La guerra si combatte con le armi, ma si vince con le parole.
No, non è una massima filosofica, ma la cruda realtà strategica del XXI secolo. Della nostra contemporaneità.
Ogni comunicato, ogni rapporto, ogni immagine diventa munizione in un conflitto che si estende ben oltre le trincee fisiche e le pallottole o i missili si sparano a ogni ora.
Il 4 agosto 2022, Amnesty International ha lanciato una notizia che è diventato un detonatore mediatico e strategico di portata mondiale.
Il suo comunicato diceva: “Ucraina: le tattiche di combattimento ucraine mettono in pericolo i civili”.
Un’evidenza che ha scosso il fronte occidentale, armato la propaganda russa e sollevato interrogativi fondamentali sul ruolo degli osservatori neutrali in un mondo brutalmente polarizzato.
Questo articolo non si limita a ripercorrere la cronaca di una controversia, ma intende condurre un’autopsia del testo, del contesto e del pretesto.
IL CONTESTO DIPLOMATICO – UN DIALOGO TRA SORDI
Per comprendere l’impatto del rapporto di Amnesty, bisogna prima capire il palcoscenico su cui è caduto, un palcoscenico desolatamente vuoto di diplomazia.
Da un lato, Mosca insiste per affrontare le “cause profonde” del conflitto, un linguaggio in codice per discutere l’architettura di sicurezza europea e l’espansione della NATO a Est; dall’altro, l’Occidente, e in particolare l’Europa, si aggrappa all’idea di un cessate il fuoco, una soluzione che congelerebbe il conflitto senza risolverne le radici.

In mezzo i volenterosi belligeranti, da Macron a Kallas, che vaneggiano, pretendendo che la Russia si ritiri dai territori conquistati.
La diplomazia è ferma e se questo stallo continuerà, la soluzione non sarà trovata al tavolo dei negoziati, ma imposta sul campo di battaglia dalla potenza più forte: la Russia.
L’Occidente ha perso la ragione, oltre alla guerra.
L’ACCUSA – IL “MODELLO” UCRAINO SECONDO AMNESTY
Il 4 agosto 2022, Amnesty ha pubblicato le sue scoperte.
L’organizzazione accusava le forze ucraine di aver adottato un “modello” di tattiche che violava il DIU e metteva a rischio i civili.
I punti salienti dell’accusa erano molteplici.
I ricercatori avevano documentato almeno 19 casi in città e villaggi dove le forze ucraine avevano stabilito basi e operato con sistemi d’arma all’interno di aree residenziali popolate.
Nello specifico, l’esercito ucraino è stato accusato di usare 22 delle 29 scuole visitate e 5 ospedali come “basi militari de facto”, trasformando di fatto queste strutture protette in obiettivi militari legittimi.
Amnesty, inoltre, ha dichiarato di non essere a conoscenza di casi in cui i militari ucraini avessero chiesto o assistito i civili ad evacuare le aree circostanti, venendo meno al dovere di prendere “tutte le precauzioni possibili”.
Questi posizionamenti, secondo il comunicato, avevano direttamente provocato attacchi russi che avevano ucciso civili e distrutto infrastrutture.
La Segretaria Generale, Agnès Callamard, ha chiosato: “Essere in una posizione difensiva non esenta l’esercito ucraino dal rispetto del diritto umanitario internazionale”.
Una frase legalmente ineccepibile, ma politicamente esplosiva, che cambiava la narrazione dell’aggressore e dell’aggredito, tanto caro alla propaganda russofoba.
Perciò, ai volenterosi non poteva andare giù.
L’AUTOPSIA LEGALE – FATTI CORRETTI, CONCLUSIONI AFFRETTATE
La reazione fu immediata e feroce.
Per placare le acque, Amnesty International commissionò una revisione a un comitato di cinque tra i più autorevoli esperti di DIU al mondo.
Il loro rapporto è stato un capolavoro di analisi forense, che distingue nettamente tra fatti, interpretazioni e comunicazione. Ma, ancor di più, un capolavoro di politichese, che, di fatto, edulcora le conclusioni dello studio a favore della narrazione della propaganda occidentale.
I fatti elencati nel documento di Amnesty erano corretti, ma i fatti, da soli, non fanno il diritto.

Il comitato ha demolito, pezzo per pezzo, la solidità delle conclusioni legali di Amnesty.
Anche se restano intatti i fatti, inequivocabili. Che non cambiano di una virgola la prepotenza dei concetti espressi.
L’errore capitale di AI, per i revisori del documento, sarebbe stato affermare con certezza che l’Ucraina aveva violato il DIU.
Il concetto di “precauzioni fattibili” è complesso e dipende dal contesto, perciò, senza conoscere le valutazioni militari ucraine, sarebbe stato impossibile concludere categoricamente che esistessero alternative “ugualmente benefiche dal punto di vista militare”.
Amnesty avrebbe dovuto usare un linguaggio condizionale: “potrebbero aver violato”.
Semantica, solo semantica. E quando resta solo il gioco della semantica, significa che i fatti sono inoppugnabili. E fanno male alla narrazione della propaganda anti-russa.
Ma andiamo avanti nella rivisitazione dei fatti.
L’uso di termini come “modello” (pattern) e la struttura narrativa del comunicato avrebbero involontariamente creato una percezione di falsa equivalenza morale tra le azioni dell’aggressore (la Russia) e quelle del difensore (l’Ucraina), dando l’impressione che le vittime civili fossero una conseguenza quasi meccanica e ugualmente colpevole delle tattiche di entrambe le parti.
Anche in questo caso, si gioca sulle parole per cercare di sorvolare sui fatti, che, tuttavia, restano evidenti e incontrovertibili, tant’è che anche tentare di rivalutarli è stato impossibile, se non giocando sui tempi verbali e sulla semantica.
Il comitato ha poi criticato Amnesty per non aver intrapreso un “dialogo” con le autorità ucraine durante la fase investigativa, limitandosi a un formale “diritto di replica” a ridosso della pubblicazione.
Questo, sempre a detta del comitato, avrebbe impedito di raccogliere informazioni essenziali per un giudizio equilibrato.
Come non bastasse, sempre a giudizio del comitato, un comunicato stampa di 1700 parole sarebbe uno strumento inadatto per affrontare questioni legali e militari di tale complessità.
La necessità di sintesi avrebbe portato a una semplificazione eccessiva e a una perdita di precisione cruciale.
Un po’ ciò che è accaduto con le tante info da bar su pale e microchip, ma sorvoliamo.
LA GUERRA DELLA NARRATIVA E LE SUE VITTIME COLLATERALI
Ciò che questo episodio rivela va ben oltre i confini di Amnesty International, poiché dimostra la natura della guerra moderna, in un’epoca di guerra ibrida, dove l’informazione è un dominio operativo al pari di terra, mare e aria, e la neutralità è un’impresa quasi impossibile.
Il rapporto di Amnesty è diventato un’arma che piaceva poco all’Occidente, perché ne smontava la narrazione.
La Russia lo ha immediatamente brandito per giustificare i propri attacchi indiscriminati, – e nessuno nega l’aggressività russa, – sostenendo che erano le forze ucraine a nascondersi tra i civili.
La stessa scusa ripetuta più volte da Israele, dopo le sue numerose stragi compiute a Gaza. Solo che, in quel caso, l’Occidente non ha mai messo in discussione tali affermazioni.
L’Occidente, d’altra parte, anziché prendere consapevolezza della verità portata alla luce da Amnesty, l’ha accusata di fare il gioco del Cremlino, minando lo sforzo bellico di una nazione che combatte per la propria sopravvivenza.
Le vittime collaterali, qui, non sono state solo la reputazione di Amnesty International, la verità e il buonsenso, ma potenzialmente il concetto di monitoraggio imparziale dei diritti umani e la volontà di voler affrontare il concetto stesso di diritti umani.
Se anche un’organizzazione con decenni di esperienza viene messa in discussione quando porta alla luce verità che vengono percepite come scomode a una certa propaganda, quale speranza c’è per un’informazione equilibrata?
OLTRE LA CONTROVERSIA, UNA LEZIONE SULLA VERITÀ IN GUERRA
Le constatazioni fattuali dei ricercatori sul campo dimostrano che anche nella più giusta delle guerre difensive, la protezione dei civili rimane un obbligo sacro e complesso. Altrimenti, non sei diverso da chi consideri aggressore.
In guerra, la prima vittima è la verità, e la responsabilità di chi cerca di documentarla è immensa, così come i pericoli che corre, perché a tanti non piacciono certe conclusioni della verità.
Cosa che sanno molto bene quelli accusati di essere putiniani, filorussi o altre supercazzole sul tema. Ancora meglio, lo sanno le famiglie dei giornalisti ammazzati dall’esercito israeliano dal 2023 a oggi.