Un frammento tossico quel video virale di un politico italiano che, in uno studio televisivo, dà del “bugiardo” e del “propagandista putiniano” a uno degli economisti viventi più influenti sul pianeta.
Circola, questo frammento, come un meme. Viene promosso, come un trofeo di caccia. Ma è lo spettacolo imbarazzante poiché è la radiografia spietata del collasso cognitivo di un intero continente.
Quel che è andato in scena tra Carlo Calenda e Jeffrey Sachs a PiazzaPulita non è stato un dibattito, ma la manifestazione palese di una malattia autoimmune che da anni infetta la sfera pubblica europea, l’amnesia storica volontaria.
La scelta deliberata di rimuovere la complessità, di cancellare le cause, di appiattire la tridimensionalità del reale per costruire una propaganda bidimensionale.
Perché è di questo che parliamo. Della creazione di una realtà parallela, come quella in cui vivono Calenda e anche tanti italiani. E i danni sono sotto gli occhi di tutti.
IL PALCOSCENICO DOVE RECITA L’IGNORANZA
Da un lato, Jeffrey Sachs. Un uomo di settant’anni, il cui volto tradisce un misto di sconcerto e incredulità quasi accademica di fronte alle tesi squinternate di Calenda.
Lui, il professore universitario, parla di fatti, di negoziati falliti, di ingerenze documentate, di una catena di eventi che lui non ha letto sui libri, ma ha vissuto in prima persona come consulente di Gorbaciov, di Eltsin, dello stesso governo ucraino.
L’altro, l’aggressore, è Carlo Calenda, l’archetipo del decisore post-storico.
A lui non servono i fatti, perché possiede una certezza morale. La sua aggressività è una strategia comunicativa. È il rumore che copre il vuoto di argomenti, l’insulto che funge da esorcismo contro la complessità.
Il suo non è un dialogo, ma, in assenza di argomentazioni, è bullismo semiotico. Interrompere, sovrapporre la voce, sfruttare la lieve latenza della traduzione simultanea.
Non potendo vincere un dibattito contro chi conosce i fatti meglio di lui, ha puntato tutto sull’impedire che un dibattito avesse luogo. Ha difeso la narrazione della propaganda occidentale, smentita da tre anni e mezzo di fatti e realtà.
E, per difenderla, ha sacrificato la verità sull’altare dello slogan “c’è un aggredito e c’è un aggressore”.
Una frase talmente ovvia da diventare un’arma di distrazione di massa, un mantra usato per invalidare qualsiasi domanda sulle cause che hanno portato all’aggressione.
È come descrivere un incendio, ma vietando di parlare dell’innesco, del combustibile e del piromane.
I FANTASMI DEL CURRICULUM: QUANDO L’ESPERIENZA DIVENTA UN’ACCUSA
Per capire l’abisso tra i due, basta mettere in fila le biografie.
Sachs era ad Harvard, poi alla Columbia. Ha consigliato tre Segretari Generali dell’ONU. Si occupava della transizione economica della Polonia post-comunista, della Russia di Eltsin e dell’Ucraina di Kuchma quando Calenda, con rispetto parlando, affrontava un percorso liceale accidentato.
L’esperienza di Sachs non è solo un titolo, ma un archivio vivente.
Lui c’’era nei fatti e negli eventi di cui narra. La sua conoscenza non è teorica, ma empirica. Ed è proprio questo a renderlo intollerabile per Calenda e per i tanti spacciatori di fake news.
Sachs è il fantasma delle responsabilità europee e americane, la coscienza sporca di un Occidente che preferisce raccontarsi la favola della propria innocenza.
Calenda, cresciuto nei salotti buoni di una Roma influente, rappresenta una classe dirigente che ha ereditato il potere senza ereditare la cultura storica e strategica. La sua carriera, da Confindustria ai ministeri, è quella di un manager, non di uno statista.
Per un manager, il problema si risolve. Per uno statista, il problema si comprende. E la comprensione richiede memoria e, soprattutto, conoscenza della storia. Di tutta la storia, non solo di quella raccontata dall’Occidente.
SMONTARE LA MACCHINA DELLA PROPAGANDA: ENERGIA, MAIDAN E LE VERITÀ INDICIBILI
Calenda, come un disco rotto, ha riproposto lo stupidario ideologico che ha condotto l’Europa nel vicolo cieco.
La dipendenza energetica dalla Russia. La presenta come una colpa, un peccato originale di cui pentirsi.
Ovviamente, è una falsificazione storica, perché quella che Calenda chiama “dipendenza” era in realtà una “interdipendenza strategica” cercata e voluta, il pilastro del modello economico tedesco – e quindi europeo – per cinquant’anni.
Energia a basso costo dalla Russia in cambio di tecnologia e prodotti finiti dall’Europa. L’abbiamo chiamata Ostpolitik e ha garantito decenni di pace e una prosperità senza precedenti.
Rinunciarvi con un tratto di penna non è stato un colpo di genio, ma un’autoflagellazione economica. Un suicidio.
E oggi, lo stesso Mario Draghi che ci esortava a scegliere tra il condizionatore e la libertà, piange lacrime di coccodrillo sui costi energetici che stanno deindustrializzando l’Europa. Perché la coerenza è la prima vittima delle narrazioni ideologiche e mette in evidenza i cialtroni di fronte alle loro colpe.
Il momento in cui Calenda ha dato del bugiardo a Sachs è stato quando l’economista americano ha menzionato il ruolo degli Stati Uniti nel colpo di stato del 2014 in Ucraina. Calenda è esploso, affermando che furono “gli ucraini” a ribellarsi contro l’influenza russa.
Ma quella di Calenda è una menzogna storica.
I “maneggi degli americani” non sono una teoria del complotto, sono storia documentata.
Sono i 5,1 miliardi di dollari rivendicati dalla vicesegretaria di Stato Victoria Nuland per “promuovere la democrazia”. È la sua famigerata telefonata con l’ambasciatore Pyatt in cui, settimane prima della caduta del presidente Yanukovich, decidevano la composizione del futuro governo ucraino (“Fuck the EU”, ricordate?)
E “gli ucraini”? Erano un popolo spaccato in due. I sondaggi di istituti americani e ucraini (USAID, Gallup, Razumkov) di quel periodo sono incontestabili: il Paese era diviso quasi perfettamente a metà tra l’orbita europea e quella russa. Altro che rivolta contro la Russia!
L’Est e il Sud guardavano a Mosca, l’Ovest e il Centro a Bruxelles. Affermare che “gli ucraini” fossero un blocco monolitico anti-russo è un insulto all’intelligenza e alla Storia, nonché un’operazione di cancellazione di metà della popolazione di quel Paese.
Fu proprio l’interferenza esterna a far precipitare quella frattura in una guerra civile, iniziata nel Donbass nel 2014, otto anni prima dell’invasione su larga scala.
Dire queste cose, cioè raccontare la verità storica, non significa essere “putiniani”, ma essere storicamente e culturalmente onesti.
Calenda, invece offende la storia e veicola fake news in televisione. Atto gravissimo poiché, con le sue sciocchezze storiche, alimenta percezioni e idee che sono fondate su menzogne.
OLTRE IL VICOLO CIECO, O L’IRRILEVANZA
Ecco il punto. L’incidente Calenda-Sachs, amplificato da una stampa come “Il Foglio” che celebra la “messa in riga del propagandista”, rivela il meccanismo perverso: chiunque introduca dati, contesto o memoria storica nel dibattito viene marchiato come nemico.
L’etichetta di “putiniano” è la nuova scomunica, il marchio d’infamia che serve a non discutere nel merito. È l’arma che gli ignoranti hanno per non ammettere la propria ignoranza.
Ma le conseguenze non sono accademiche. Sono reali. Un’Europa senza memoria storica è un’Europa senza strategia. Un continente che non comprende come è arrivato nel vicolo cieco in cui si trova, non avrà mai gli strumenti per uscirne.
Continuerà a sbattere la testa contro il muro, raccontandosi di essere nel giusto, mentre la sua economia muore, la sua influenza geopolitica evapora e i suoi cittadini si impoveriscono.
Non sono idee o ipotesi, ma realtà he viviamo da quasi quattro anni.
Non stiamo solo bruciando i ponti con i nostri avversari, ma stiamo dando fuoco alla biblioteca della nostra stessa storia, sperando che il bagliore ci tenga al caldo per un’altra notte.
Ma dopo, raccontandoci le sciocchezze insieme ai tanti Calenda che parlano in televisione e non solo, verrà solo il buio. E il freddo.

Dott. Pasquale Di Matteo
Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.




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