È uno spettacolo che solo l’Italia poteva offrire.
Surreale, persino fantozziano.
Il boia, dopo aver affilato la mannaia e averla utilizzata con metodo sull’industria italiana, si presenta al meeting di Rimini per divulgare i risultati dell’autopsia eseguita sul cadavere.
Per spiegarci, con la pacatezza del professore, come e perché sia morto.
Stiamo parlando, ovviamente, di Mario Draghi. “Super” come lo definiscono in tanti, quelli che a ogni bugia applaudono come avesse parlato l’oracolo.
Dopo mesi di lontananza dalla scena politica, degna dei migliori latitanti, l’ex Presidente del Consiglio e della BCE ha deciso di graziarci con la sua analisi sulla politica estera europea, dicendo cose di cui scriviamo da tempo e con un ritardo di tre anni. Un’inezia.
Come commentare il perché di una disfatta alla prima di campionato solo a campionato concluso.
La critica di Draghi, in sé, è anche condivisibile, sebbene scontata e comprensibile già anni fa a chi non fosse “super”.
L’Europa è marginale e goffa. Un nano geopolitico che si illude di essere un gigante.
Ma il vero problema non è la diagnosi, ma è il medico. Draghi che critica la creatura che ha contribuito a inventare è come un piromane che tenesse una conferenza sulla prevenzione antincendio.
Da quale pulpito viene la predica?!
L’ARCHITETTO DEL DECLINO ORA NE SPIEGA LE RAGIONI
L’impietosa analisi di Draghi svilisce le competenze di Ursula von der Leyen e Josep Borrell.

Giusto.
Ma qualsiasi imprenditore che si ritrova a pagare bollette alle stelle per le scelte di politica estera e qualsiasi concessionario d’auto che non vende per colpa delle politiche green dicono la stessa cosa già dal 2020.
Inoltre, l’analisi viene proprio da chi, da Presidente del Consiglio, ha operato per la progressiva marginalità dell’Ue.
Ha scelto ministri degli Esteri per appartenenza politica, non per competenza. Si ricordi un certo Luigi Di Maio, capolavoro di meritocrazia.
Ha sempre e comunque sostenuto la deriva ideologica più folle: il Green Deal. Quella colossale operazione di decarbonizzazione che, nella sua irrealizzabilità dogmatica, sta conducendo l’Europa al suo suicidio industriale.
Draghi ha cooperato, deliberatamente, alla distruzione del settore industriale europeo. In primis l’automotive. Anche se il suo capolavoro lo firmò da direttore generale del Tesoro.
Era il 1992. Luglio 1992.
Mentre il finanziere George Soros speculava sulla lira e sulla sterlina, il governo Amato, in cui Draghi era braccio destro operativo – decise di smantellare l’Italia in un mese.
L’11 luglio, il decreto per la privatizzazione dell’intero sistema produttivo pubblico. Diede il via allo smantellamento metodico e alla svendita del Paese a multinazionali straniere.
Il colpo di grazia arrivò il 31 luglio, con l’accordo con i sindacati che piegò la testa dei lavoratori: abolizione della scala mobile, blocco dei contratti, precarietà, taglio delle pensioni.
Da lì, i salari italiani iniziarono una caduta libera che non si è più fermata.
L’Italia di oggi è stata programmata in quel luglio 1992.
LA CURA DRAGHI PER L’EUROPA: PIÙ TECNOCRAZIA PER CURARE I MALI DELLA TECNOCRAZIA
Il colmo dei colmi è, però la perfezione della circonvoluzione retorica di Mario Draghi, perché la sua ricetta per guarire l’Europa dai malanni causati dalla tecnocrazia è una super-dose dello stesso veleno: più Europa.
Più integrazione. Più tecnocrazia. Più debito comune, ovviamente non gestito dai governi, ma da super tecnici. Come lui.
Cioè, è come se un pilota d’aerei incapace, dopo l’ennesimo disastro causato si candidasse a diventare il pilota dell’anno.
L’ha detto senza pudore: il 2025 sarà l’anno in cui è evaporata l’illusione che la dimensione economica dell’Ue – 450 milioni di consumatori – si traducesse in potere geopolitico.
Vero. Verissimo. Ne scrivo da sempre. E da sempre mi davano del complottista.
Ed è stato proprio l’asse franco-tedesco, di cui Draghi è sempre stato il miglior allievo, a svendere la sovranità industriale europea alla Cina in nome del libero scambio e del dogma globalista, come sostenevo, insieme a tanti altri “complottisti”.
La Germania ha delocalizzato tecnologie e produzioni in Estremo Oriente, facendo la fortuna dei suoi bilanci aziendali e il deserto strategico del continente. E Draghi, allora, dov’era?
Al Tesoro, in BCE, a Palazzo Chigi. A firmare decreti e a sostenere le politiche che ci hanno portato qui, a elencare i mali dell’Europa prodotti proprio da Draghi e dai suoi colleghi burocrati.
Ora ci dice che il mondo è cambiato. Ma dai?!
Che Trump è una “sveglia brutale”. Che Putin tratta direttamente con Washington, saltando a piè pari un’Europa che non conta nulla, come dimostrano le chiacchiere sull’Artico e l’Alaska.
E ha ragione, Draghi. E gli dico, era ora! Le cose che ha detto a Rimini le dico da una dozzina d’anni.
Ma la soluzione proposta da Draghi è agghiacciante: “stringiamoci tutti insieme”.
In che modo? Sotto che bandiera? Quella della stessa Unione che ha calpestato i valori che dice di difendere?!
Draghi elenca i valori fondanti: democrazia, pace, libertà, indipendenza, sovranità, prosperità, equità.
Poi li calpesta con la prossima frase. “Lo scetticismo dei cittadini”, dice, “non è verso questi valori, ma verso la capacità dell’Ue di difenderli.”
FALSO. È proprio l’Ue ad averli sistematicamente violati.
Dov’era la democrazia quando la Troika ha massacrato la Grecia per derubarla dei suoi asset migliori?
Dov’è la libertà quando i tribunali rumeni annullano elezioni e alti funzionari Ue se ne rallegrano, come ha denunciato J.D. Vance?
Dov’è la sovranità quando la Commissione di Bruxelles impone diktat su migranti, green pass o motori a scoppio senza che nessuno li abbia votati?
Quando in Francia e Germania si minaccia di vietare partiti scomodi con il ricorso a pratiche da Stasi?
Draghi vede lo scetticismo ma non ne vede la causa: l’Ue è un mostro tecnocratico e antidemocratico.
E la sua ricetta è renderlo più forte, più integrato, più verticale.
È la soluzione di chi ha creato il problema e ora chiede più poteri per risolverlo.
“Distruggere l’integrazione europea per tornare alla sovranità nazionale non farebbe altro che esporci ancor di più”, sentenzia.
Per Mario Draghi, l’unica salvezza è la prigione in cui già ci troviamo.
“Abbandonate ogni velleità di autodeterminazione.”

La sua è una candidatura palese. Si propone come guida di questa nuova, iper-tecnocratica, super-verticalizzata Unione Europea. Il farmaco che propone per curare i mali della tecnocrazia è più tecnocrazia. Amministrata da lui, o da qualcuno come lui.
Ma la vera risposta, quella che Draghi non darà mai, è un’altra.
L’unico modo per “cambiare marcia e anche direzione” è mettere da parte il Trattato di Maastricht e i suoi derivati, per aprire una fase costituente che cancelli l’attuale mostro burocratico e restituisca la sovranità ai popoli, in una confederazione di nazioni libere e cooperanti o, semplicemente, tornare alla CEE.
Tutto il resto, compresi i discorsi a Rimini, le analisi sull’irrilevanza, le invocazioni al “debito comune”, è il gioco delle tre carte di un tecnocrate che vuole eternare il sistema che lo ha reso potente.
I colpevoli non solo spiegano il delitto. Si offrono anche come giudici e giustizieri.
IL MONDO ALLA ROVESCIA: I COLPEVOLI SPIEGANO IL DELITTO
Draghi, il motore politico della transizione da potenza industriale a economia del turismo, ci spiega i danni della dipendenza dalla Cina.
Draghi, il sostenitore delle sanzioni “dirompenti” contro la Russia – una balla colossale smontata dai fatti – ci parla di inefficacia della politica estera Ue.
Draghi, l’uomo del “volete la pace o il condizionatore?”, che azzerò ogni spazio per una diplomazia, ora sembra averlo scoperto.
Il suo endorsement al folle piano da 800 miliardi per il riarmo europeo, finanziato tagliando del 20% i fondi all’agricoltura, è la ciliegina sulla torta. Proprio ora che il trattato Mercosur esporrà i nostri agricoltori alla concorrenza sleale del Sud America.
È il trionfo dell’ideologia sulla competenza. La stessa che lo ha portato a mentire spudoratamente sui green pass “servono a creare luoghi sicuri” e a descrivere sanzioni autolesioniste come un’arma micidiale.
In Italia, e ora in Europa, gli architetti del disastro sono chiamati a spiegarne le ragioni. I colpevoli ci illustrano la scena del delitto, con il sangue ancora sulle mani.
Non si assumono la responsabilità dei loro crimini. No.
Ci offrono una conferenza in cui ammettono, confessano, e ci dicono che la ricetta per guarire è dare ai carnefici ancora più potere e più spazio di manovra.
Ma il problema non è Draghi.
Non è nemmeno von der Leyen.
Il problema sono quelli che ancora voterebbero per l’uno e per l’altra. Sono quelli che ancora lo definiscono “super”.
Un popolo di allocchi che sa solo applaudire a ciò che fino a ieri etichettava come fake news e complottismo. Solo perché a spiegare la realtà della malattia stavolta non è un complottista, ma uno degli stessi colpevoli.

Abbonati, è GRATIS!
Inserisci la tua e-mail di seguito per ricevere gli aggiornamenti.