ora che la missione è compiuta e il settore è diventato una palude competitiva che non rende più e non ha ulteriori sbocchi, almeno non nei prossimi dieci anni, viene declassato. Sacrificato sull’altare di una visione più alta, logica e intelligente.
Le risorse non sono infinite, perciò il Drago ha scelto di puntare non su ciò che è importante oggi, ma su ciò che sarà dominante domani.
E l’elettrico non lo sarà.
UNA LEZIONE DI REALPOLITIK INDUSTRIALE
La fine dei sussidi cinesi all’auto elettrica non è la cronaca di un fallimento, ma la dimostrazione agghiacciante di una lucidità strategica a lungo termine che le democrazie europee, imbrigliate nel ciclo breve delle elezioni e nel fanatismo dell’era von der Leyen, faticano a comprendere.
È una lezione di realtà ed efficienza industriale.
Quindici anni fa, le auto cinesi facevano ridere. Poi la Cina ha usato il denaro pubblico per creare dal nulla un’industria leader a livello mondiale, ha saturato il suo mercato interno, ha imparato tutto ciò che c’era da imparare e ora, con un pragmatismo brutale, sta lasciando che i suoi “campioni” si sbranino a vicenda per far emergere i più forti, pronti a conquistare il mondo.
Nel frattempo, sposta il suo immenso potere di investimento statale sulla prossima frontiera, quella decisiva dell’intelligenza artificiale e dei semiconduttori.
Quei cimiteri di auto elettriche sono il simbolo di un errore solo se ci si ferma all’ecosistema dell’industria automobilistica.
Ma se si apre la mente e si osserva con gli occhi di analisti capaci, quei milioni di auto invendute sono le crisalidi abbandonate di una farfalla che ha già preso il volo verso un’altra destinazione.
E il mondo, distratto dal luccichio delle carrozzerie elettriche, rischia di non accorgersi dove sta andando a posarsi.
L’Europa, come sempre negli ultimi anni, può solo fagocitare gli scarti della Cina, quelle auto che i cinesi non comprano, perché i suoi leader non possono ammettere di aver annientato l’industria del motore endotermico e non hanno le competenze per guidare il futuro.
Al massimo possono restare in attesa che la stessa Cina o gli USA ci dicano cosa comprare in futuro e su cosa investire.

Un racconto romanzato, ma autentico e narrato da chi ha vissuto in prima persona il rapimento del generale Dozier.
Uno spaccato della società italiana e un pezzo di storia di cui tanti sanno davvero poco.
Il generale a capo delle forze NATO in Europa rapito dalle Brigate Rosse, mentre gli italiani degli anni Ottanta speravano in Zoff e Rossi per l’Italia ai mondiali e gioivano per un partigiano come Presidente.
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Dott. Pasquale Di Matteo
Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.



