DA BERLINO A WASHINGTON, PASSANDO PER BRUXELLES, LE VOCI DI NATO E UE SULLA MINACCIA RUSSA SI CONTRADDICONO, SI SMENTISCONO E SI SOVRAPPONGONO. NARRAZIONI ILLOGICHE E TATTICHE DIPLOMATICHE CHE, NEL TENTATIVO DI MOSTRARE FORZA, RIVELANO UNA PROFONDA DEBOLEZZA STRATEGICA E ALLONTANANO OGNI SOLUZIONE NEGOZIATA.
In questi giorni, sembra che l’Occidente stia facendo di tutto per evitare la diplomazia.
È un copione. Ogni qualvolta all’orizzonte si profila il fantasma di un negoziato, un incontro, una telefonata, una timida apertura, l’apparato politico e mediatico euro-atlantico attiva un meccanismo di disturbo quasi pavloviano.
Una cacofonia controllata, studiata per alzare il volume del conflitto e rendere il silenzio del dialogo inascoltabile.
L’ultimo atto di questa strategia è andato in scena con la notizia del congelamento dell’incontro tra i ministri degli esteri di Stati Uniti e Russia, un vertice che avrebbe dovuto essere il preludio a un possibile, per quanto improbabile, summit tra Trump e Putin.
Annullato. Sospeso. In dubbio.
La motivazione ufficiale, secondo la CNN, è che “Mosca chiede troppo”. Ma la vera domanda non è cosa chieda Mosca, ma perché l’Occidente sembri così terrorizzato all’idea di sedersi ad ascoltarla.
Che poi, le richieste di Mosca sono le medesime del 2022, con la differenza che, se fossero state ascoltate allora, ci sarebbero decine di migliaia di giovani ucraini ancora vivi e un 20% di territorio del Paese ancora sotto il controllo di Kiev.
Ma quanto accaduto dopo l’annuncio dell’incontro tra Mosca e Stati Uniti in Bulgaria non è che la punta di un iceberg di contraddizioni che, sotto la superficie, vede l’enormità di una profonda, quasi patologica, dissonanza cognitiva.
L’ALLARMISMO TEDESCO CONTRO IL PRAGMATISMO AMERICANO
La partitura della paura viene suonata con più vigore a Berlino. I servizi segreti tedeschi (BND) hanno appena lanciato l’ennesimo allarme da propaganda: la Russia si starebbe preparando a un conflitto militare diretto con la NATO, forse anche prima del 2029.
È una melodia che suona come un ritornello di Sanremo per scuotere le coscienze, per giustificare il dispendiosissimo riarmo, per mantenere alta una tensione che serve a compattare un’alleanza altrimenti sfrangiata.
Ma da Washington arriva una musica diversa. Più sorda. Più pragmatica. Donald Trump, pur rassicurando la Finlandia, ammette candidamente: “Non credo che lo farà”. Non crede che Putin attaccherà. E, visto che pare che i due si sentano spesso al telefono, c’è da credergli.
Una singola frase che smonta mesi di allarmismi. Gli fa eco il presidente finlandese Alexander Stubb, l’uomo che vive sul confine più caldo d’Europa, minimizzando il rischio di una “minaccia militare imminente”.
Chi ha ragione? Forse nessuno. O forse entrambi.
Perché queste sono due visioni del mondo inconciliabili che operano sotto lo stesso ombrello militare.
Una vive nell’ansia perenne dell’apocalisse imminente, l’altra la considera un’ipotesi remota da gestire con la deterrenza. Questa schizofrenia strategica è il primo, fondamentale errore che paralizza l’Alleanza.
IL PARADOSSO STRATEGICO DI MARK RUTTE
Se c’è una figura che incarna questa dissonanza, è il Segretario Generale della NATO, Mark Rutte, un funambolo che cammina su un filo teso tra l’arroganza e il terrore, e le sue parole sono la colonna sonora di questa confusione.
Da un lato, suona l’inno della superiorità. La NATO, ci dice, è “molto, molto più forte” della Russia. Così forte che per Putin attaccare sarebbe “idiota”. È una dichiarazione di potenza, un messaggio di fiducia granitica.
Pochi istanti dopo, però, Rutte stesso intona il lamento della vulnerabilità. Parla dei missili ipersonici russi, capaci di colpire Roma o Amsterdam a velocità inaudite, “impossibili da intercettare”.
Ammette, di fatto, che le capitali che dovrebbe difendere sono indifendibili.
In pratica, Rutte 2 dà dell’incompetente a Rutte 1.
Come può una superpotenza militare essere allo stesso tempo invincibile e nuda di fronte al nemico?
Questa non è una gaffe comunicativa, ma un cortocircuito. È la confessione involontaria di una narrazione che non sta più in piedi.
LE AMMISSIONI DI DEBOLEZZA DELL’UE
A demolire ulteriormente la facciata di onnipotenza arrivano le note stonate degli stessi membri dell’orchestra.
Il Commissario europeo alla Difesa, Andrius Kubilius, confessa due verità devastanti. La prima: la Russia produce in tre mesi più munizioni di tutta la NATO (Stati Uniti inclusi) in un anno.
È un’ammissione di inferiorità logistica e industriale che fa impallidire qualsiasi vanto di superiorità tecnologica e smonta ogni scemenza veicolata per decenni da Hollywood.
La seconda: l’Europa non è pronta a difendersi da attacchi banali come droni lanciati da navi portacontainer.
Mettiamo insieme i pezzi. La NATO si descrive invincibile, ma cammina con il deambulatore.
È “molto più forte” di un nemico che però la surclassa nella produzione bellica essenziale e che può colpirla impunemente con armi per contro cui non ha alcuna difesa. La dissonanza diventa vertigine.
OLTRE L’INCOMPETENZA, UNA TATTICA PER NON FARE LA PACE?
Qui le due analisi, quella delle contraddizioni palesi e quella delle manovre diplomatiche, si fondono in una tesi terribile. La confusione se non è soltanto il frutto dell’incompetenza, è uno strumento.
La cacofonia, allora, non è un errore, ma una strategia per evitare il silenzio del tavolo negoziale. Esiste una “Formula del Sabotaggio” che scatta puntuale.
Per prima cosa, si alza il volume dello scontro verbale. Si agita lo spettro dell’invasione, si demonizza l’avversario, si esclude ogni compromesso.
Poi si annunciano nuove sanzioni, si parla di nuovi pacchetti punitivi, si irrigidisce la postura economica per rendere ogni accordo più costoso e politicamente insostenibile.
Infine si accusa la Russia di non volere la pace, usando come prova il fatto che continua a combattere. Un’argomentazione surreale che ignora la logica stessa della guerra: chi è in vantaggio sul campo non si ferma per gentilezza.
Il metronomo della morte, intanto, continua a scandire il tempo sui campi dell’Ucraina, a cancellare vite di giovani e meno giovani rapiti per le strade delle città ucraine e mandati a morire al fronte.
La verità è che l’Occidente è prigioniero di una narrazione che ha costruito e da cui non sa come uscire. I leader europei avevano promesso vittoria con sanzioni e aiuti, mettendoci la faccia, e ora non possono accettare nessuna pace che non sia la resa della Russia.
Ecco perché l’Europa è destinata a morire: politicamente, in caso di una pace, o spazzata via con la forza dei missili, in caso di escalation.
L’Occidente è sospeso tra la propaganda di una vittoria militare che sa di non poter raggiungere e una pace che non vuole e non può accettare per non dover vedere la sua intera classe politica abdicare per manifesta incompetenza.
In questa paralisi, ogni dichiarazione contraddittoria sulla Russia, ogni allarme esagerato di droni e sconfinamenti, ogni sabotaggio di un potenziale dialogo non è altro che un modo per prendere tempo.
Tempo comprato con il sangue degli ucraini, sacrificati sull’altare di una strategia che non esiste. E questa, più di ogni missile ipersonico, è la vera, tragica, vulnerabilità dell’Occidente.
Perché una cosa è certa: ai leader europei interessano tante cose dell’Ucraina, ma certamente non le vite degli ucraini.
Allora, chi è il vero nemico degli ucraini?

Dott. Pasquale Di Matteo
Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.




Una opinione su "IL VERO NEMICO DEGLI UCRAINI. LA DISSONANZA OCCIDENTALE CHE SABOTA LA PACE IN UCRAINA"