OTTOBRE, MORTE DELLA PROPAGANDA SULLA GUERRA IN UCRAINA

Un dato. Freddo, spietato, inappellabile.

Ottobre è stato il mese con il più alto numero di attacchi missilistici russi sull’Ucraina mai registrato.

Un’escalation del 46% rispetto a settembre. Non è un’opinione, ma matematica balistica.

È la cruda contabilità della distruzione che piove dal cielo, notte dopo notte, mentre il mondo occidentale si culla in narrazioni sempre più fragili e lontane anni luce dal salvare vite ucraine.

Questa tempesta di fuoco non è un atto casuale, ma è un messaggio strategico che lacera il tessuto della propaganda, esponendo una verità scomoda che le cancellerie e i comandi militari europei faticano a contenere.

La verità è che sul campo, lontano dalle mappe colorate, dai briefing rassicuranti e dalle sciocchezze dei giornalisti del mainstream, la situazione sta precipitando.

E in nessun luogo questa dissonanza cognitiva è più assordante che a Pokrovsk.

POKROVSK: L’EPICENTRO DELLA FRATTURA NARRATIVA

Per settimane, è stato un sussurro. Oggi è il simbolo di una narrazione che si sgretola. La gestione comunicativa della battaglia per questa città è un caso di studio da manuale su come la propaganda, sotto pressione, perda coerenza fino a diventare parodia di se stessa.

Prima, la negazione. Nessuna incursione russa.

Poi, l’ammissione edulcorata: un manipolo di 200 soldati nemici, quasi un disturbo trascurabile.

Ma la realtà sul terreno, fatta di fango, sangue e avanzate inesorabili, non si lascia imbrigliare a lungo. E così, in una danza macabra di cifre, i 200 diventano improvvisamente 11.000. Poi, con un balzo che sfida ogni logica logistica, 170.000.

Cosa ci dicono questi numeri schizofrenici?

Ci parlano di panico. Ci parlano di un comando che non controlla più la narrazione perché sta perdendo il controllo del territorio.

Per un soldato ucraino intrappolato in quella morsa, queste cifre non sono astrazioni geopolitiche, ma il suono crescente dell’artiglieria nemica, sono la consapevolezza che i rinforzi promessi potrebbero non arrivare mai, sono il presagio di un accerchiamento che i comunicati ufficiali si ostinano a negare.

Sono la sconfitta inevitabile che se ne frega della propaganda.

È la menzogna che muore nella realtà della trincea

LA PIOGGIA NON CADE SOLO DA UNA PARTE DEL FRONTE. PER LA PROPAGANDA, INVECE…

E quando la realtà diventa troppo ingombrante per essere negata, si ricorre al surreale.

L’Institute for the Study of the War, istituto d’analisi americano e lontano da qualsivoglia vicinanza a Putin, ci dice che la pioggia e la nebbia impediscono ai droni ucraini di operare efficacemente.

Fermiamoci. Respiriamo. E analizziamo.

L’istituto ammette la sconfitta degli ucraini, ma il motivo della disfatta sembra un insulto all’intelligenza. Un tentativo maldestro di attribuire al meteo le responsabilità di un fallimento tattico.

Le leggi della fisica non hanno tessera di partito e la nebbia che acceca un drone ucraino è la stessa che dovrebbe accecare un drone russo. La pioggia che impantana un veicolo ucraino è la stessa che frena un blindato russo. E, se il meteo ferma le armi NATO usate dall’Ucraina, c’è una sola spiegazione: le armi russe sono superiori.

Questa giustificazione è il preludio narrativo alla sconfitta.

È la preparazione del terreno mediatico per poter dire, un domani: “Abbiamo perso, ma è stata colpa del tempo”. Il famoso inverno russo.

È una tecnica antica quanto la guerra stessa, un’eco lontano di altre disfatte, da Kursk ad oggi, dove si è sempre cercato un capro espiatorio esterno per mascherare errori strategici o inferiorità sul campo. Inferiorità anche di quei famosi soldati dal fluente inglese madrelingua.

È il segnale più chiaro che la situazione a Pokrovsk non è solo critica, ma, con ogni probabilità, disperata.

I NUMERI NON MENTONO: L’ECONOMIA DI UNA GUERRA DI LOGORAMENTO

Torniamo al dato iniziale. Quel +46% di missili.

Mosca, conscia del logoramento delle difese aeree ucraine e del tentennamento degli aiuti occidentali, sta alzando il costo della resistenza a un livello insostenibile.

Ogni missile che colpisce una centrale elettrica, un deposito di grano o un nodo ferroviario non è solo una vittoria militare momentanea, ma un attacco diretto al PIL ucraino, un colpo al cuore della sua capacità di sostenere uno sforzo bellico a lungo termine.

È una strategia di dissanguamento economico prima che il “Generale Inverno” congeli il fronte.

L’Ucraina risponde come può. Con coraggio e intelligenza tattica, colpendo le raffinerie e i depositi di carburante russi.

Ma è una mossa asimmetrica, disperata, ma lucida, volta a intaccare la macchina economica che alimenta l’invasione.

Tuttavia, questa guerra, ormai, si combatte su due fronti: quello fisico, del territorio, e quello economico, della sostenibilità. Il record di missili di ottobre ci dice che la Russia sta spingendo sull’acceleratore in entrambi.

E l’Ucraina, come sosteniamo dal 2022, non ha alcuna possibilità di uscirne bene, se non attraverso una trattativa. Fosse anche una resa.

Perché, anche nel caso in cui la NATO desse armi più pesanti e in grado di colpire la Russia, a qual punto Mosca sarebbe autorizzata a bombardare con armi atomiche Kiev e dintorni.

L’Ucraina e gli ucraini hanno solo una via d’uscita: la pace. Giusta, ingiusta, chiamatela come vi pare, ma non esiste altra via che possa garantire la fine delle morti e la sopravvivenza del Paese.

OLTRE LA NEBBIA DELLA DISINFORMAZIONE

La verità, in guerra, non è mai pura. È un mosaico frammentato, dove ogni tessera è sporca di fango, polvere da sparo e interessi di parte. Il nostro compito, come osservatori, non è tifare. È capire.

E oggi, capire significa riconoscere l’enorme, crescente voragine tra la realtà brutale del fronte, fatta di accerchiamenti, piogge di missili e perdite umane spaventose, e le narrazioni consolatorie che ci vengono servite da chi ci ha narrato scemenze su pale e microchip.

I numeri hanno una loro ostinata onestà. E i numeri di ottobre ci raccontano una storia di escalation e pressione massima, una storia che le favole sulla nebbia a senso unico non possono più nascondere.

La prima vittima della guerra è la verità.

Ma c’è una seconda vittima: l’intelligenza di chi non riesce a riconoscere la verità e crede ancora a chi narra di controffensive, di microchip smontati dagli elettrodomestici, di Mosca al tappeto grazie alle sanzioni, di coreani in soccorso a un esercito senza più giovani da mandare al fronte, di muli usati al posto dell’artiglieria pesante distrutta dall’esercito ucraino, e alle altre, troppe, sciocchezze che una certa propaganda ha spacciato per giornalismo.

Perché, mentre i nostri illustri giornalisti ci raccontano tali sciocchezze, gli ucraini continuano a morire. E non lasciano balle su cui ridere, ma sedie vuote intorno al tavolo.

Dott. Pasquale Di Matteo

Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

Un record di missili russi in ottobre smaschera la propaganda sulla guerra in Ucraina. Mentre la narrazione ufficiale su Pokrovsk si sgretola, un'analisi tagliente svela la cruda realtà del fronte, ignorata dai bollettini ufficiali e dalle giustificazioni surreali.

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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