Mentre i leader europei accelerano sul riarmo ignorando la diplomazia, in Ucraina cresce il dissenso contro un conflitto senza obiettivi raggiungibili.
UN CONTINENTE IN STATO CONFUSIONALE
La psiche collettiva europea vive uno stato di dissonanza cognitiva patologica.
Da un lato, un coro unanime inneggia alla difesa dei valori democratici e della sovranità ucraina, dall’altro, si persegue con ferrea determinazione l’unica strategia che garantisce l’esatto opposto: l’escalation militare e il sistematico sabotaggio di ogni via diplomatica.
Questa è la schizofrenia strategica che definisce la nostra epoca. Ma perché i popoli d’Europa, storicamente capaci di sollevarsi contro politiche palesemente autolesioniste, oggi assistono in un silenzio quasi tombale?
IL PARADIGMA BELLICISTA EUROPEO: UNA SCELTA SENZA RITORNO?
La leadership europea, in coordinamento con Washington, ha intrapreso una serie di decisioni che definire scellerate è ancora poca cosa.
L’ABBANDONO DELLA DIPLOMAZIA.
Ogni spiraglio di dialogo viene spento prima ancora di poter brillare in nome di un dogmatismo bellicista che tratta la pace come un virus da debellare. La trattativa viene dipinta come una capitolazione, eliminando così ogni spazio per una soluzione politica.
Un po’ come se, anziché firmare l’armistizio dell’8 settembre, qualcuno avesse inneggiato alla pace giusta.
L’ACCELERAZIONE SUL RIARMO.
Invece di correre verso un negoziato, Bruxelles corre verso gli arsenali e sta alimentando artificialmente la paura di un “nemico immaginario” con la fantomatica imminente invasione russa dell’Europa, per normalizzare l’impensabile, secondo un perfetto schema da Finestra di Overton.
Così, l’invio di truppe NATO in Ucraina, un tempo considerato follia assoluta, è oggi discusso nei salotti politici come un’opzione concreta. È una profezia che si autoavvera: prepararsi ossessivamente alla guerra rende la guerra inevitabile.
Perciò, avvisate i vostri figli di non prendere impegni per i prossimi mesi. Ci sarà da morire per la scelleratezza degli attuali leader europei.
LA PROPAGANDA DI GUERRA.
L’ecosistema mediatico è saturo di narrazioni tossiche.
Ricordate l’”attacco ibrido” russo all’aereo della von der Leyen, presentato come un casus belli?
È stato perfettamente smentito.
Una fake news. Una delle tante veicolate dalla propaganda, dalle sanzioni dirompenti alle pale, passando per i muli al posto dei mezzi corazzati e per i microchip smontati dagli elettrodomestici ucraini.
Eppure, lo scopo della propaganda russofoba è infiammare l’opinione pubblica e creare consenso per misure sempre più aggressive.
Le bugie sono il carburante di una macchina da guerra che deve convincere i suoi finanziatori di aver ragione, anche quando i fatti e la realtà la smentiscono.
LA REALTÀ DAL FRONTE UCRAINO: DISSENSO, REPRESSIONE E SFINIMENTO
Oltre la cortina fumogena della retorica eroica, l’Ucraina è un Paese allo stremo. L’unità nazionale è una finzione narrativa che si sbriciola sotto il peso di una realtà atroce.
L’esercito ucraino è in agonia demografica e spirituale e le scene da incubo degli arruolamenti forzati per strada, la caccia ai renitenti nascosti nei scantinati, le disperate testimonianze di comandanti al fronte parlano di reclute gettate in battaglia con un addestramento di due settimane: questo è il volto vero della guerra.
La domanda che osserva ogni soldato dal suo buco nel fango è semplice e terribile: “Per quale obiettivo preciso sto morendo?”.
La riconquista della Crimea? Un’utopia militare. Respingere i russi? L’avanzata è lenta e costosa, ma è un fatto, nonostante le armi e gli uomini NATO.
Si combatte per non perdere, senza più un piano per vincere perché si è capito che vincere è impossibile, ma non si vuole ammetterlo.
LA SVOLTA AUTORITARIA DI ZELENSKY.
Di fronte al collasso del consenso, il governo di Kiev ha scelto la repressione. Dopo aver annunciando un alleggerimento della legge marziale, ecco che, invece, ha inasprito pene e controlli sui soldati, trattando la diserzione non come un sintomo di disperazione, ma come un tradimento.
Ovviamente, si sono scatenate proteste nel Paese, soprattutto a Kiev, dove madri, mogli e gli stessi soldati urlano la loro opposizione.
Il leader democratico è ormai un comandante dispotico che cerca di mantenere una coesione che non esiste più.
È la fotografia di una nazione che, per salvare sé stessa dalla guerra, ha ucciso la democrazia.

L’ECONOMIA DI GUERRA: CHI VINCE E CHI PERDE DAVVERO?
Il campo di battaglia più decisivo non è nel Donbass, ma nei portafogli e nei bilanci nazionali. E qui le contraddizioni raggiungono il loro apice.
LA RESILIENZA RUSSA.
Il tentativo di strangolare economicamente la Russia è fallito. Non solo non è collassata, ma cresce il triplo dell’Europa.
La sua industria bellica, deglobalizzata e potenziata, produce con ferrea autonomia.
Fonti ucraine – non certo propaganda russa – parlano di 2.700 droni prodotti al mese. Essendo un impero di materie prime, ha semplicemente dirottato i suoi flussi chiusi dall’Europa verso Cina, India e Turchia, trovando acquirenti felici di fare affari.
Anche perché, gran parte di quelle materie vengono raffinate e vendute all’Europa a prezzi maggiorati.
LA FRAGILITÀ EUROPEA.
L’Europa è sempre più in agonia.
La sua forza manifatturiera dipende da materie prime che non possiede e che ora paga a prezzi gonfiati. Spesso materie prime russe, ma acquistate da paesi intermediari per far finta di credere che possiamo fare a meno di Mosca.
La discussione sulla confisca dei 300 miliardi di asset russi congelati è l’esempio supremo di miopia strategica.
Come ha avvertito il Ministro degli Esteri belga, sarebbe un “terremoto” finanziario, un colpo letale alla credibilità dell’Euro come valuta di riserva globale.
Sarebbe la resa della nostra sovranità finanziaria. Perché chi si fiderebbe più del nostro continente?!
Senza dimenticare che esiste un Diritto internazionale per cui i nostri figli potrebbero ritrovarsi a pagare multe e interessi salatissimi a Mosca come risarcimento nei prossimi decenni.
IL BUSINESS DELLA GUERRA.
Allora, se tutti perdono, chi vince?
Il complesso militar-industriale anglo-americano vede i suoi profitti esplodere.
Gli Stati Uniti consolidano il controllo geopolitico su un’Europa indebolita e dipendente. L’obiettivo inconfessato non è la vittoria di Kiev, ma il logoramento a lungo termine della Russia, anche a costo di sacrificare l’ultimo soldato ucraino e l’ultimo euro dei contribuenti europei.
Siamo ingranaggi di una guerra per procura i cui veri beneficiari siedono lontano dalle trincee, mangiano caviale e bevono Champagne.
A CHI GIOVA LA GUERRA?
Le contraddizioni conducono a una conclusione ineluttabile. La strategia corrente non porterà alla liberazione dell’Ucraina, né alla sicurezza dell’Europa.
Produce solo tre risultati certi: la distruzione sistematica dello stato ucraino, l’impoverimento delle società europee e una pericolosa deriva autoritaria su entrambi i fronti.
Le scelte dei nostri leader appaiono del tutto illogiche se misurate con il metro del benessere dei loro cittadini, ma diventano tragiche e lucide se misurate con altri parametri: il profitto dell’industria degli armamenti, il consolidamento egemonico statunitense, la resa dei conti con un rivale strategico.
A chi giova questa guerra senza fine?
La risposta non si trova nei comunicati stampa di Bruxelles o di Kiev e nemmeno nella tanta, troppa propaganda veicolata per tre anni e mezzo.
Si trova seguendo i flussi di denaro, le oscillazioni dei titoli delle grandi corporation della difesa e le mappe geopolitiche ridisegnate nelle stanze del potere di Washington.
Noi, europei e ucraini, non siamo che pedine in questo grande gioco.
Fino a quando accetteremo silenziosamente questo ruolo, la schizofrenia diventerà la nostra unica, tragica, normalità.
E il futuro sarà una lunga lista di morti sacrificati sull’altare del dio denaro e del potere geopolitico.
