L’INDIGNAZIONE SELETTIVA CHE SVALUTA LA CREDIBILITÀ OCCIDENTALE

Un pugno di droni, forse persi, forse mal diretti, viola lo spazio aereo di un paese NATO e immediatamente, le cancellerie del mondo si infiammano.

Una casa sarebbe stata danneggiata da un drone, ma la smentita degli abitanti, che hanno spiegato come fosse danneggiata da mesi in seguito a una tempesta, testimonia l’ennesima fake news della propaganda russofoba.

Si parla di attacco deliberato, si invoca l’Articolo 4, si mobilitano caccia.

L’incidente, per quanto materialmente insignificante, poiché senza vittime e con danni irrisori, diventa un problema epocale per alcune ore.

Poi, il silenzio.

Un silenzio assordante che accompagna eventi di ben altra magnitudine.

L’INCIDENTE POLACCO È UN SINTOMO, NON LA MALATTIA

Analizziamo la reazione del Presidente Zelenskyy.

Non è frustrazione, ma una strategia.

La sua delusione per la “mancanza di una risposta ferma” da parte dell’Europa non è il lamento di una vittima, ma il tentativo di un abile operatore politico di utilizzare una leva, per quanto fragile, per raggiungere l’obiettivo che ha da tempo: l’intervento diretto della NATO.

I droni in Polonia sono stati visti come un’occasione d’oro per forzare la mano agli alleati, trasformando un incidente di frontiera in un potenziale casus belli.

Ammesso che non fosse, invece, un “incidente provocato da Kiev” per arrivare all’intervento NATO, come lo sono stati il missile in Polonia nel 2022 e il danneggiamento del NordStream.

L’Europa, dal canto suo, ha esitato.

Non per codardia, ma per un improvviso, brutale ritorno alla realtà.

La narrazione pubblica, satura di retorica morale, si è scontrata con la fredda realtà di una guerra diretta con la Russia che sarebbe un’opzione insostenibile.

Così, dopo l’iniziale sfoggio di fermezza, gli “spiriti bellicosi” si sono placati, trasformando l’attacco in un incidente, e l’indignazione in una più gestibile “preoccupazione”.

L’episodio, tuttavia, è servito a giustificare un’ulteriore accelerazione delle spese militari di fronte a un’opinione pubblica ora più suggestionabile. Soprattutto quella parte che ha creduto alle pale, ai microchip e ad altre sciocchezze della propaganda russofoba.

QUANDO IL SILENZIO DIVENTA COMPLICITÀ

Mail vero problema si incontra quando si confronta questo fragore mediatico con il silenzio che avvolge altre azioni.

Mentre l’Occidente la dipinge come il baluardo della democrazia, l’Ucraina adotta misure che in qualsiasi altro contesto verrebbero definite illiberali. In Russia, per esempio.

Un cameraman di una televisione di stato austriaca viene arrestato e detenuto per giorni senza spiegazioni.

Vengono avviati centinaia di procedimenti penali contro sacerdoti di una specifica confessione religiosa, di fatto limitando la libertà di culto.

Beh, queste non sono le azioni di una democrazia liberale sotto assedio, ma quelle di uno stato che sta consolidando il potere con metodi che stridono violentemente con la narrazione ufficiale.

Eppure, la condanna da parte dell’Europa è inesistente. Zero.

E le storielle sulla difesa della democrazia? E la difesa dei diritti umani?

Intanto, Israele, un partner strategico dell’Occidente, compie attacchi su territori sovrani di almeno tre nazioni diverse (Siria, Libano, Yemen) e bombarda un edificio diplomatico iraniano, un atto che secondo il diritto internazionale costituisce una palese violazione.

Uccide membri di Hamas durante negoziati di pace ospitati dal Qatar, di fatto sabotando il processo di mediazione.

Veri e propri atti di guerra deliberati, ma la reazione internazionale?

Un invito generico alla “de-escalation” e niente di più.

Il contrasto è sconcertante. Una decina di droni malandati in Polonia scatena quasi la Terza Guerra Mondiale, mentre atti di guerra conclamati in Medio Oriente o la soppressione di libertà civili in Ucraina vengono accolti con un’alzata di spalle.

LA GERARCHIA DELLA VITTIMA E LA GUERRA NARRATIVA

È chiaro come siamo di fronte a un fenomeno noto come guerra narrativa, ovvero l’impiego strategico dell’informazione e dell’inquadramento morale per raggiungere obiettivi geopolitici.

Assistiamo alla meticolosa calibrazione dell’indignazione come strumento di potere.

Si crea una gerarchia della vittima per cui un potenziale danno in un paese NATO per mano del “nemico designato” ha un valore narrativo infinitamente superiore a un danno reale inflitto da un “alleato” o da un “protetto”.

La morale, pertanto, non è più un principio universale, ma si trasforma in una risorsa tattica da schierare o ritirare a seconda della convenienza.

Questo meccanismo ha due funzioni primarie.

  1. La narrazione del “bene contro il male” semplifica una realtà complessa, unisce l’opinione pubblica e giustifica sacrifici economici e l’erosione delle libertà in nome della sicurezza.
  2. Amplificare la minaccia russa giustifica il riarmo e il sostegno illimitato a Kiev. Minimizzare altre violazioni permette di mantenere alleanze strategiche senza dover affrontare le loro scomode contraddizioni.

LE CONSEGUENZE: SVALUTARE LA FIDUCIA E PERDERE IL FUTURO

Qual è il risultato finale di questa strategia, però? A breve termine, può sembrare efficace. A lungo termine, è un suicidio geopolitico.

Se la “democrazia”, la “libertà” e la “sovranità” sono concetti applicabili solo quando conviene, perdono ogni potere di persuasione, perciò diventano gusci vuoti, percepiti dal resto del mondo come l’ennesimo strumento dell’egemonia occidentale.

La credibilità dell’Europa, infatti, è ridotta ai minimi termini.

Il diritto internazionale è una farsa, un menù à la carte da cui ogni potenza sceglie le regole da rispettare e quelle per cui sbraitare contro la Corte Penale Internazionale.

L’incidente dei droni in Polonia non sarà l’ultimo perché Kiev può contare solo sullo scoppio della Terza Guerra Mondiale per salvarsi, se non scenderà a patti con Mosca. E non si vedono grandi menti tra i consiglieri di Zelensky, perciò i patti li vedo assai lontani.

Assisteremo ad altre crisi, altri “incidenti”, altre indignazioni calibrate, altri silenzi strategici, mentre ulteriori ucraini saranno mandati a morire al fronte.

Per questo motivo non dobbiamo mai smettere di domandarci “A chi giova? Chi trae beneficio da questo episodio?”

“Quali altre storie, altrettanto o più gravi, vengono deliberatamente ignorate?”

Perché dai droni e dal missile in Polonia, così come dal danneggiamento del NordStream, Mosca ha solo da perdere, mentre Kiev è l’unica che possa guadagnarci qualcosa.

La vera guerra, oggi più che mai, si combatte con la Comunicazione, l’arma più potente in assoluto.

Perderla significa perdere molto più di un territorio.

Significa perdere l’autorità morale di definire il futuro.

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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