L’ITALIA DOVREBBE PRECEDERE GLI ALTRI PER IL BENE DELLE NOSTRE IMPRESE

Il pensiero critico non accetta narrazioni comode, non si accontenta di pale e microchip, ma scava oltre la superficie, fino a smascherare le strutture di potere.

Il recente vertice di Washington non è stato un semplice incontro diplomatico, ma una sorta di teatro dove la realpolitik ha mostrato il suo volto spietato, un momento di chiarezza brutale, se vogliamo, un terremoto geopolitico che ridisegnerà gli equilibri continentali per i prossimi decenni.

Un gioco di scambi cinico e calcolato, dove i prodotti sono nazioni e il prezzo è la sovranità.

IL SACRIFICIO DELL’UCRAINA, DA NAZIONE SOVRANA A RETROVIA INDUSTRIALE BELLICA

La prima conclusione drammatica è l’aborto definitivo del progetto atlantico dell’Ucraina. È assai improbabile che possa vedere la luce, almeno nei prossimi vent’anni.

L’ingresso nella NATO è, ormai, un’arma retorica, svuotata di ogni sostanza.

Trump ha delineato il destino di Kiev così come lo ipotizzavo già nel 2022, quando altri mi davano del pazzo o del putiniano, cioè uno Stato-cuscinetto, permanentemente militarizzato, la cui funzione primaria è servire da diga contro la Russia e, simultaneamente, da avamposto produttivo per il complesso militare-industriale americano.

La discussione tra Zelensky e Trump sul pacchetto da 90/100 miliardi di dollari in armamenti è stata illuminante, non a caso si è tenuta prima di incontrare gli altri leader.

Espediente che ha fatto capire chi fosse protagonista, per Trump, e chi soltanto degli accompagnatori.

90/100 miliardi. Si tratta di una cifra colossale, ma ad essere un capolavoro è il meccanismo finanziario che ricorda l’era delle egemonie imperiali, perché il 90% di questi fondi sarebbe coperto dall’Europa. Dagli accompagnatori.

In pratica, i contribuenti tedeschi, francesi, italiani pagheranno circa 30 miliardi l’anno per acquistare armi americane, cioè una cifra che è il budget annuale della difesa italiana, che è poco sotto quella cifra, interamente devoluto a Washington.

L’Europa finanzierebbe le armi, senza avere nulla in cambio, mentre la ricaduta industriale, la tecnologia, il profitto, resterebbero saldamente nelle mani statunitensi.

Secondo l’idea di piano trapelato dall’incontro dei leader europei da Trump, droni, armamenti e munizioni dovrebbero essere prodotti su suolo ucraino, da manodopera a basso costo, per alimentare il mercato USA e le sue strategie globali.

Le industrie europee della difesa, se così fosse, verrebbero relegate a margine, spettatrici impotenti di un banchetto a cui non sono invitate. Una sorta di neocolonialismo industriale di precisione.

L’EUROPA: IL FINANZIATORE PASSIVO NEL GRANDE GIOCO DEGLI STATI UNITI

L’Unione Europea è uscita dal vertice con la dignità di una colonia amministrativa, perché il suo ruolo è stato definitivamente ridotto a quello di cassa di compensazione, con l’unico compito di pagare, tacere e, naturalmente, obbedire.

Lo si è visto nello Studio Ovale, dove sono stati trattati da Trump come scolaretti, tutti seduti di fronte alla cattedra, dove il professore spiegava la lezione.

L’unico lampo di intuizione strategica continentale sembra sia venuto a Giorgia Meloni, con la proposta di garanzie di sicurezza “stile Articolo 5” per Kiev. Una mossa per tentare di ancorare l’Ucraina a un perimetro occidentale, pur nella consapevolezza della non-integrazione nella NATO.

Ma, come era logico attendersi, Putin ha respinto tale proposta già nell’immediata telefonata di Trump con il dittatore russo, che ha sempre preteso che in Ucraina non vi siano eserciti appartenenti alla NATO.

Il silenzio assordante di Macron, Scholz e Von der Leyen durante i negoziati è stato un sintomo clinico della paralisi dell’Europa, già incapace di inviare un unico leader a rappresentare tutti.

Se l’idea delle armi prodotte in Ucraina passasse, in cambio di questo maxi-finanziamento, l’Europa otterrebbe lo sdoganamento dei commerci con la Russia.

Ma ogni Stato membro dovrà correre per ricucire le relazioni economiche strappate due anni fa.

Mosca, da nemica assoluta, viene rapidamente riabilitata da Trump a pedina fondamentale in una strategia anti-cinese. Perché a Trump non interessa nulla dell’Ucraina, ma persegue solo due cose: Premio Nobel per la pace e condizioni di favore per puntare alla Cina.

L’obiettivo del tycoon è quello di spezzare l’asse eurasiatico, depotenziare i BRICS, e contenere Pechino.

La Russia è la leva per farlo. È un gioco di scambi monumentale: l’Ucraina viene sacrificata, l’Europa ridotta a finanziatore, la Russia reinserita nei circuiti globali come partner economico (ma non politico) dell’Occidente.

Trump porterebbe a casa industria, influenza mondiale e un vantaggio strategico nel contenimento della Cina. L’Unione Europea resterebbe con il conto da pagare e con una profonda crisi identitaria.

LA PROSPETTIVA ITALIANA, TRA REALISMO, INTERESSE NAZIONALE E L’OPPORTUNITÀ STORICA

In questo quadro non proprio roseo, di incapacità di visione, all’Italia non rimane che la strada del realismo politico.

Dobbiamo giocarci fino in fondo il rapporto con Trump, l’unico attore che in questo momento detiene il potere decisionale effettivo. (A parte Putin).

La missione deve essere chiara: riaprire i canali commerciali con la Russia prima di tutti gli altri in Europa.

Energia, manifatturiero, agroalimentare, lusso. Il nostro interesse nazionale deve essere rimesso al centro della nostra azione diplomatica con una ferocia che non ci appartiene da decenni. D’altronde, l’Europa è in coma e non è in grado di garantire accordi lungimiranti.

Dobbiamo usare il nostro peso all’interno della NATO e il nostro potenziale di ponte nel mediterraneo per diventare il primo interlocutore europeo di Mosca.

Questo non è anti-americanismo, ma il più alto grado di pragmatismo. È riconoscere la nuova mappa del potere e posizionarvisi con intelligente cinismo per trarre vantaggi enormi sul lungo termine a favore delle nostre imprese.

Servono equilibrio, freddezza e una visione chiara di quelli che sono i nostri interessi.

E servirebbe rivedere il sistema dell’informazione in Italia, perché le narrazioni propagandistiche fanno credere reali fake news, cambiano le percezioni e, di conseguenza, influenzano i mercati.

Sostenere che la Russia avesse perso la guerra, che non ci fosse speranza per Mosca contro 40 democrazie, come sosteneva Beppe Severgnini nel 2022, o raccontarci di pale e microchip smontati dalle lavastoviglie, ha dato davvero l’impressione a tanti che una superpotenza atomica si potesse battere militarmente.

Qualcuno è stato persino convinto che Mosca potesse crollare con delle sanzioni, una nazione che commercia con tre quarti di mondo che ha isolato l’Occidente, che ha una moneta propria ed è piena di giacimenti e miniere di qualunque materia prima.

Perciò, nuovi orizzonti industriali, nuova visione politica e revisione dell’informazione, valutando chi ha raccontato falsità e chi analisi che si sono rivelate fondate come hanno sempre fatto, ed è un vanto, chi scrive per Tamago-Zine.

Il resto sono discorsi superficiali.

La Storia bussa alla porta. Sta a noi decidere se aprire per primi o raccogliere le briciole che lasceranno gli altri.

Pubblicato da Dott. Pasquale Di Matteo, Analista di Geopolitica | Critico d'arte internazionale | Vicedirettore di Tamago-Zine

Professionista multidisciplinare con background in critica d’arte, e comunicazione interculturale, geopolitica e relazioni internazionali, organizzazione e gestione di team multiculturali. Giornalista freelance, scrittore, esperto di Politiche Internazionali ed Economia, Comunicazione e Critica d’arte. Laureato in Scienze della Comunicazione, con un Master in Politiche internazionali ed Economia, rappresenta in Italia la società culturale giapponese Reijinsha.Co.

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