LE NOSTRE ARMI E LA COMPLICITÀ DELL’ITALIA

PERCHÉ I MEDIA NON VOGLIONO USARE LA PAROLA “GENOCIDIO”?

Non è una questione di opinione politica, ma di Diritto. Di legge internazionale violata, sistematicamente e consapevolmente.

Mentre i media mainstream dibattono sull’opportunità o meno di utilizzare un termine come “genocidio”, nel tentativo di distogliere l’opinione pubblica dai fatti, un silenzioso trasferimento di morte continua a fluire dai porti e dalle fabbriche italiani verso Israele, con armi e mezzi che provocano stragi e uccidono migliaia di persone.

Ora, potete definire i fatti genocidio, danni collaterali, crimini di guerra o uccisioni, ma la gente muore, compresi tanti, troppi bambini. E anche questo non è un’opinione, ma un fatto.

Munizioni, esplosivi, tecnologie dual-use. Materiali che, volenti o nolenti, hanno contribuito a commettere crimini atroci nella Striscia di Gaza o, comunque, non possiamo avere certezza che i materiali acquistati dall’Italia non siano utilizzati in quelle operazioni di guerra.

Inoltre, va ricordato che nei confronti della Russia esiste un embargo, oltre a diciannove pacchetti di sanzioni economiche, per atti di guerra di molto inferiori sia per atrocità sia sotto il profilo prettamente numerico.

L’intervento del Professor Triestino Mariniello, docente di Diritto penale internazionale alla John Moores University di Liverpool, pronunciato al Senato l’8 luglio 2025, non lascia spazio ad ambiguità e si aggiunge alle tesi di tantissimi giuristi.

Quello del Prof. Mariniello è stato un atto di accusa giuridicamente ineccepibile.

Il nostro Paese, i suoi governanti e gli industriali coinvolti nella filiera bellica sono seduti su una polveriera giuridica e potrebbero essere accusati di complicità non più soltanto da milioni di cittadini italiani.

VIOLAZIONE DELL’OBBLIGO DI PREVENZIONE: LO STATO ITALIANO SAPEVA

Il genocidio non si previene solo condannandolo a parole o con un post di Giorgia Meloni, ma si previene agendo.

L’articolo I della Convenzione del 1948 è chiaro e non ammette deroghe.

La Corte internazionale di giustizia, nel caso Bosnia vs. Serbia, lo ha ribadito: l’obbligo di prevenzione scatta nel momento in cui uno Stato “apprende o avrebbe dovuto apprendere dell’esistenza di un rischio serio di genocidio”.

La data spartiacque per l’Italia è il 26 gennaio 2024.

Quel giorno, la Corte Internazionale di Giustizia ha emesso la prima ordinanza cautelare contro Israele, riconoscendo il “rischio reale e imminente” di atti genocidari a Gaza.

Da quel momento, ogni esportazione italiana di materiale bellico è diventata giuridicamente insostenibile, perciò andava bloccata per legge.

L’Italia, invece, contravvenendo alle norme giudiziarie del Diritto internazionale, ha continuato. Ha inviato componenti per armamenti, nitrato di ammonio, che è un precursore di esplosivi, cordoni detonanti.

Il governo si è trincerato dietro la sterile esistenza di “Licenze rilasciate prima del 7 ottobre”. Una scusa “assolutamente irrilevante” per il diritto internazionale e non utilizzabile in qualunque aula di giustizia.

L’obbligo stabilito dalla legge è cogente e immediato: le esportazioni verso Israele vanno bloccate. Subito. Senza se e senza ma. Imporre un embargo, sospendere gli accordi, revisionare le licenze non è una scelta, ma un imperativo di legge.

Non farlo significa violare palesemente il proprio dovere di governare e di rispettare le norme internazionali.

Quelle stesse norme che l’Italia dice di voler proteggere contro Putin, al quale si imputa il non rispetto del medesimo Diritto internazionale.

IL PARERE STORICO DEL 19 LUGLIO 2024 E IL DOVERE DI NON ASSISTENZA

Alla gravità della violazione dell’obbligo di prevenzione, si somma un’altra colpa.

Il 19 luglio 2024, la Corte Internazionale di Giustizia ha emesso un parere consultivo storico, constatando come l’occupazione israeliana dei territori palestinesi sia palesemente illegale.

Di conseguenza, tutti i paesi hanno l’obbligo di non riconoscerla e, soprattutto, di non contribuire al suo mantenimento. Ciò significa sospendere qualsiasi forma di cooperazione militare, tecnologica, politica o scientifica.

Il parere è chiaro, vincolante e rivoluzionario.

Ma l’Italia, con le sue continue forniture e la sua collaborazione logistico-industriale, anche attraverso colossi come Leonardo Spa, non solo ha ignorato questo monito, ma ha continuato ad alimentare direttamente la macchina dell’occupazione. Perché ogni contratto, anche quelli in essere, è una pugnalata alla legalità internazionale.

Equivale a vendere armi e altri materiali a Mosca, con l’unica differenza che i crimini commessi in Ucraina sono molti meno e di minore entità.

COMPLICITÀ IN GENOCIDIO: QUANDO L’ASSISTENZA DIVENTA CORRESPONSABILITÀ

Qui si entra nel campo della responsabilità diretta, una macchia imbarazzante per l’Italia.

Il diritto internazionale consuetudinario (Art. 16 del Progetto sugli Articoli sulla responsabilità degli Stati) prevede che uno Stato sia complice se fornisce aiuto a un altro Stato nella commissione di un atto illecito, essendone a conoscenza.

Perciò parlare di complicità dell’Italia è perfettamente logico e stabilito dal Diritto internazionale consuetudinario, su cui si fonda il diritto stesso.

Per il genocidio, la Cig ha precisato che serve un aiuto materiale che faciliti il crimine e la consapevolezza dell’intento genocidario dello Stato autore.

Ma attenzione: non serve condividere l’intento di sterminio. Quindi difendersi dicendo “ma noi non approviamo lo sterminio vendendo armi” è una strategia che non regge.

Basta anche solo sapere che quell’intento di sterminio esiste e che le proprie azioni lo stanno facilitando o potrebbero facilitarlo.

Le ordinanze della Corte Internazionale di Giustizia del gennaio 2024 sono la prova formale che l’Italia non poteva più “non sapere”.

Il trasferimento di armi dopo quella data è un atto materiale di complicità. Una complicità che dura da più di venti mesi. Quasi due anni.

Il precedente è drammaticamente attuale: il caso Nicaragua contro Germania alla Cig, dove Berlino è chiamata a rispondere proprio per aver fornito armi a Israele nonostante le misure cautelari.

L’Italia cammina sullo stesso identico filo del rasoio e rischia una condanna per crimini di guerra e contro i diritti umani.

RESPONSABILITÀ PENALE INDIVIDUALE: QUANDO I MANAGER RISCHIANO IL CARCERE

Ma la responsabilità non si ferma allo Stato e al solo governo del Paese.

Può – e deve – scendere fino al singolo individuo. Decisori politici, funzionari dei ministeri che autorizzano le licenze, amministratori delegati e dirigenti delle aziende fornitrici di armi e dispositivi che possono facilitare atti militari.

Il fondamento è l’articolo 25(3)(c) dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, il quale stabilisce che, per essere condannati per complicità in crimini internazionali (genocidio, crimini di guerra) serve:

Actus reus: un contributo significativo, come potrebbe esserlo aver fornito esplosivi usati per demolire ospedali.

Mens rea: la consapevolezza che il proprio contributo facilita il crimine; in tal senso, le ordinanze della Cig e i mandati d’arresto della CPI per Netanyahu e Gallant rendono questa consapevolezza INCONTESTABILE.

Il precedente è Frans van Anraat, l’imprenditore olandese condannato a 17 anni per aver fornito gas al regime di Saddam Hussein, sapendo che sarebbero stati usati contro i curdi. La Corte olandese stabilì che il suo era un “contributo deliberato”.

Proprio ciò che fanno gli imprenditori e le aziende italiani coinvolti negli affari su armamenti e prodotti militari venduti a Israele.

Ora, i dirigenti che autorizzano la vendita di nitrato di ammonio a Israele, sapendo che viene usato per demolizioni di massa che organizzazioni umanitarie considerano crimini di guerra – se proprio non si vogliono definire atti genocidari, – su quali basi si sentono al sicuro?

Se agiscono per profitto, ma sono pienamente consapevoli delle conseguenze, secondo un’ampia e autorevole corrente giurisprudenziale, ciò potrebbe bastare per la responsabilità penale.

UNA MACCHIA SULLA COSCIENZA E SULLA STORIA D’ITALIA

Nell’evento al Senato organizzato da Altraeconomia, il professor Mariniello ha delineato una condotta italiana non solo moralmente riprovevole, ma giuridicamente criminale sotto molteplici profili.

Una posizione di quadruplice responsabilità: violazione dell’obbligo di prevenzione del genocidio; violazione del dovere di non-assistenza all’occupazione illegale; complicità internazionale dello Stato in atti di genocidio; potenziale responsabilità penale individuale per i decision-maker.

Il tempo delle scuse è finito e quello delle giustificazioni politiche è scaduto.

Siamo nel campo del Diritto e le prove sono schiaccianti.

Le aule dei tribunali internazionali, sia quelli che giudicano gli Stati che quelli che giudicano gli individui, stanno già aprendo fascicoli i cui nomi potrebbero essere sbattuti sulle prime pagine dei quotidiani per decenni.

E no, la domanda non è se il governo italiano verrà chiamato a rispondere delle sue azioni, ma quando. E, soprattutto, chi pagherà il prezzo più alto per aver scelto il business sulla vita: i politici o i manager?

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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