C’è del metodo nelle supercazzole che ci raccontano. Non c’è dubbio.
D’altronde, sono professionisti. C’è stato un tempo in cui facevano informazione.
O forse, più semplicemente, c’è solo follia e bisognerebbe prescrivere psicofarmaci a volontà.
La cronaca propagandata nelle ultime ore, quella che dovrebbe informarci sui destini del mondo, somiglia sempre più a un remake non autorizzato di un vecchio film a episodi, con Enrico Montesano.
Ricordate? Ne abbiamo già scritto. Il copione della propaganda occidentale è sempre più simile a Io Tigro, Tu Tigri, Egli Tigra, film a episodi in cui un manipolo di bersaglieri italiani, smarriti durante un’esercitazione, entra per sbaglio in Svizzera per comprare sigarette.
Per una serie di esilaranti equivoci e per l’incapacità del personaggio interpretato da Montesano, si generano panico nazionale, coprifuoco, l’annuncio televisivo di “tre milioni di soldati italiani” pronti a conquistare Bellinzona.
Una farsa. Da ridere a crepapelle, se non fosse che oggi, con comici infinitamente meno talentuosi, stiamo mettendo in scena lo stesso copione. Solo che non si ride più.
Perché la Svizzera, oggi, è l’Europa intera. E i bersaglieri, beh, sono russi. Ovviamente.
IL CASUS BELLI PER LA GUERRA ALLA RUSSIA: SETTE UOMINI E UNA STRADA DI CAMPAGNA
Tenetevi forte. È successo un fatto gravissimo.
Una di quelle azioni di guerra che tengono svegli la notte i generali della NATO e fanno vendere copie ai giornali che ancora usano la carta. In Estonia, le autorità locali hanno temporaneamente chiuso un tratto di strada al confine con la Federazione Russa.
Chiuso. Sbarrato.
Ma perché?
Le prodi guardie di frontiera, hanno avvistato sette (7) militari russi. Armati. Al di là del confine, in territorio russo. Cioè a casa loro.
Speriamo che i russi non abbiano avvisato i rispettivi superiori di aver avvistati militari estoni in territorio estone, altrimenti è la fine ed entriamo in guerra.
Sette. Soldati. Russi. Sul. Territorio. Russo.
Roberto Micozzi (Alias Enrico Montesano) la leggerebbe come una provocazione intollerabile. Una minaccia diretta alla sicurezza dell’Alleanza Atlantica.
Sette uomini, probabilmente i sette cavalieri dell’apocalisse in incognito, Rambo super addestrati e implacabili che osano passeggiare armati a casa loro.
E noi, dall’altra parte del filo spinato, abbiamo giustamente reagito chiudendo un chilometro di asfalto. Una mossa strategica di rara arguzia, un segnale inequivocabile a Putin: non ci farete paura. Almeno non su quella specifica striscia di catrame.
Anche se i sette, probabilmente, curano le ferite dandosi fuoco e mettono in scacco migliaia di uomini con del filo di ferro e qualche granata.
È la dottrina della deterrenza di Bellinzona: loro cercano sigarette, noi chiudiamo il tabaccaio. Geniale.
L PRECEDENTE POLACCO: CACCIA AL DRONE DI POLISTIROLO
Questa psicosi, del resto, non nasce dal nulla. È figlia di una narrazione coltivata con cura, innaffiata ogni giorno da dispacci di agenzia e analisi da salotto televisivo.
Ricordiamo, solo poche settimane fa, l’intera NATO in subbuglio per una ventina di droni di polistirolo lanciati sulla Polonia. Oggetti da mille euro, forse meno.
La risposta NATO è stata affidata a caccia militari in decollo immediato, missili da svariati milioni di euro per abbattere giocattoli che, beffardamente, hanno causato più danni autoinflitti dai missili di quei caccia – tetti sfondati, conigliere centrate in pieno – che altro.
Abbiamo dimostrato al mondo di essere disposti a spendere il PIL di una piccola nazione per disintegrare un aeromodello. Non è magnifico? Questo non è solo potere militare, è una dichiarazione di intenti economici. Una performance artistica sul tema dello spreco, finanziata dal contribuente.
E alla faccia delle politiche green. O i caccia vanno a pannelli solari?
DALLA REALTÀ ALLA “FASE ZERO”: LA GUERRA PSICOLOGICA (SU DI NOI)
Ma non temete, c’è una spiegazione accademica a tutto questo. I think tank, quegli oracoli moderni pagati per dare un nome altisonante al panico, l’hanno battezzata “Fase Zero”. Roba da ridere a crepapelle, se fosse un remake del film con Montesano.
Secondo l’Institute for the Study of War (ISW), questi non sono incidenti isolati, ma attacchi ibridi, segreti e palesi – rileggete: segreti, ma palesi – con cui la Russia prepara le “condizioni informative e psicologiche” per una futura, inevitabile, guerra contro la NATO.
Guerra che la Russia dovrebbe portare avanti armata solo di pale, a dorso di muli e con l’economia al collasso, secondo le notizie che ci danno gli stessi narratori di supercazzole.
È una costruzione narrativa sublime.
I sette soldati non erano di pattuglia, ma stavano “plasmando la percezione psicologica” degli estoni. I droni in Polonia non erano semplici incursioni, bensì “operazioni informative cinetiche”.
Grazie a questa neolingua da manuale di controspionaggio, ogni evento, per quanto insignificante, diventa una tessera del mosaico del male.
Il nemico perfetto, invisibile ma onnipresente, segreto ma palese. Così palese che, a volte, sono i nostri stessi missili a colpire il nostro territorio, ma la colpa è sempre e comunque di Mosca. Vuoi mettere?
IL RIARMO EUROPEO: UNA CORSA AGLI ARMAMENTI SENZA BERSAGLIO (O QUASI)
E a chi giova tutto questo teatro dell’assurdo?
La risposta è sempre la stessa: al complesso militare-industriale.
Mentre ci si spaventa per sette bersaglieri in libera uscita, l’Europa si lancia in un riarmo da 800 miliardi, puntando al 5% del PIL per le spese militari.
Ma quale Europa? Quella unita? Macché.
La Germania si azzuffa con la Francia sui carri armati del futuro, l’Italia cerca di piazzare i suoi pezzi e ogni nazione gioca la sua partita per assicurarsi una fetta della torta.
Non si sta costruendo un esercito europeo, si sta alimentando una dozzina di industrie nazionali in competizione tra loro nel nuovo business, dopo che von der Leyen e la sua commissione hanno affossato l’automotive per costruire automobiline a batterie.
Pertanto, la minaccia russa è puro marketing, diventa il più grande spot pubblicitario della storia per la vendita di armi. Un mercato, non una difesa. E noi paghiamo il biglietto.
MENTRE LA LOGICA VA IN LICENZA PREMIO E CI VENDONO COMICITÀ SPACCIANDOLA PER REALTÀ
Il punto, sociologicamente devastante, è che tutto questo funziona. Funziona perché, forse, la nostra capacità collettiva di discernimento è stata erosa. Fritta. Bruciata da anni di scroll infinito su TikTok, Facebook e Instagram, dove la soglia di attenzione di un pesce rosso è un lusso e la complessità è nemica del like.
Se un video di 15 secondi è troppo lungo per arrivare al punto, se perfino le basi della logica sono equazioni che riempiono una lavagna, se le basi della conoscenza storica mancano palesemente, come possiamo pretendere di analizzare uno scenario geopolitico?
Allora, è più facile, più comodo, accettare la favola. Il buono contro il cattivo. I tre milioni di bersaglieri alle porte.
Mentre giustifichiamo la distruzione di Gaza con la presunta scarsa qualità dei materiali edili di Hamas – un’argomentazione che meriterebbe un posto d’onore nel museo della disonestà intellettuale, e, magari, anche in qualche cella, in rispetto del Diritto internazionale – e ci prepariamo a una guerra totale per sette soldati che passeggiano nel bosco di casa loro, il dubbio sorge spontaneo.
Forse, come nel film, anche loro volevano solo delle sigarette. Volevano solo chiedere un’indicazione.
Ma nessuno, a quanto pare, parla più la lingua del buonsenso, ma chi comanda ha in mano calcolatrici e aziende di armi da mandare avanti.
E questa, signori, è l’unica, vera, terrificante minaccia che dovremmo temere.

Dott. Pasquale Di Matteo
Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.



