COME I LEADER EUROPEI HANNO SPRECATO LA PACE E VENDUTO UN FUTURO MAI ARRIVATO
Febbraio 2022.
I palazzi del potere di Bruxelles, Parigi e Berlino diffondevano una certezza quasi arrogante.
I loro eroi di retorica ripetevano come mantra che le sanzioni “dagli effetti dirompenti”, “senza precedenti”, avrebbero messo in ginocchio l’economia russa in pochi mesi, entro il 2022, costringendo il Cremlino a ritirarsi dall’Ucraina.
Era la narrazione ufficiale. Una narrazione crollata sotto il peso della realtà e dei fatti, che hanno la triste abitudine di presentare il conto e di porre ogni pagliaccio nel suo circo.
Questo errore di calcolo dei leader europei – e dei tanti giornalisti prestatisi a fare loro da megafono anziché da cani da guardia -, tanto colossale quanto imbarazzante, è il sintomo di una malattia perniciosa, che affligge l’intero corpo occidentale da trent’anni.
L’incapacità di prevedere la reale forza di Mosca è l’epilogo di decenni di auto-inganno, un lungo sonno dogmatico in cui la classe dirigente europea ha scambiato le proprie pie speranze per analisi strategiche.
In sostanza, la politica occidentale è stata non dissimile alle pubblicità che spacciano i bambini felici di andare a scuola perché possono mangiare prima una buona merendina.
Hanno sognato un mondo a loro immagine e somiglianza e hanno smesso di guardare quello reale.
Ora, una recente e spietata analisi del Censis ci sbatte in faccia il risultato: un popolo disilluso, spaventato e, soprattutto, indisponibile a combattere per le élite che lo hanno tradito.
La domanda, quindi, diventa inevitabile e terribile. Per cosa dovrebbero combattere, oggi, gli europei?
L’ANATOMIA DI UN FALLIMENTO – LE TRE PROMESSE INFRANTE
Dal trionfalismo del 1989 è nato un Occidente che si sentiva invincibile, portatore di un Vangelo del “bene” destinato a convertire il pianeta. Libertà, prosperità, pace. Era questo il trittico sacro. Un trittico che oggi giace in frantumi.
LA LIBERTÀ IN RITIRATA: L’EXPORT DEMOCRATICO MAI RIUSCITO
L’illusione era semplice, quasi infantile: esportare il libero mercato avrebbe automaticamente generato libere democrazie.
L’Europa ha investito miliardi in “programmi di democratizzazione”, convinta che il mondo non desiderasse altro che diventare come lei. Un errore strategico mascherato da superiorità morale.
Mentre Bruxelles redigeva i suoi manuali di buone pratiche, il resto del pianeta sceglieva altro e i dati del Censis sono una sentenza: oggi meno del 7% della popolazione globale vive in una democrazia piena.
Il 2024 è stato il 19° anno consecutivo di declino globale della libertà.
La verità è che il nostro modello non è mai stato un prodotto universale, ma è stato solo nostro. E la cosa grave è che i nostri leader non se ne sono mai accorti.

LA PROSPERITÀ SVANITA: IL PATTO SOCIALE TRADITO DALLA GLOBALIZZAZIONE
“La marea della globalizzazione solleverà tutte le barche”.
Quante volte lo abbiamo sentito?
Una promessa solenne, fatta a una classe media che sarebbe stata la prima vittima di quella stessa marea. Mentre le élite finanziarie brindavano nei salotti di Davos, le fabbriche chiudevano in Lombardia, nella Ruhr, nel Midwest americano.
Il baricentro economico del mondo si è spostato inesorabilmente a Est: oggi il 59% del PIL mondiale è prodotto dai mercati emergenti.
L’Occidente, e l’Europa in particolare, ha assistito impotente alla propria de-industrializzazione, al blocco dell’ascensore sociale, alla fine del sogno che i figli stessero meglio dei padri.
La leadership europea ha sacrificato i propri cittadini sull’altare di un dogma economico, creando un esercito di dimenticati che ora, giustamente, non si fidano più. La domanda politica non è più “progresso”, ma “protezione”. È il grido di chi è stato lasciato indietro.
LA PACE ARMATA: LA GRANDE ILLUSIONE DEL “COMMERCIO GENTILE”
Per trent’anni, la dottrina europea è stata quella del “cambiamento attraverso il commercio”.
L’idea che legare economicamente a noi potenze autoritarie come la Russia e la Cina le avrebbe magicamente trasformate in partner affidabili.
Una favola. Mentre l’Europa si rendeva dipendente dal gas di Mosca, il Cremlino usava quei proventi per ricostruire il suo arsenale. I leader europei, con la loro condiscendenza, hanno finanziato per decenni la macchina da guerra che oggi, con finta sorpresa, dicono di voler sconfiggere.
La pace non è mai stata universale; era solo una bolla eurocentrica, possibile finché i conflitti restavano confinati lontano dai nostri confini ben curati. Ora le fiamme hanno raggiunto il giardino. E noi ci scopriamo senza estintori.
IL RISVEGLIO DEGLI DEI – IL RITORNO DEL MITO E LA CECITÀ DI BRUXELLES
Il fallimento delle promesse, delle analisi e delle politiche ha lasciato un vuoto. Un vuoto che non poteva essere colmato dalla razionalità tecnocratica dei burocrati europei.
Mentre l’Europa discuteva di parametri di bilancio e direttive sulla curvatura delle banane, il resto del mondo ha riscoperto il potere del mito.
Siamo entrati in una nuova era dominata da una “ipnotica macchina mitologica”.
Il nazionalismo mistico e imperiale di Putin, il fanatismo religioso che arma i terroristi, il trumpismo, con la sua visione di un’America predestinata e vittima dell’Europa e anche di quel mondo che lei stessa mette a ferro e fuoco da un secolo.
Sono forze irrazionali, emotive, potenti. E la leadership europea, con il suo linguaggio grigio e asettico, non ha gli strumenti né per comprenderle, né per contrastarle.
Continua a parlare di PIL a popoli che hanno ricominciato a pensare in termini di destino, sangue e onore.
DAL NASO DI CLEOPATRA AL CIUFFO DI TRUMP: LA STORIA NON È UN ALGORITMO
“Se il naso di Cleopatra fosse stato più corto, tutta la faccia della terra sarebbe cambiata”.
La vecchia massima di Pascal oggi è più attuale che mai. La storia non è un processo lineare e prevedibile guidato da forze economiche, ma un caos di contingenze, di eventi imprevisti, di personalità eccentriche.
Un ciuffo biondo alla Casa Bianca può stravolgere le alleanze di settant’anni, proprio come un’invasione può far crollare le certezze energetiche di un continente. Soprattutto se quel continente è governato da leader incapaci e che fanno scelte in contrasto con la sicurezza e il benessere dei suoi abitanti.
L’approccio europeo, basato su regole, procedure e una fede cieca nella razionalità, è strutturalmente inadatto a governare questo caos.
La costante sorpresa di fronte agli eventi dei leader europei è la prova più evidente della loro inadeguatezza analitica.
Sono amministratori, non statisti. E il mondo, oggi, ha un disperato bisogno di statisti, non di von der Leyen, Macron, Merz…
LO SPECCHIO INFRANTO – UN POPOLO SENZA CAUSA
La frattura più profonda, però, è quella interna. Il divorzio tra chi governa e chi è governato. I dati del Censis sul caso italiano sono un campanello d’allarme per l’intera Europa.
“Armiamoci e Partite” verrebbe da dire a leggere i dati del sondaggio Censis che mostrano come solo il 16% degli italiani combatterebbe in caso di guerra, evidenziando il rifiuto della popolazione di combattere.
I numeri sono una sentenza inappellabile. Se l’Italia fosse chiamata in guerra, solo 16 cittadini su 100 risponderebbero “presente”.
Un misero 16%. Il 39% protesterebbe, il 19% diserterebbe, il 26% suggerirebbe di pagare mercenari.
Questo non è solo pacifismo, ma è la fine del patto tra Stato e cittadino.
È la risposta di un popolo a cui è stato chiesto di sacrificarsi sull’altare della globalizzazione e che ora si rifiuta di fare l’ultimo sacrificio per una causa che non sente sua e per quel patto che lo Stato ha tradito per primo, da una classe dirigente di cui non si fida più.
È il sintomo di un continente che ha perso la sua anima e il suo senso di scopo collettivo.
L’ALLEATO INCERTO E LA FUGA NELLA NEUTRALITÀ: LA SOLITUDINE STRATEGICA DELL’EUROPA
Gli italiani sanno di aver bisogno di alleanze per difendersi, ma, allo stesso tempo, quasi la metà (46%) dubita che gli Stati Uniti verrebbero in nostro soccorso.
E, nonostante tutto, la maggioranza (62%) invoca la neutralità.
In pratica, siamo deboli, non ci fidiamo del nostro protettore, ma vorremmo comunque restare a guardare.
È una posizione strategicamente suicida, un invito all’irrilevanza se non all’aggressione. È la confessione di un continente spaventato, confuso e senza una vera visione del proprio posto nel mondo.
Un caos generato da leader non all’altezza, che vogliono fare la guerra alla Russia come un bambino vuole sfidare il campione del mondo dei pesi massimi.
La guerra alle porte dell’Europa non è una sfortunata deviazione dal percorso del progresso, ma la “clausola inevitabile” di un contratto sociale e geopolitico basato su promesse che i leader europei sapevano, o avrebbero dovuto sapere, di non poter mantenere.
Hanno venduto un’utopia di pace e benessere perpetui, ignorando le forze oscure della storia che ribollivano sotto la superficie, poi hanno creduto di piegare il più grande Paese del mondo con le sue sanzioni, non accorgendosi che quasi tre quarti di mondo opera, lavora e commercia fuori dai radar occidentali.
Oggi, l’Occidente si guarda allo specchio e non si riconosce più.
È nudo. Ha perso la sua autorità morale, la sua supremazia economica, la sua pace.
I suoi leader, invece di un mea culpa, raddoppiano la posta, parlando di “economia di guerra” e chiedendo sacrifici a una generazione a cui hanno lasciato in eredità solo contratti a termine, pensioni in forse, e minori di quelle dei loro padri, e un futuro più incerto che mai.
Non esiste più l’Europa e ciò che ne resta piace a una quota esigua della popolazione. E questa è una verità con cui, prima o poi, anche i leader europei dovranno fare i conti.

Dott. Pasquale Di Matteo
Giornalista freelance, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.




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