L’IRREALISMO DIPLOMATICO DELL’EUROPA E DI ZELENSKY SULLA GUERRA IN UCRAINA

Un’analisi delle richieste insostenibili e dei doppi standard che allontanano la pace, mentre si accelera verso il riarmo.

L’ESCALATION E LA RETORICA E MILITARE

Mentre i cieli di Kiev vengono nuovamente squarciati dai droni, la macchina burocratica di Bruxelles non si ferma.

Anzi, accelera. Si prepara il diciannovesimo pacchetto di sanzioni, si valuta l’invio di istruttori NATO in suolo ucraino, un atto che, per chi ha memoria storica, sa di fiammifero vicino alla polveriera.

Ogni missile, ogni vittima, non viene utilizzato come grido disperato per fermare le ostilità, ma diventa il pretesto per alzare ancora di più l’asticella dello scontro.

Stiamo assistendo a un pericoloso gioco delle parti.

Da un lato, una retorica bellicista e un riarmo senza precedenti. Dall’altro, proposte diplomatiche così platealmente irrealistiche da apparire volutamente costruite per fallire.

Perché solo uno squilibrato può pretendere che chi sta vincendo la guerra abbandoni i territori conquistati per fare un favore a chi è molto vicino alla sconfitta.

Questo non è il percorso verso la pace.

È un calcolo cinico, un gioco delle parole che usa le vite degli ucraini come pedine e come leva negoziale per giustificare un conflitto di lunga durata. È il trionfo della narrazione sulla sostanza, della propaganda sulla politica.

IL VERTICE IMPOSSIBILE: UN ULTIMATUM, NON UN INVITO AL DIALOGO

Prendiamo la richiesta surreale lanciata nelle scorse ore: un vertice tra Putin e Zelensky entro lunedì.

La giustificazione?

Se non accadesse, “Trump sarebbe stato preso in giro da Putin”. Come se Trump e Putin non si sentissero ogni giorno e non avessero ben chiari gli sviluppi del mondo a cui gli europei non sono stati invitati.

Lo show messo in piedi dai leader europei non è un argomento da scuola di diplomazia, ma somiglia più alla caciara da bar. È un costrutto politico così pretestuoso che smaschera da solo la sua natura di mera operazione di pressione mediatica.

Qualsiasi studente al primo anno di Relazioni Internazionali sa che un vertice tra leader nemici in piena guerra è il coronamento di mesi, a volte anni, di trattative segrete, di scambi di documenti, di garanzie.

I leader non si incontrano per perdere tempo, ma solo quando manca soltanto la firma in calce ad atti preparati dalle rispettive delegazioni.

E oggi, di fronte alle richieste russe per giungere a una pace, che sono le stesse da tre anni, a cui si è aggiunta una porzione di territori in più, è fuori da ogni logica parlare di “pace giusta” e di resa di Mosca.

L’obiettivo dei leader europei è lampante e non è affatto ottenere il vertice.

L’obiettivo è poterne addossare la colpa del fallimento annunciato a Putin, dando nuova linfa alla propaganda russofoba di casa nostra e giustificando il diciannovesimo, il ventesimo, il ventunesimo pacchetto di sanzioni.

È un copione già scritto, già visto e recitato male.

Un copione che produrrà solo altri ucraini mandati al macello e altre terre conquistate da Mosca.

LA LOGICA INVERTITA DELLA TREGUA: CHIEDERE LA RESA PRIMA DELLA TRATTATIVA

L’Europa, quella stessa che definisce Putin “l’orco” (citazione testuale del Presidente Macron, degna della migliore retorica da osteria) e che inonda l’Ucraina di armamenti sempre più letali, chiede alla Russia di ritirarsi completamente da tutti i territori conquistati come precondizione solo per sedersi a un tavolo.

Stiamo sostanzialmente chiedendo alla parte che, sul campo, detiene il vantaggio strategico, di arretrare unilateralmente, di consegnare all’avversario una tregua per avere il tempo di riorganizzarsi, senza avere in cambio alcuna garanzia.

È una follia.

Non esiste un solo precedente storico in cui ciò sia avvenuto.

Questa non è una richiesta di tregua, ma di una resa incondizionata travestita da proposta di pace. È il trionfo della volontà ideologica sulla realtà dei fatti.

Ma i fatti, si sa, sono testardi.

Perciò non avverrà nessun incontro con Zelensky, semplicemente perché Putin ha il coltello dalla parte del manico e continua a pugnalare senza che né Zelensky né la Nato possano fare nulla per impedirgli di proseguire, come dimostrano i fatti.

I DUE PESI E LE DUE MISURE: LO SGUARDO DISTOLTO DAL MEDIORIENTE

Intanto, qualche migliaio di chilometri più in là, Israele continua il suo macabro gioco.

Perciò, da un lato, abbiamo lo zelo quasi maniacale contro “l’orco Putin”. Sanzioni su sanzioni, mobilitazione economica, retorica infuocata, definizioni da crociata. Persino l’idea di mandare soldati europei a morire in Ucraina.

Dall’altro, abbiamo lo sguardo distolto, imbarazzato, vigliacco, verso un altro scenario di atrocità: Gaza.

L’Europa, paladina del diritto internazionale quando le conviene, sta di fatto ignorando le conclusioni della Corte Penale Internazionale, che ha emesso un mandato d’arresto per il Premier israeliano per crimini di guerra e contro l’umanità ben più gravi di quelli commessi da Mosca in Ucraina.

Dove sono le sanzioni? Dov’è la mobilitazione?

Dove è la retorica da crociata?

Ancora tutto impantanato in dichiarazioni poco chiare e riunioni perditempo.

Questa palese, oscena incoerenza non è un dettaglio.

È la prova che le azioni europee non sono guidate da un principio superiore di giustizia o di difesa della vita umana, ma da un calcolo geopolitico preciso e spietato: il contenimento della Russia a tutti i costi.

Le altre vite e gli altri crimini, evidentemente, contano di meno.

UNA PACE LONTANA, UNA GUERRA SEMPRE PIÙ VICINA

Dunque, ricapitoliamo.

Proposte diplomatiche surreali e irrealizzabili, concepite per fallire e fornire alibi.

Una postura militare sempre più aggressiva e pericolosa. Una coerenza morale inesistente, smascherata dal doppio standard applicato alle vittime di conflitti diversi.

Questo cocktail esplosivo non avvicina la pace di un solo millimetro. Al contrario, la rende un’ipotesi sempre più remota, un sogno sepolto sotto le macerie di Mariupol e di Gaza.

Ma si tratta di una strategia che intrappola il popolo ucraino in un conflitto di logoramento dove a essere logorate sono le sue città e i suoi figli.

Mentre i leader europei e ucraini “giocano” con la diplomazia, facendo richieste che sanno essere impossibili, e si preparano alla guerra totale, il prezzo lo stanno pagando le vite di chi quella guerra la subisce.

In nome di cosa?

Della sconfitta della Russia, a qualunque costo umano. Un esito impossibile, perché, qualora la Russia si trovasse mai in difficoltà, userebbe le armi atomiche, senza se e senza ma.

Putin è cinico, determinato, tenace e criminale quanto basta per poterne esserne certi.

Resta da vedere fino a che punto i leader europei, che finora non ne hanno azzeccata mezza, a cominciare dalle famose “sanzioni dirompenti”, saranno disposti a spingere questa partita.

La risposta che sembra emergere dai comunicati di Bruxelles, purtroppo, sembra dire fino all’ultimo europeo.

E sembra anche che i leader europei diano per scontato che i popoli dei 27 siano pronti a immolarsi in nome del riarmo e delle lobby delle armi.

E se, invece, costretti a combattere, scegliessero di marciare verso Bruxelles per chiedere conto ai tecnocrati dei loro fallimenti?

C’è chi spera che, prima o poi, la realtà dei fatti sovrasti la dimensione orwelliana in cui ci hanno incastrato a forza, ma, almeno per ora, non si vedono segnali che facciano sperare in un simile epilogo.

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Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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