L’EUROPA CHIEDE ALLA RUSSIA I DANNI PER RICOSTRUIRE L’UCRAINA. E I DANNI CAUSATI DA ISRAELE A GAZA?

Mentre l’Europa chiede a Mosca di pagare per la terra bruciata di Kiev, su Gaza si glissa, un po’ come quando una donna conferma la sua età in un borbottio sommesso.

Eppure, c’è un odore che accomuna i campi di grano del Donbass e le macerie lasciate a Gaza. L’odore acre della terra violata. Della polvere di vite sbriciolate. Decine di migliaia di innocenti ammazzati, tra cui molti bambini.

È il lezzo chimico di un futuro avvelenato.

Ma la giustizia, oggi, è diventata un menù à la carte. E l’Europa sceglie la portata a seconda della convenienza. E il prezzo è dato da amicizie e opportunismo.

UCRAINA: LA FERITA APERTA D’EUROPA

La terra sanguina. Non è una metafora. In Ucraina, il conflitto ha scatenato un assalto sistematico all’ecosistema.

Parliamo di danni ambientali stimati tra i 65 e i 108 miliardi di euro. Un numero astratto, che si traduce in problemi concreti. Le miniere di carbone del Donbass, bombardate e abbandonate, stanno rilasciando metalli pesanti nelle falde acquifere.

Si tratta di un ecocidio silenzioso, una guerra combattuta non soltanto con i missili, ma anche con i veleni che filtrano lenti e inesorabili, condannando le generazioni future a bere e coltivare da una terra malata.

Abbiamo perso quasi 2000 chilometri quadrati di foreste, un’area grande quanto mezza Valle d’Aosta. Non sono solo alberi. Sono i polmoni di una nazione, regolatori climatici, filtri naturali che ora non esistono più. È una cicatrice indelebile sul volto del continente.

E poi c’è il conto della ricostruzione, un conto salato, da 524 miliardi di dollari secondo la Banca Mondiale.

81 solo per ridare un tetto a chi l’ha perso. Settantacinque per ricostruire le arterie di una nazione: strade, ponti, ospedali. Le regioni orientali e meridionali, come Kharkiv, Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia, Kherson, sono epicentri di una distruzione che da sola vale 248 miliardi di dollari.

Di fronte a questa devastazione, la narrazione occidentale è monolitica, chiara, giusta nella sua premessa: la Russia, l’aggressore, deve pagare. I beni russi congelati sono il pegno, il primo acconto per un debito di guerra che è materiale e morale.

La linea è tracciata. C’è un colpevole. C’è una vittima. C’è un percorso per la giustizia.

Le repliche russe in merito all’accerchiamento della NATO vengono rispedite al mittente, perché il Diritto internazionale vieta l’uso della forza.

Applausi. Sipario.

Ma il mondo è più grande del palcoscenico europeo.

GAZA: ANATOMIA DI UN ANNIENTAMENTO

Spostiamo lo sguardo di qualche migliaio di chilometri a sud. Verso una striscia di terra lunga 41 chilometri. Un tempo, un luogo brulicante di vita, sebbene fosse una prigione a cielo aperto. Oggi, è diventat una tomba a cielo aperto.

A Gaza i numeri perdono di significato, diventano pornografia del dolore.

69.000 morti. Stime di organizzazioni internazionali, di medici e volontari umanitari di diverse parti del mondo ipotizzano numeri anche superiori al doppio.

Non meno di 160.000 feriti. 300.000 case distrutte, ovvero l’universo privato, i ricordi, il futuro di quasi due milioni di persone disintegrati.

La Banca Mondiale stima un costo di ricostruzione tra i 53 e gli 80 miliardi di dollari, ma come si può prezzare l’annientamento di una società a livello morale? Come si può quantificare il danno di questo genocidio?

37 milioni di tonnellate di macerie. È più del doppio del peso di tutte le piramidi di Giza. Rimuoverle richiederà decenni e produrrà 90.000 tonnellate di CO2, l’equivalente delle emissioni annue di una piccola città.

Chi pagherà per questo ulteriore danno all’ambiente?

Ma questo è solo l’inizio. Sotto quelle macerie si nascondono amianto, metalli pesanti, residui di ordigni. Un cocktail tossico che il vento solleva e la gente respira.

Le infrastrutture idriche e fognarie sono collassate, riversando liquami non trattati direttamente nel Mediterraneo. Non è un problema di Gaza. È un problema nostro, di tutto il bacino.

La guerra a Gaza ha avvelenato il nostro mare. L’80% del patrimonio arboreo di Gaza è stato cancellato. Alberi da frutto, ulivi secolari. Sradicati. Bruciati. Un deserto che avanza.

Questo non è un ecocidio. È la distruzione deliberata delle condizioni minime per la vita.

IL DOPPIO STANDARD DELLA BILANCIA MORALE

Eppure qui, la narrazione giustizialista europea si fa silenziosa. Esitante.

Per l’Ucraina, la richiesta di risarcimento è un imperativo morale, un pilastro del Diritto internazionale. Giusto.

E per Gaza?

Chi paga per Gaza?

La domanda resta sospesa in un vuoto assordante, riempito da distinguo geopolitici e bizantinismi diplomatici. Tanti, troppi, in Occidente applaudono oggi alla resa di Hamas, venduta come una “pace giusta”.

Certo, la fine del massacro è una vittoria per Trump e per l’umanità. Salva vite. Ferma il genocidio in atto. È un bene assoluto.

Qualunque pace è sempre meglio di qualsiasi guerra. E solo un cretino o chi ha interessi nelle fabbriche di armi può sostenere il contrario.

Tuttavia, Benjamin Netanyahu, l’architetto di questa devastazione, l’esecutore e mandante di quanto capitato a Gaza è un uomo ricercato dalla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità.

Non è un’opinione. È un atto formale dell’organo di giustizia globale che l’Occidente stesso ha contribuito a creare e che sostiene, a giorni alterni.

Per parlare di Putin, è il più alto tribunale al mondo. Per parlare di Netanyahu è una banda di depravati a cui affibbiare sanzioni.

Per l’invasore dell’Ucraina, sanzioni, armi agli aggrediti e mandati di cattura. Per il distruttore di Gaza, strette di mano, accordi di resa… di pace e guerra a chiunque dissenta e tifi per gli aggrediti.

Questa asimmetria non è solo un’incoerenza politica. È il crollo dell’architrave morale su cui dovrebbe reggersi l’ordine internazionale. È un messaggio devastante inviato al mondo: la giustizia non è cieca. Ci vede benissimo e ha un occhio di riguardo per gli amici.

RICOSTRUIRE SULLE MACERIE DELL’IPOCRISIA

Sia in Ucraina che a Gaza, la ricostruzione sarà un affare colossale, un orizzonte decennale che attirerà capitali pubblici e privati. Ma cosa ricostruiremo?

Palazzi, scuole, ospedali? Certo.

Ma se lo faremo senza ricostruire un senso di giustizia universale e morale, edificheremo solo castelli di sabbia su fondamenta di ipocrisia. Strade, palazzi città pronti a essere distrutti prossimamente.

La ricostruzione di Gaza, in particolare, rischia di diventare un paradosso crudele, un progetto “sostenibile” per un popolo a cui è stata negata la sostenibilità della vita stessa, finanziato da quegli stessi attori internazionali che sono rimasti a guardare mentre il territorio veniva raso al suolo.

E ancora stanno a guardare mentre Israele non rispetta gli stessi accordi di pace per cui tutti festeggiano come a Capodanno.

Ma se vogliamo essere giusti, non possiamo separare i mattoni dal Diritto. Non possiamo parlare di miliardi di euro ignorando i principi che dovrebbero governare le relazioni tra i popoli.

OLTRE I NUMERI, L’UMANITÀ

Lasciate perdere per un istante i miliardi, le tonnellate, i chilometri quadrati. Pensate a un bambino di Kharkiv che non può più giocare nel bosco dietro casa perché è pieno di mine. Pensate a un bambino di Gaza che beve acqua contaminata e respira polvere di amianto.

Ammesso che a casa abbia ancora genitori che lo aspettano e non siano tra le migliaia di vittime dell’esercito israeliano.

Le loro sofferenze non hanno nazionalità. Il loro futuro rubato non ha colore politico.

Il costo reale di queste guerre non è nei bilanci della Banca Mondiale, ma nell’erosione del nostro senso di umanità. È nella credibilità perduta di un sistema che predica regole e pratica eccezioni.

Il silenzio ha un prezzo.

E lo stiamo già pagando tutti. E il conto è sempre più salato.

Dott. Pasquale Di Matteo

Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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