Nelle stanze del potere, le parole pesano più delle bombe.
E in questi giorni, le parole stanno affondando qualsiasi speranza di pace in Ucraina. L’annunciato vertice di Budapest tra Trump e Putin slitta, forse salta.
Per ora. L’incontro tra Lavrov e Rubio anche. Il cessate il fuoco immediato è stato rifiutato da Mosca, come d’altro canto, è sempre stato fatto in precedenza.
LA DIPLOMAZIA COME ARMA DI GUERRA
Sergei Lavrov non incontrerà Marco Rubio. Il ministro degli Esteri russo ha spiegato al segretario di Stato americano che un cessate il fuoco immediato “non risolverebbe le cause profonde del conflitto”.
Un cessate il fuoco senza garanzie certe per la Russia, servirebbe solo a Ucraina e NATO per riorganizzarsi dopo i disastri al fronte delle ultime settimane.
L’Europa, sempre più in crisi finanziaria, discute di utilizzare gli asset russi per inviare soldi in Ucraina e vieta ai paesi membri l’acquisto di gas e petrolio russo per sempre; come risposta, il vice ministro degli Esteri russo Serghei Ryabkov ha definito l’Ue “la forza più distruttiva sulla scena internazionale”.
Un linguaggio da Guerra Fredda che la dice lunga sull’atmosfera tossica in cui navigano i colloqui.
IL LABIRINTO DELLE CONTRADDIZIONI
La Casa Bianca dichiara: “Nessun incontro Trump-Putin nell’immediato futuro”.
Ma poche ore dopo, è lo stesso Trump a precisare: “Sto valutando, non voglio sprecare un incontro”.
Contemporaneamente, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov avverte: “Serve una preparazione seria”.
E il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó accusa “l’élite politica pro-guerra” di diffondere fake news per affossare il vertice.
Siamo in un labirinto di specchi dove ogni affermazione nega la precedente.
Un caos comunicativo che non è casuale, ma è una strategia precisa per guadagnare tempo, logorare l’avversario e preparare il prossimo colpo di scena. Da ambo le parti.
LE RADICI VELENOSE DEL CONFLITTO UCRAINO
Quando Lavrov parla di “cause profonde”, sappiamo esattamente a cosa si riferisce: l’espansione della Nato a Est e la possibile adesione dell’Ucraina.
Fonti del Wall Street Journal rivelano che Trump non avrebbe detto a Zelensky soltanto che non gli darà i Tomahawk, ma anche che il ritorno del Donbass all’Ucraina “non è una priorità”.
Significa che Washington sta considerando di sacrificare una parte dell’Ucraina per “risolvere rapidamente il conflitto”.
È la realpolitik nel suo aspetto più crudo: i grandi decidono, i piccoli subiscono. Così, almeno, va il mondo dalla notte dei tempi, anche se i leader europei sembrano non averlo mai studiato.
IL PIANTO DELL’UCRAINA E IL CORO DELL’EUROPA
Mentre i giganti si affrontano, Kiev e i suoi alleati europei lavorano a un piano di pace in 12 punti.
Una dichiarazione congiunta tra Zelensky e i leader europei ribadisce principi sacrosanti: “I confini internazionali non devono essere modificati con la forza”.
Princìpi che, tuttavia, valgono zero di fronte alla storia degli ultimi 10000 anni, compresi gli ultimi 100.
L’Europa prova a ritrovare una voce propria, ma appare divisa, incerta, goffa e storicamente ignorante, troppo legata agli umori di Washington e alle mire belligeranti di von der Leyen, Kallas & lobby della guerra.
L’EREDITÀ AVVELENATA DELL’ALASKA
Lavrov ha tirato fuori l’asso nella manica: gli “accordi raggiunti durante le lunghe trattative” tra Putin e Trump al vertice di Ferragosto in Alaska. Secondo il ministro russo, anche Trump avrebbe sostenuto che “serve una pace duratura e sostenibile e non un immediato cessate il fuoco”.
Mentre in Europa si straparla, questa è la prova che esiste un canale preferenziale tra Mosca e Washington, che bypassa alleati e istituzioni internazionali. Una diplomazia parallela, opaca, pericolosa. Ma l’unica diplomazia che decide e deciderà del conflitto.
LA SCOMMESA PERICOLOSA DI TRUMP
Il presidente americano cammina su un filo sospeso sopra l’abisso.
Da un lato, vuole mostrarsi come l’artefice di una pace storica, dall’altro, rischia di legittimare l’aggressione russa e di tradire un alleato.
“Non voglio sprecare un incontro”, dice. Anche perché, ogni giorno di ritardo della pace significa più vittime ucraine, più distruzione, più instabilità.
E più pacchetti di sanzioni suicide dell’Europa che chiudono contratti con la Russia per aprirli con gli USA.
Trump punta a uscire dal conflitto con un successo diplomatico da mostrare in campagna elettorale, anche a costo di concedere qualcosa a Putin. Una scommessa che potrebbe costare cara alla sicurezza europea, ma che sposterà flussi di denaro europeo dalla Russia all’America.
IL PREZZO DELL’INDIFFERENZA
Mentre i leader discutono, le bombe continuano a cadere. Mentre i diplomatici si incontrano e disdicono incontri, il sangue scorre.
È il rituale della diplomazia che punta a soldi e interessi.
Trump vuole contratti e una pace da spendere nelle elezioni, gli Europei vogliono una guerra per dare lavoro alle industrie annientate dalle politiche scellerate di von der Leyen. Putin non vuole la NATO ai suoi confini, proprio come gli USA non vollero l’URSS a Cuba, Zleensky non vuole la pace per non finire la sua avventura politica.
E a pagarne il prezzo sono gli ucraini con la vita e gli europei con i soldi.

Dott. Pasquale Di Matteo
Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.




