Il conflitto in Ucraina infiamma il confine orientale del continente, mentre le tensioni con la Cina ridisegnano le catene del valore nel mondo intero.
In tale contesto, l’Unione Europea recita un ruolo ambiguo, dissonante, profondamente schizofrenico, senza una linea definita.
Un nano politico, un attore che dovrebbe dettare l’agenda ma che, invece, subisce le strategie di potenze ben più grandi e influenti.
La tesi centrale che intendo sviluppare, riprendendo e amplificando le lucidissime analisi del Professor Jeffrey Sachs, economista di Columbia University e consigliere ONU, è che l’Europa è prigioniera delle proprie scelte, di una politica estera dettata dalla paura, ed è subalterna agli interessi strategici degli Stati Uniti.
Una prigionia che sta sistematicamente erodendo la sua prosperità economica, la sua coesione sociale e, paradossalmente, la sua sicurezza a lungo termine.
DIAGNOSI DELLA CRISI: I COSTI DI UNA POLITICA ESTERA FALLIMENTARE
Il professor Sachs delinea con precisione chirurgica la Triade della Vulnerabilità europea, dovuta a un sistema di dipendenze patologiche.
- Ostilità verso la Russia, trasformata da partner energetico e commerciale in un nemico esistenziale, con costi immediati e catastrofici.
- La diffidenza reciproca con la Cina, che rischia di disaccoppiare l’economia europea dal suo più grande mercato di riferimento per il futuro.
- L’estrema dipendenza dagli USA; la sicurezza e la bussola strategica dell’Europa sono delegate a Washington, un potere che non ha come priorità assoluta il benessere dei cittadini europei, bensì dei propri.
I costi economici e sociali di queste scelte politiche sono già sotto gli occhi di tutti.
Il crollo delle esportazioni verso la Russia ha devastato interi distretti industriali, così come l’aumento vertiginoso dei costi energetici ha scatenato un’ondata inflazionistica senza precedenti, erodendo il potere d’acquisto delle famiglie e strangolando la competitività delle imprese.
Il rallentamento della crescita industriale, in particolare nel settore automobilistico e chimico tedesco, è un campanello d’allarme drammatico.

Inoltre, i costi militari e strategici sono ancor più insidiosi.
L’ossessione per il raggiungimento della fatidica quota del 5% del PIL per la spesa militare, su input NATO, drena risorse preziose che potrebbero essere investite nella transizione ecologica, nell’istruzione, nella sanità e in quel welfare che, invece, stanno smantellando ovunque, per finanziare la guerra alla Russia.
Ogni euro speso per un carro armato è un euro sottratto alle pensioni e ai servizi dei cittadini europei.
Ma il costo maggiore è la perdita di autonomia decisionale. L’Europa si ritrova ad essere pedina, non giocatore, in una partita giocata da altri.
DECOSTRUIRE LA NARRATIVA OCCIDENTALE: IL “FALSO PRESUPPOSTO” DELL’IMPERIALISMO RUSSO
La giustificazione ideologica della trappola strategica è una narrativa potente e semplicistica, che combina la perniciosità della propaganda alla chiacchiera da bar, per cui la Russia sarebbe un impero espansionista e aggressivo.
Sachs, e con lui una schiera di storici realisti, tra cui anche molti italiani, smonta questo assunto pezzo per pezzo.
La Storia ci ricorda che la Russia è stata ripetutamente invasa dall’Occidente. Napoleone, Hitler due volte.
La memoria storica russa è plasmata dalla ricerca di profondità strategica e sicurezza dei confini, non da un desiderio di conquista imperialistica in Europa e la ricerca di una “zona cuscinetto” spiega le azioni di Mosca non come mera aggressione, ma come una reazione prevedibile, seppur tragicamente violenta, a oltre trent’anni di provocazioni occidentali che sono ampiamente documentate dai fatti.
L’espansione ad est della NATO, contraria alle promesse americane ai leader sovietici alla fine della Guerra Fredda, è percepita a Mosca come un accerchiamento diretto, per cui l’invasione dell’Ucraina è l’apice di un’escalation, non il suo punto di partenza.
Ed è qui che si smonta miseramente tutta la propaganda russofoba, quella narrazione occidentale sull’orco russo.
I falchi della Guerra Fredda, soprattutto nelle amministrazioni USA, hanno sistematicamente ignorato le preoccupazioni di sicurezza russe, scegliendo la logica del vincitore su quella della cooperazione multipolare, in nome di quel Progetto per un Nuovo Secolo Americano, che vedeva proprio nell’accerchiamento alla Russia un modus operandi per annientare Mosca.
Hanno alimentato quello che la teoria delle relazioni internazionali definisce un classico “Dilemma della Sicurezza”, per cui dove le misure difensive di una parte (la NATO che si “difende” espandendosi) sono percepite come profondamente offensive dall’altra, innescando una spirale di sfiducia e conflitto.
Un po’ ciò che accadde agli inizi del Novecento, quando la Germania investì molto sulla sua flotta navale, spingendo il Regno Unito ad aumentare la forza della sua flotta. Di conseguenza, anche la Francia, avvertendo un pericolo, investì nel suo esercito.
Bastò una miccia e l’Europa s’incendiò.
UNA NUOVA POLITICA ESTERA PER L’EUROPA: DIECI PASSI VERSO L’AUTONOMIA STRATEGICA
La diagnosi del professore è inappellabile, ma Sachs non si limita alla critica, infatti propone una roadmap concreta, un decalogo per la sovranità, il cui principio guida è lapalissiano: rimettere la diplomazia al centro e agire esclusivamente sulla base degli interessi europei.
La politica al centro, dunque, non i tecnici.
RIPRENDERE LA DIPLOMAZIA E PACIFICARE I CONFLITTI
Aprire canali diplomatici diretti e continui con Mosca è un atto dovuto. Perseverare con il muro è suicida e il silenzio è il miglior alleato dell’escalation.
Prepararsi attivamente per una pace negoziata in Ucraina, la cui soluzione dovrà inevitabilmente includere garanzie di sicurezza per Kiev e un impegno formale e irrevocabile alla non-espansione della NATO verso est.
È no, non si tratta di concessione a Putin, ma di realpolitik.
RIDEFINIRE LE RELAZIONI CON LE POTENZE GLOBALI
Rifiutare la militarizzazione dei rapporti con la Cina perché Pechino è un competitor economico, non un nemico militare. Semmai, è indispensabile attivare un dialogo sulla cooperazione sul clima, sul commercio e sulla finanza globale.
Collaborare strategicamente con l’Unione Africana, investendo massicciamente in istruzione e formazione, per costruire un partenariato paritario e di lungo periodo, cosa che gioverebbe anche sul fronte migratorio.
Collaborare con i BRICS+ per costruire un vero ordine mondiale multipolare, basato sul diritto internazionale e non sull’egemonia unipolare del blocco statunitense.
RIORIENTARE LE RISORSE E LE ALLEANZE
Dissociare formalmente la politica estera dell’UE dalla NATO, perché le due organizzazioni devono avere obiettivi e priorità distinti.
La prima per la diplomazia e lo sviluppo, la seconda per la difesa collettiva, in attesa di un esercito UE che non può nascere prima di un’unione politica. Perché chi lo comanderebbe e chi sarebbe disposto a ubbidire agli ordini dell’Italia o della Grecia? O dell’Olanda o della Germania? Quale soldato vedrebbe l’Europa come patria e non più la propria nazione?
Poi bisogna ridirezionare le risorse dagli aumenti di spesa militare NATO al finanziamento del Green Deal Europeo (EGD). La vera sicurezza del XXI secolo è energetica, climatica e sociale. Non bombe e droni che uccidono.
Collaborare con la Cina per co-finanziare infrastrutture nei paesi in via di sviluppo e non competere. Nella competizione si esce sconfitti, mentre la cooperazione fa crescere.
COSTRUIRE UN QUADRO ISTITUZIONALE EFFICACE
Semplificare e potenziare il meccanismo decisionale per la politica estera europea. L’unanimità nel Consiglio Europeo è un veto camuffato alla sovranità. Serve un sistema a maggioranza qualificata per le questioni di politica estera, ma non prima di aver costruito una unione dove i popoli hanno voce in capitolo e possono votare i propri rappresentati della Commissione, compreso il presidente.
Senza un’Europa nazione, l’Unione resta un mostro di tecnocrazia che impone e viene percepita da tanti europei come una sorta di dittatura leggera.
Sviluppare una capacità militare europea indipendente e credibile, con costi contenuti e ben al di sotto del 5% del PIL. Una forza di difesa che risponda esclusivamente al Parlamento Europeo e al Consiglio Europeo.
Ma, anche in questo caso, serve prima la costruzione di una identità europea di nazione comune. Altrimenti nessun francese accetterà mai di restare agli ordini di un tedesco o di un greco.
LA SCELTA TRA SUBALTERNITÀ E SOVRANITÀ
L’attuale politica estera europea è costosa, pericolosa e fondata su presupposti storici e strategici errati, nonché illogici.
Questa Europa ci sta conducendo verso un vicolo cieco fatto di stagnazione economica, insicurezza perpetua irrilevanza geopolitica.
La visione alternativa esiste ed è pragmatica, coraggiosa e necessaria.
L’Europa ha ancora la possibilità, forse l’ultima, di diventare il polo di pace, stabilità e innovazione sostenibile in un mondo multipolare e può scegliere di basare la sua azione sulla diplomazia intelligente, sul diritto internazionale, sulla cooperazione eurasiatica e su uno sviluppo che non lasci indietro nessuno.
È giunto il momento di una profonda e dolorosa rivalutazione degli interessi nazionali e continentali.
La scelta è tra continuare a essere un vicario, un vassallo di un potere transatlantico in relativo declino, o prendere in mano il proprio destino.
La via della diplomazia e dell’autonomia non è una garanzia di successo, ma la subalternità è una garanzia certa di fallimento, come dimostrano le scellerate scelte con la guerra in Ucraina, che hanno portato tre anni e mezzo di morte e distruzione per ritrovarci al punto di partenza, ma con carte in mano meno forti di quelle del 2022.
La sovranità è l’unica via per una sicurezza duratura e una prosperità condivisa.
Ma servirebbero leader con forti competenze sociologiche e culturale, invece abbiamo tecnici più o meno super, bravissimi a chiederci di scegliere tra condizionatori o pace e a raccontarci narrazioni distanti anni luce dalla realtà presentata dal tempo e dai fatti.
Diciamocelo: si prevedono tempi bui.
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