CHI SEGUE LA MODA NON SI ANNOIA MAI

di Danilo Preto

Niente di più affascinante di seguire la moda in tutte le sue sfaccettature. Mi riferisco non tanto alla moda indossata, vista nelle passerelle, letta nelle riviste, visualizzata nei programmi tv dedicati e nei telegiornali, bensì a tutto quello che ruota attorno a questo mondo.

Partiamo dall’alto: dalla politica (non sembri strano), dal mercato, dalle Maison, dalle tendenze, dai “creativi”, dai produttori, dagli addetti ai lavori della filiera, ai gestori e commesse dei negozi diretti o in franchising o nei multibrand. Ovviamente parliamo di grandi firme.

E cambia tutto in poco tempo. Perché altrimenti ci si annoia

Partiamo dalla politica. Come avevamo preannunciato, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, rappresentato dal ministro Adolfo Urso, ha messo in campo quello che era stato chiesto a gran voce dal comparto moda.

Il ministero informa che è stato introdotto “un innovativo sistema di certificazione della filiera su base volontaria da parte di soggetti abilitati alla revisione legale, che verificherà la regolarità contributiva, fiscale, giuslavoristica delle imprese lungo tutto il processo produttivo dalla capofila fino ai subfornitori verificando l’assenza di condanne o sanzioni per i titolari o amministratori in materia di lavoro e sicurezza”.

Inoltre, per rafforzare la difesa della assoluta trasparenza verrà istituito un registro pubblico delle certificazioni presso il Ministero e le aziende iscritte potranno così utilizzare la dicitura “filiera della moda certificata” nelle attività promozionali.

Almeno se si voleva un intervento legislativo a difesa del Made in Italy, ora c’è.

Vi ricorderete che sei Maison italiane erano state accusate dal Tribunale di Milano di non rispettare le regole sul lavoro in fatto di produzione dei loro capi ed erano state poste in amministrazione giudiziaria?

La richiesta di una normativa a difesa di chi si sentiva depauperato del loro corretto comportamento sulla filiera di produzione, era partita immediatamente e prontamente Adolfo Urso ha presentato un disegno di legge in difesa del comparto.

E come risponde il mercato?

Sul fronte del mercato, c’è tutta una lettura o riscrittura tendente ad avvicinare un nuovo approccio al consumo, alcuni dicono all’ingordigia, di possedere nuovi capi firmati.

Via quindi al nuovo poderoso mercato del riuso e del second hand milionario dove anche le grandi aziende della moda ricorrono per tentare di recuperare le perdite subite nelle loro abituali tranche di acquirenti.

Al di là delle Fashion Week europee, asiatiche, americane e Centro/Sudamericane, la parola d’ordine oggi sembra sia “stanchezza”.

Perché è cambiato il modo di vivere, di ragionare, di comportarsi, di relazionarsi, di rimanere al passo con i tempi sempre più veloci e imprevedibili.

Non ci pensa nessuno. O facciamo finta che…

Eppure la geopolitica è cambiata e con essa anche il consumo di moda. Forse sta arrivando una ondata di revisionismo positivo aspetto alla tracotanza comportamentale proposta dalla moda dagli anni ‘30 fino ad oggi.

Il mondo è cambiato, i consumatori sono cambiati. Che sia arrivato il momento di rivedere globalmente il nostro modello di vita? Meno sfarzo, più positività, più democrazia, più condivisione economica e finanziaria e di reddito pro-capite è ancora possibile?

Il numero di guerre dichiarate o latenti, di genocidi, di sopraffazioni imposte dalla religione o da lotte etniche, tribali che sembravano essere scomparse nel fumo del tempo, ci stanno ad indicare che nulla è cambiato, e i continui successi vantati in molti campi, niente hanno a che vedere/mitigare con l’attuale tragica situazione globale.

Le Maison: queste conosciute

I nomi sono sempre gli stessi, da una vita o quasi. Nomi nuovi? Beh, si. Se poi il mondo si divide in due grandi concentrazioni e molti piccoli/medi produttori, che comunque hanno il loro grande significato in termini di proposte nel tentativo di scrivere nuovi capitoli, capiamo bene come sembra sia tutto comprensibilmente ingessato.

LVMH e KERING la fanno da padrone in termini di fatturato e di confronto (anche fra di loro) rispetto al possesso dei brand più iconici e storici. Gucci, Prada, Valentino,..

Non sono tutte rose e viole

Anzi per la verità sembrano esserci più spine che polpa visti i risultati dichiarati, tant’è che spesso bisogna ricorrere a profondi cambiamenti strutturali o a qualche rinuncia importante all’interno dei bilanci delle griffe blasonate.

Vale soprattutto per gli immobili di prestigio e per le loro collocazioni sulle mainstreet della moda. Milano, Parigi, Londra, New York… Il ricorso a Luca De Meo, ex pupillo di Sergio Marchionne in Fiat ed ex AD di Renault ed ora amministratore delegato di kering la dice lunga.

De Meo ha dichiarato che bisogna dedicare molte più ore al lavoro e migliorarne la qualità.

Chiaro? Una ricetta, un richiamo?

Colpa degli stilisti? Pardon, marketing manager con la matita facile?

Un fragoroso rimescolamento di posizioni in tempi così brevi fra gli   stilisti della moda non si era mai vista. Ovviamente c’erano i nuovi, anche dei riciclati dei quali però ci si fidava inizialmente poco, ma non i riciclati di professione.

È solo un problema economico o va rivisto completamente il comparto moda in ambito globale?

La sensazione è quella, da parte del comparto, di non riuscire più a capire completamente dove va il mondo che si veste, che decide cosa comperare rispetto a quello che ha in tasca e ai valori, non solo estetici, espressi dai brand.

Il tutto bianco o comunque dello stesso colore imperante a Milano e a Parigi nelle ultime sfilate, lascia un po’ allibiti e un po’ sconcertati visto che si è ricorso abbondantemente a tutto quello che era stato creato negli anni del boom economico e quindi della moda.

Abbiamo pescato proprio nel profondo dello storico, negli esordi.

E cosa ci è rimasto ora di nuovo se non l’utilizzo di materiali diversi, di stravaganze poco gradite, anche da chi vorrebbe uniformarsi e diventare il protagonista per strada di quello che ha visto sui giornali o in televisione lustrandosi gli occhi e sperando che qualcuno noti la sua nuova mise.

Se poi incautamente abbiamo mangiato una pastasciutta abbondante e ricca o bevuto una birra di troppo, potremmo tranquillamente essere annoverati nelle/nei curvy. Non preoccupatevi.

Eppure tutto va bene se si vende qualcosa a qualcuno che ha ancora qualche soldo in tasca da spendere facendo contente le Maison, invidiare gli amici e appagando il proprio ego.

Il mondo va avanti in ogni caso. Griffe o non griffe. 

Guerre permettendo.

Dott. Danilo Preto

Giornalista pubblicista, Scienze Politiche, Esperto di Comunicazione e arte concettuale.

Un'analisi critica sull'industria della moda tra certificazione di filiera, leggi sul Made in Italy, mercato del riuso e lo stordimento di un settore in cerca di una nuova identità. Per chi non si accontenta delle superfici.

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