Mancano pochi giorni alla scadenza del 7 ottobre, data che racconta la ricorrenza in cui i terroristi di Hamas hanno ucciso, in territorio israeliano, 1200 persone e ne hanno catturate circa 250, diventando così ostaggi.
Pochi di questi sono ancora ufficialmente in vita. Sembra 24.
Al di là dell’esecrabile evento e delle immaginabili terribili condizioni di detenzione degli ostaggi, molti dubbi sul 7 ottobre sono ancora da chiarire.
Il primo è certamente quello di scoprire che il Mossad, servizio di intelligence israeliano ritenuto fra i più aggressivi e preparati del mondo, sia riuscito a farsi beffare con una iniziativa quasi tragicomica.
Tragicomica se non fosse per le conseguenze immediate, per gli eventi successivi e quelli conseguenti.
Viene quasi il sospetto, se non la certezza, che si sia voluto accettare il fatto, anche se le autorità nazionali israeliane sembra fossero state avvertite dell’imminenza dell’attacco, per provare poi ad eliminare definitivamente Hamas.
È un’ipotesi, ma non da scartare e nemmeno da sottovalutare.
Dall’8 ottobre, cioè dal giorno successivo all’attacco, gli israeliani hanno iniziato una offensiva che di giorno in giorno, oltre a non riuscire a liberare gli ostaggi, ha provocato nei bombardamenti, fino ad ora, sembra più di 62.000 morti fra i civili palestinesi.
Poi, come abbiamo detto più volte, i numeri dei bambini morti sotto le macerie sono in percentuale rispetto agli adulti molto più elevati. Va anche però indicata l’elevata natalità nelle popolazioni palestinesi e quindi un’età media molto bassa.
Sei figli sono un numero quasi standard fra le nascite per famiglia palestinese.
Esporre nelle statistiche dei morti un numero di bambini così elevato ha indubbiamente un effetto mediatico rilevante, ma è pur sempre la verità, anche se, come detto, la media delle nascite per famiglia è abnorme rispetto al mondo occidentale.
Quindi, parlando solo di statistiche, questa sproporzione risulta evidente.
Ma tutto aiuta per mostrare quanto questa situazione sia condannabile ed inviti il mondo a prendere una posizione ferma senza esitazioni.
Difficile pensare che il massacro nei territori palestinesi non possa definirsi genocidio. In passato abbiamo gridato al genocidio per numeri decisamente più bassi.
Netanyahu non sembra sentire ragioni, imbrigliato com’è dalle posizioni dei suoi ministri estremisti.
È condannato a subire i loro diktat per far rimanere a galla il suo governo perpetuando così il suo mandato elettorale, forse anche guidato dal tentativo di evitare una condanna penale considerando che è indagato e certamente il tribunale prima o poi dovrà emettere una sentenza.
L’Europa, l’ONU, la Russia, la Cina, il BRICS nel suo complesso, l’America, e anche i paesi arabi sembrano soffrire di strabismo geopolitico: al di là di generiche condanne e qualche minima irrisoria ritorsione non si arriva.
Sembra più per compiacere le anime interne che per emettere una risposta adeguata.
E, visto che questa è la posizione di fatto, Israele si permette di eliminare, fuori dal suo territorio, i leader che ritiene responsabili di attacchi contro il suo popolo o il suo credo.
In Iran, Sudan, Siria Libano, Iraq, e ultimamente in Qatar le “ire” sioniste si sono abbattute con particolare precisione e ferocia.
Non solo: qualcuno ricorda i ”cerca persona” israeliani esplosivi, andati tutti a buon fine con la morte di chi li ha fatti (incautamente, ma senza colpa) squillare? La popolazione civile che subisce l’infernale ritmo della morte non ha colpe.
Se i regimi non si mobilitano ufficialmente, si mobilita il popolo.
La coscienza del Popolo, con animo autonomo o con qualche suggerimento partitico o populistico, si mobilita e scende in piazza a gridare il suo dissenso.
Ormai chi non conosce la bandiera della Palestina, il movimento ProPal, gli slogan in favore del popolo palestinese con un “Free Palestine” gridato a squarciagola dai manifestanti nostrani addobbati con la kefiah.
E, per la verità, in tutti i paesi in cui la libertà di espressione è ammessa senza rischio di essere incarcerati.
E non parliamo solo di cortei che si vedono nelle piazze, che si snodano fra le vie dei centri storici, ma anche nei luoghi simbolo del cattolicesimo, con le interruzioni delle celebrazioni religiose.
Sembra un movimento generalizzato. Lo vediamo, ad esempio, con l’annullamento dell’ultima tappa del giro ciclistico di Spagna 2025, la Vuelta, che non si è svolta in ossequio ai martiri di Gaza.
In tutto questo sostegno palpabile e reale, perché insieme ai fatti simbolici vanno considerati gli aiuti alimentari e di medicinali generati dagli organismi internazionali indipendenti, gli interventi di “Medici senza frontiere”, quelli delle altre organizzazioni internazionali, come l’ONU, dove si è scoperto che operavano anche terroristi che avevano partecipato all’azione del 7 ottobre, con la distribuzione di aiuti gestita da Hamas, con l’uccisione di chi andava a cercare cibo e acqua per la propria famiglia…..
I punti interrogativi ci stanno, secondo noi, perché il racconto sarebbe inutilmente lungo e non privo di deviazioni interpretative perché le fonti, che per la maggior parte sono arabe e/o dovute al ministero della salute palestinese, ci fanno pensare che anche i giornalisti fra i 210 rimasti vittime delle bombe potevano raccontare solo quello che gli era consentito.
Un po’ come a quella giornalista italiana de “La Stampa”, Francesca del Vecchio, fatta sbarcare in fretta e furia da una nave della flottiglia Sumud perché, secondo chi aveva organizzato il tutto, non aveva diritto di raccontare la sua verità, quella che vedeva o avrebbe visto quando avrebbe potuto navigare a bordo dell’imbarcazione che gli era stata assegnata.
Un po’ come è capitato a Greta Thumberg, che non fa più parte del direttivo della flottiglia Sumud.
Traslocata su un’altra barca più piccola, per divergenze sulla gestione delle informazioni, secondo la versione ufficiale.
Sì, perché fra strani incendi a bordo di qualche nave della flottiglia, disorganizzazione palese, espulsioni di imbarcati non graditi, ritardi subiti o voluti, mancanza di carburante, richieste di protezione internazionale per un’iniziativa totalmente privata, – anche se con molte sigle dell’arcipelago associazionista, ma non ufficialmente appartenenti ad alcun governo, – e qualche ritiro, il genocidio va avanti.
Domanda legittima: si può sapere qualcosa di più, che sia vero e indipendente, della flottiglia Sumud? E non ditemi che sapete già tutto.
Ma è lecito farsi qualche domanda?
L’eventuale conquista di Gaza sarà l’ultimo atto di questa guerra?
Gli ostaggi ancora in mano ad Hamas verranno liberati o diventeranno scudi umani?
O verranno suicidati?
Hamas sarà definitivamente sconfitta? Ci saranno due popoli e due stati?
L’esodo biblico dei palestinesi verso il sud della striscia di Gaza si interromperà/fermerà? Ritornerà la pace? Anche se armata?
E se qualcuno, esterno al conflitto, dicesse basta?
