Sì, è un titolo anni ’60. Lo riconosco.
Ma rispetto a quello che sta succedendo ora nel mondo della moda, preferisco pensare che tutto sia ancora placidamente luccicante come a quel tempo.
Credo che possiamo mettere la data dell’inizio della più profonda trasformazione e rivisitazione in ambito mondiale collocandola a fine 2024.
Non è che prima fossero rose e viole, ma tutto ruotava nell’ambito delle acquisizioni dei brand famosi da parte dei due grandi raggruppamenti francesi o giù di lì: Kering e Lvmh.
I grandi e storici brand italiani della moda sono ancora tutti lì. Ma anche quelli più recenti. Gucci, Bottega Veneta, Brioni, Pomellato, Fendi, Loro Piana…per citarne solo alcuni, sono in mano ai due gruppi francesi.
Su oltre 30 Marchi storici della moda Italiana solo un terzo circa è ancora in mano ad imprenditori del Bel Paese.
È vero, ci sono le eccezioni. Prada, che si è recentemente ricomprato Versace, e Armani scomparso da poco, ma sulla cui eredità imprenditoriale sembrano aleggiare futuri non certi.
Parliamo pur sempre di un fatturato espresso in miliardi e di un Made in Italy legato a stilisti e manager che portano spesso un nome di casa nostra e ad una sartorialità riconosciuta e apprezzata in ambito mondiale.
Ma anche gli italiani hanno fatto acquisizioni importanti nel tempo. La OTB di Renzo Rosso, ad esempio, ha nel proprio portafoglio Jil Sander, Marni, Margiela oltre ovviamente al brand storico Diesel.
I GIRI DI VALZER E LA CRISI IN ATTO
Come dicevamo all’inizio, noi abbiamo fatto risalire questo tourbillon alla fine del 2024, quindi meno di un anno fa. Da allora sono cambiati stilisti, designer, CEO, proprietà e soprattutto fatturati. In calo.
La crisi dei mercati asiatici, i dazi imposti dagli USA sulle esportazioni europee, le turbolenze di guerra hanno segnato profondamente la propensione all’acquisto.
Ci sono poi da considerare la crescita delle produzioni interne dei nuovi colossi economici mondiali, rafforzata dalla potenziale numerica dei domestic buyer, un diffuso cambio di clima geopolitico e, non ultimo, la nascita di una nuova realtà sociale.
Il trionfo del fast fashion ispirato comunque alle griffe che fanno tendenza, ha prodotto il resto.
L’online, con i distributori mondiali a farla da padrone, ha modificato anche l’atteggiamento dei consumatori nei confronti del prodotto e delle sue scelte commerciali.
Non è un de profundis, ma una visione obiettiva, penso, dettata non dai rumors ma dai fatti che sono sotto gli occhi di tutti. Una incertezza globale dovrebbe far riflettere sugli stili di comportamento e di acquisto che cambiano rapidamente.
Anzi sono già cambiati! Nulla di male ad essere ricchi e permettersi ancora i lussi degli anni d’oro quando la moda era la moda e faceva la differenza. Una delle differenze sociali.
Gli altri a guardare e a farsi gli occhi lucidi.
Anche qui oggi, nulla di male a sperare di appartenere un giorno a quel mondo dorato e rutilante. Almeno non dobbiamo spendere per questo.
Non costa niente. Ma guai ad appartenere alla schiera degli inutili invidiosi. Preserviamoci il fegato. Ne vale la pena.
