La pubblicazione dei verbali del Comitato Tecnico Scientifico rappresenta il più formidabile caso studio degli ultimi decenni, perché non sono post o documenti di qualche strampalato complottista, ma materiale ufficiale.
Sono la radiografia di un trauma nazionale, la mappa di come un Paese possa essere condotto, attraverso la comunicazione, ad abdicare al proprio spirito critico e alla sua stessa Costituzione, in nome di una presunta superiore necessità.
«L’HA DETTO IL CTS» LA SACRALIZZAZIONE MEDIATICA DI UN ORGANISMO CONSULTIVO
La prima, potentissima, lezione è la costruzione di un totem mediatico.
La ripetizione martellante, H24, dei mantra «L’ha detto il Cts», «C’è il parere del Cts» non era informazione, ma un rituale di sacralizzazione.
In sociologia, questo meccanismo è noto: si prende un’entità complessa (un comitato di esperti), la si riduce a un simbolo monolitico (“la Scienza”) e la si spaccia per oracolo indiscutibile.
Il presidente Franco Locatelli, con la sua insistenza sulla «posizione unitaria del comitato», agiva come un sommo sacerdote che reprime l’eterodossia.
Ogni posizione dissonante non era un dibattito scientifico, ma diventava un’eresia da tacitare.
In questo modo, il dibattito interno (sano, vitale, scientifico) veniva, di fatto, occultato per proiettare all’esterno un’immagine di unanimità perfetta, necessaria a legittimare scelte politiche draconiane.
Mentre tanti giornalisti affibbiavano etichette di complottisti, novax e persino epiteti più volgari a quei medici che dissentivano su provvedimenti e vaccini.
IL TRADIMENTO ETICO IN NOME DELLE ISTITUZIONI
C’è una frase che risulta agghiacciante e che dimostra come la mancanza di attributi possa fare del male a un’intera nazione: «Do una mia approvazione non convinta, CHE NON RESTI A VERBALE».
È l’ammissione di un conflitto interiore: “Io rimango fermamente convinto delle evidenze che non supportano una decisione politica e scientifica come questa”.
L’esperto è ancora tale, riconosce il primato dell’evidenza scientifica.
Tuttavia, prevale l’invocazione di un principio distorto, di un insegnamento che ci aspetteremmo più dalla Russia o dalla Cina e non certo ci saremmo aspettati da una democrazia: “Mi hanno insegnato che le istituzioni si servono e non ci si serve delle istituzioni”.
Una teoria che stride sull’intero impianto della Costituzione italiana che si erge proprio sul principio contrario, di sovranità del popolo. Non delle istituzioni.
Inoltre, nel pensiero del Prof. Locatelli avviene uno slittamento etico, poiché servire le istituzioni non significa accondiscendere ciecamente a un esecutivo, come in Corea del Nord, ma servire i principi costituzionali e il bene comune che quelle istituzioni dovrebbero incarnare.
Quindi, viene confuso il fine (la Repubblica) con il mezzo (il governo in carica).
L’approvazione formale c’è, per “evitare lacerazioni”, ma la verità viene confinata in una confessione tra iniziati, che non deve apparire a verbale, non deve essere ufficiale.
È la quintessenza della “Ragion di Stato”, cioè la creazione di una verità pubblica e di una verità privata (il dubbio, la coercizione). Una creazione per cui la scienza è stata sacrificata sull’altare dell’unità politica.
Questo non è servire lo Stato, ma è servire un potere.
E la differenza è abissale.

L’INGEGNERIA DEL CONSENSO: INFODEMIA, MARGINALIZZAZIONE E SOVRAESPOSIZIONE SELETTIVA
Per imporre un regime come il Green Pass, che condizionava le libertà fondamentali all’adesione a un trattamento medico, serviva un consenso bulgaro.
La società non era concorde? Allora la si sarebbe resa tale attraverso un’operazione di ingegneria sociale precisa, come si è applicata attraverso alcuni processi.
- Aumento dell’Infodemia, inondando il dibattito pubblico di informazioni contraddittorie, complesse, non filtrate. Lo scopo non era chiarire, ma confondere. Una popolazione confusa è più incline a cedere la propria sovranità cognitiva a un “esperto” televisivo.
- Colpevolizzazione ed emarginazione dei critici. I medici dissenzienti non erano interlocutori, ma venivano presentati come eretici, untori, no-vax da scomunicare e radiare. D’latronde, la sociologia studia da sempre il potere del capro espiatorio come cemento di un gruppo. Il mecico critico diventava il nemico esterno da abbattere per consolidare l’identità del gruppo interno (“noi, i vaccinati, i buoni”).
- Sovraesposizione degli “entusiasti”. Si è creata una cassa di risonanza mediatica per pochi personaggi, spesso con conflitti d’interesse mai dichiarati, che sostituivano il dibattito scientifico con il mantra rassicurante e non verificabile dell'”è sicuro, è efficace”. Chi non aveva mai letto un report aveva più spazio di chi sollevava perplessità basate su dati.
LA COMMISSIONE D’INCHIESTA PARLAMENTARE CONTRO LA RAGION DI STATO
Ora, il nodo arriva al pettine.
La Commissione parlamentare di inchiesta Covid non dovrà interrogare solo scienziati, ma sfidare un sistema e un paradigma culturale per cui l’”Imperativo Politico” ha superato la Scienza – quella vera – e l’etica.
La vera “Ragion di Stato” che è emersa dalla divulgazione dei documenti ufficiali è da brividi, perché la vita dei singoli (la giovane di 18 anni che ha creduto nella narrazione ed è morta, così come le migliaia di danneggiati) è stata un danno collaterale accettabile per il perseguimento di un obiettivo politico più grande, per mostrare un’unità di intenti, un controllo ferreo della situazione, un’immagine di forza.
Insomma, per mettere sotto chiave la democrazia per diversi mesi.
L’assordante silenzio mediatico-politico di fronte a queste rivelazioni ne è la conferma. Perché queste notizie dirompenti dovrebbero essere più martellanti delle narrazioni ottriate h24 durante la pandemia.
Invece, il sistema si autoprotegge perché chi dovrebbe gridare allo scandalo è parte integrante del meccanismo.
DAL FANGO, LA RICHIESTA DI GIUSTIZIA
Quello che è emerso è, pura immondizia.
Una palude in cui istituzioni, politica, media e parte della comunità scientifica e medica hanno nuotato, tradendo il mandato di servire il popolo per servire interessi e narrative.
Ma l’immondizia, per essere smaltita, ha bisogno di azioni decise. Ha bisogno di Verità e della Giustizia.
Il potere si nutre di opacità. Il primo atto di liberazione è portare questa opacità alla luce e quei verbali sono luce.
Le parole agghiaccianti di quella riunione sono luce, per quanto bruciante e umiliante per chiunque creda ancora nella democrazia e nell’etica.
Ora, i nomi e i cognomi ci sono, così come le responsabilità di chi ha fatto, detto e deciso che cosa.
Perciò tali responsabilità devono essere accertate. La Giustizia non può e non deve essere inerte. Non può diventare parte del sistema, altrimenti la Costituzione non sarebbe stata soltanto sospesa per un lungo periodo, ma diventerebbe carta straccia.
Non si tratta di vendetta, ma di far riconquistare un minimo di fiducia nelle istituzioni, che si costruisce solo con la trasparenza, non certo occultando e facendo finta che nulla sia accaduto.
E, certamente, non alimentando altre narrazioni farlocche.
Si tratta di onorare la memoria di chi non c’è più e di restituire dignità a chi è stato danneggiato sulla base di scelte politiche che, come ci dicono i verbali, non avevano alcuna base scientifica a sostegno.
Con la speranza che non accada mai più che la Ragion di Stato, così cinicamente intesa, soffochi il dubbio scientifico, la voce della coscienza e il diritto a un consenso informato e veritiero.
Perché la costruzione del consenso, quando calpesta l’etica, il contraddittorio, i diritti umani e l’evidenza, non è democrazia.
È la sua negazione.
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