FRANCISCO GOYA, L’ARTISTA DELLA COSCIENZA E IL DOVERE ETICO DELLA RIBELLIONE

Siamo immersi in un’epoca di rumore.

Un frastuono assordante di narrazioni contrapposte, di propaganda che si fa virale, di verità relativizzate fino all’annichilimento.

In tale contesto, la figura dell’artista – il vero artista – non può e non deve essere un semplice decoratore di salotti o un fornitore di intrattenimento. Deve essere la coscienza. Deve essere Goya.

Francisco José de Goya y Lucientes non fu solo un pittore, ma un analista sensibile e spietato che registrò le scosse più violente dell’animo umano, trasformando la tela in un tribunale morale.

La sua opera più emblematica, “Il 3 maggio 1808”, non è un semplice dipinto, ma una diagnosi sociologica ante litteram della violenza del potere costituito contro l’individuo.

Analizziamola, come faremmo con un testo mediatico di oggi.

Un uomo, il ribelle, in camicia bianca, braccia spalancate in un gesto che è insieme crocifissione e sfida disperata. La luce di una lanterna lo illumina, trasformandolo nell’epicentro della verità.

Di fronte, un plotone di esecuzione. Non si tratta di volti, non di uomini, ma di una squadra, di una macchina di morte. Un ingranaggio anonimo e disumano del potere militare.

Il fucile è pronto, puntato. È l’immagine della ragione di Stato che si fa irragionevole follia.

Goya non ritrae un eroe, ritrae un uomo qualsiasi, colto nel momento più tragico della sua esistenza. È la disumanizzazione della macchina da guerra contro l’umanità vulnerabile della vittima.

Questo non è reportage, ma una denuncia fatta di colori e di sangue.

Ma cosa ci comunica Goya? Ci mostra che il potere, quando è indiscutibile, quando elimina il contraddittorio, quando si fa dogma, diventa mostruoso.

La sua serie “I disastri della guerra” è un’enciclopedia visuale dell’orrore prima dell’avvento della fotografia. È il lato oscuro della Storia, quello che i bollettini ufficiali e i comunicati stampa dei potenti cercano sempre di occultare.

E qui arriviamo al ruolo e al dovere dell’artista oggi.

L’artista con la A maiuscola non è un cantore del regime di turno e nemmeno un artigiano che abbellisce salotti.

Non è un pubblicitario di ideologie, perché il suo compito è quello di sollevare il tappeto sotto cui il potere nasconde la sua sporcizia.

Il vero artista è un anticorpo sociale contro il virus della propaganda, della guerra, della semplificazione tossica che soffoca il dialogo.

Oggi le fucilazioni sono più sottili. Sono disinformazione orchestrata. Sono narrazioni che demonizzano il diverso, l’avversario, il “ribelle” di turno. Sono ideologie che promuovono lo scontro, che erigono muri invece di costruire ponti.

L’artista deve forare questi muri con il trapano della sua visione.

Il suo dovere è lottare per la verità? No.

È più profondo. È lottare per la complessità. Per mostrare che il mondo non è bianco o nero, ma è fatto di infinite sfumature di grigio, di ragioni contrapposte, di dolori ugualmente legittimi. Il suo compito è ricordarci l’umanità dell'”altro”, quello che il potere ci chiede di odiare.

È un atto di resistenza umanizzata in un mondo che spinge verso la disumanizzazione.

Pensate alle immagini dei conflitti contemporanei e alle propagande.

Chi ce le mostra, chi le racconta?

Spesso sono algoritmi che ci mostrano ciò che vogliamo vedere, confermandoci i nostri pregiudizi.

L’artista deve essere l’interruzione di quel flusso. Deve costringerci a guardare. A sentire. A mettere in discussione.

Che sia attraverso un dipinto, una fotografia, un film, un’installazione, una performance.

Deve ricordarci il costo umano della retorica bellicosa. Deve essere il campione della pace non come idea astratta, ma come pratica faticosa, quotidiana, fatta di ascolto e accettazione del contraddittorio.

Goya non fermò la guerra con i suoi quadri, ma li ha lasciati a noi come un testamento, una mappa per navigare nell’oscurità.

L’artista moderno eredita quella mappa.

Il suo successo non si misura alle aste di Christie’s, ma nella capacità di piantare un seme di dubbio, di generare una domanda scomoda, di accendere una luce, per quanto fioca, sulle verità sgradevoli del nostro tempo.

Che si tratti di un pittore, di uno scrittore, di un cantautore, di un giornalista, di un attore… non cambia. Chiunque abbia il potere di comunicare può veicolare l’arte del vero.

Essere artisti oggi significa rifiutare la complicità con il silenzio e con le propagande.

Significa scegliere di essere, come Goya, testimoni scomodi. Perché in un’epoca di grandi menzogne, dire la verità è il più rivoluzionario degli atti. E l’arte è la sua arma più potente.

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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