UN ATTO BRUTALE CHE RISPECCHIA UNA SOCIETÀ DIVISA
Mercoledì scorso, all’Utah Valley University, non è morto solo un uomo, ma è stato assassinato un simbolo, un’idea di contraddittorio.
Non si è eliminato Kirk perché il Presidente degli USA è troppo protetto, come ha paventato qualcuno, – ma si è scelto di eliminare un modus operandi pericoloso per chi tifa per i pensieri unici.
Colpito al collo da un proiettile sparato da cento metri di distanza, Charlie Kirk è diventato istantaneamente il martire di una fazione e il demonio di un’altra.
La sua uccisione, ripresa e diffusa in tempo reale, è il sintomo più acuto e drammatico di una malattia sociale che corrode gli Stati Uniti d’America e gran parte dell’Occidente, compresa l’Italia: la polarizzazione tossica, alimentata e amplificata dalle logiche distorte dei social media, che sta sfociando in violenza fisica, e in “pensatori” che riescono persino a trovare giustificazioni dell’omicidio.
La reazione immediata e diametralmente opposta all’evento conferma questa frattura.
Da un lato, il cordoglio elevato a bandiera politica. Dall’altro, l’oltraggiosa e disumana giustificazione dell’atto, una sorta di “banditismo sociale” nell’era digitale, dove un assassinio diventa un simbolo da brandire per rafforzare l’identità di gruppo, alimentando le camere d’eco e giustificando l’ingiustificabile.
CHI ERA REALMENTE CHARLIE KIRK?
Per comprendere appieno l’impatto dell’evento, è necessario analizzare la vittima in modo neutro, distaccato e nella sua complessità.
Charlie Kirk era, senza dubbio, una figura profondamente polarizzante. Le sue idee erano radicali, conservatrici, spesso provocatorie e divisive.
Tuttavia, il suo metodo comunicativo rappresentava un paradosso interessante, poiché Kirk non rifuggiva il confronto, ma, al contrario, lo incoraggiava.
Il suo mantra “Prove Me Wrong” (dimostrami che mi sbaglio) era un invito aperto al dibattito, un tentativo di portare lo scontro ideologico fuori dalle bolle delle propagande, e delle ideologie, e dentro le piazze fisiche e digitali, sotto gli occhi di tutti.
Nei campus universitari, ambienti spesso percepiti come monoliticamente progressisti e vicini ai Democratici, la sua presenza era una sfida che incoraggiava gli studenti a contestarlo, a dialogare, anche aspramente.
Questo approccio, come sottolineato dal senatore Mike Lee, era spesso caratterizzato da una genuina decenza nel trattamento dell’interlocutore.
La sua radicalità stava nelle idee, non necessariamente nella modalità di interazione umana. Era un agitatore di consensi, non un soppressore di voci.
Questa distinzione è cruciale.
Perché a essere uccisa è stata una persona che chiedeva a chi la pensava diversamente di esprimersi. Chi lo ha ucciso, come si evince, persegue la logica fascista del tappare la bocca a chi pensa diversamente.
La sua morte, quindi, non è solo l’eliminazione di un avversario politico, ma il tentativo di annichilire un modello di confronto, per quanto aspro e polarizzato, che segna la terribile transizione dalla violenza verbale a quella fisica perpetrata da certi ambienti.
Ambienti che sono gli stessi in cui nascevano le Brigate Rosse.
LA SPIRALE DELL’ODIO: COME I SOCIAL MEDIA ALIMENTANO IL CONFLITTO
L’omicidio di Kirk è stato il detonatore, ma la polveriera era già colma. I social media hanno agito come moltiplicatori di potenza della polarizzazione, trasformando un atto criminale in una guerra narrativa.
Martirizzazione vs. Demonizzazione. Le piattaforme si sono immediatamente divise in due narrative opposte e irriconciliabili.
Da una parte, Kirk è stato elevato a martire della libertà di parola, un paladino ucciso per le sue idee. Dall’altra, sono emersi messaggi abietti che lo dipingevano come meritevole del suo destino. Due realtà parallele.
Tuttavia, balza subito all’occhio come soltanto una delle due giustifichi un atto atroce come l’omicidio e ciò fa inorridire.
Ma la violenza non porta mai nulla di buono e finisce con il rafforzare chi si vuole sconfiggere.
Per gli estremisti online, eventi del genere sono un’opportunità d’oro, poiché gruppi di frangia usano queste narrative per rafforzare la coesione interna (“vedete cosa ci fanno?”) e per reclutare nuovi membri radicalizzati, dipingendo il mondo come una guerra binaria tra Bene e Male.
È già accaduto nella Storia. L’incendio del Reichstag del 1933, appiccato dal comunista olandese Marinus van der Lubbe contro le idee di Hitler, fu usato dallo stesso Hitler come pretesto per sospendere i diritti civili, perseguitare gli oppositori politici e, di fatto, “uccidere definitivamente la democrazia tedesca”.

Allo stesso modo, l’omicidio di Kirk concede a Trump il pretesto per una stretta autoritaria.
La complessità umana di Kirk, con il suo essere al tempo stesso polarizzante e fautore del dibattito, è stata completamente cancellata perché il contraddittorio fa tremare chi tifa per i pensieri unici.
Nello scontro narrativo, non c’è spazio per le sfumature.
Solo bianco o nero. Con noi o contro di noi.
Una dicotomia sostenuta, incoraggiata e perpetrata da una certa stampa dalla pandemia a oggi, che ha cancellato il contraddittorio, visto come il male assoluto, e ha zittito qualunque voce dissonante, compresa quella di medici e perfino di Premi Nobel per la Medicina.
E quando la stampa sostiene e fa prevalere le idee dell’attore e dell’impiegato su quelle del medico Premio Nobel, l’affermazione dell’idiota è il passo successivo, compreso il killer che pensa di essere un salvatore più intelligente e “buono” di altri.
Perché i social danno facoltà di parola a tutti, come al bar, compresi quelli che non hanno studi e competenze nelle materie di cui pretendono di discutere.
E basta leggere i commenti sotto ai post per distinguere chi esprime opinioni, argomentando anche tesi differenti, e chi, invece, insulta e attacca l’autore del post pur di commentare.
IL CORTOCIRCUITO CULTURALE: FASCISMO, ANTIFASCISMO E LA TIRANNIA DEL PENSIERO UNICO
La riflessione più agghiacciante va oltre l’evento specifico.
Perché non è finito tutto con l’omicidio brutale di Kirk, ma stiamo assistendo a un pericoloso cortocircuito culturale.
Dalla pandemia in poi, si è affermata una perversa logica del pensiero unico che, paradossalmente, utilizza il linguaggio e le tattiche di chi nella storia ha attuato dittature.
Si professa antifascismo mentre si sdoganano logiche da dittatura: la gogna mediatica, la delegittimazione dell’avversario non in base alle idee, ma all’identità, l’etichettamento sistematico (novax, trumpiano, putinano…) per chiunque non si riesce a battere con le argomentazioni e, infine, la giustificazione – esplicita o implicita – dell’eliminazione fisica del dissenso.
È l’idea nazista che solo un certo pensiero sia lecito.
Questa deriva non ha colore politico, perché l’idiozia e la violenza sono apolitiche. Possono attecchire sia a destra che a sinistra, perché sono virus che infettano il discorso pubblico, distruggendo il tessuto della democrazia liberale che si fonda sul conflitto regolato e non violento.
UN APPELLO ALLA RESPONSABILITÀ: OLTRE IL LUTTO, LA SCELTA

Condannare la violenza è il minimo indispensabile.
E chi in questi giorni ha detto e scritto “ma… però” andrebbe solo calcolato come soggetto pericoloso per la società e per la democrazia.
Ma non è sufficiente condannare la violenza.
La società civile, i leader politici e soprattutto le piattaforme digitali hanno una responsabilità monumentale e dovrebbero isolare, tutti, chiunque abbia applaudito a questo omicidio.
Dobbiamo rifiutare con fermezza assoluta chiunque esulti o giustifichi un assassinio, non per “partigianeria”, ma in difesa dei fondamenti umani della civiltà democratica.
Dobbiamo promuovere attivamente una cultura del dialogo che vada oltre la tolleranza passiva e diventi un confronto attivo e rispettoso.
E sì, per fare questo, bisognerebbe isolare anche quella stampa che veicola da cinque anni fake news e promuove l’odio e la negazione del contraddittorio, affibbiando etichette a chiunque dissenta.
L’uccisione di Charlie Kirk deve essere un campanello d’allarme per tutti.
Onorare la sua memoria, al di là delle sue idee, significa onorare il principio per cui si batteva: il diritto al dibattito, allo scontro ideologico anche duro, ma sempre all’interno di un patto di civiltà che esclude categoricamente la violenza.
Scegliere l’odio significa scegliere la barbarie. Scegliere il dialogo, per quanto difficile, significa scegliere la democrazia.
Una scelta difficile per chi ha menti troppo piccole per contenere il concetto enorme per cui non esiste la verità, ma una serie di verità diverse quanti sono i punti di vista.
La posta in gioco non potrebbe essere più alta.


Dott. Danilo Preto
Giornalista pubblicista, Scienze Politiche, Esperto di Comunicazione e arte concettuale.
Dott. Pasquale Di Matteo
Giornalista freelance, Politiche Internazionali, Esperto di Comunicazione e critico d’arte.

